Home » Consapevolezze – Molina: “Tornare a vivere”
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Juan Molina / Vis Pesaro / Credit: FIlippo Baioni-@vispesaro - www.lacasadic.com

“Sto morendo? Ho paura. Tanta paura. Vorrei solo tornare a casa in Argentina dalla mia famiglia per salutarla un’ultima volta”.

La sera di Vis Pesaro-Ascoli faceva un freddo incredibile. Mi stavo scaldando. “Vieni Juan”. L’allenatore mi ha chiamato per entrare. Ho fatto uno scatto per arrivare in area per una punizione. L’azione dopo c’è stato un calcio d’angolo. Abbiamo fatto il trenino, mi hanno spinto da dietro e mi sono scontrato con l’avversario davanti, prendendo una botta nel petto. TUM… TUM… TUM. Ho sentito il cuore che mi batteva male, in modo strano. Un andamento lento, ma con un’intensità esagerata. Sono caduto per terra. Poi ho alzato lo sguardo. Era tutto sfocato. “Ragazzi, sto malissimo, non capisco cos’ho”.

Mi sono passati per la mente tutti i casi di calciatori con problemi al cuore. “Ho qualcosa di grave”. Ero sdraiato, tutti intorno, l’arrivo dell’ambulanza, il silenzio dello stadio, non riuscivo a parlare… è stato bruttissimo. Mi si è avvicinato Tonucci. “Voglio solo tornare a casa”. Ma quella vera, l’Argentina con i miei cari. La prima cosa a cui ho pensato? Alla morte e all’angoscia di non poter salutare la mia ragazza, i miei genitori, mia sorella… Ero lontano da loro, l’idea di non poterli rivedere per un’ultima cosa mi distruggeva. Mentre uscivo sulla barella ho alzato il braccio per far sapere alla gente che stavo bene, anche se ero ancora molto preoccupato. In tribuna c’era anche la mia fidanzata. Sentiva parlare di infarto. Si è spaventata molto.

Torniamo a quella barella. Mi hanno portato subito in ospedale. In ambulanza ero molto preoccupato. Il viaggio è stato terribile. “Cos’ho? Cosa mi troveranno?”. Al pronto soccorso mi hanno fatto tanti esami per capire le cause del malore. Poi finalmente ho rivisto la mia ragazza. Abbiamo pianto insieme. “Juani, c’è tutta la squadra e lo staff fuori ad aspettarti”. Non potete capire che gioia nel sentire queste parole. È bello vedere che sei importante per qualcuno, che ti vogliono bene per la persona che sei. Una sensazione speciale. Questo e sentire l’affetto e la vicinanza di tutti i tifosi. E poi c’è stato il ritorno in campo e la doppietta. Si sono infortunati due miei compagni e sono partito titolare. Ero tranquillo, non volevo dimostrare niente. Volevo solo una cosa: giocare. I gol una gioia immensa. Una liberazione. “Ha segnato Juan”. “MO LI NA”.

Questa esperienza penso che mi abbia cambiato. Sono convinto che sia successa per un motivo. Arrivavo da un periodo difficile, con molto stress e pressioni. Sono una persona molto esigente. Giocavo poco, il gol mi mancava. Lo sapete, per un attaccante è importante. Non stavo bene. L’ansia penso abbia contribuito al malore che ho avuto. Quello che mi è capitato mi ha aiutato a capire che esistono cose più importanti. Sono stato qualche giorno a Trento con la mia ragazza, mi è servito per fermarmi e rallentare. Ho compreso che bisogna vivere giorno per giorno senza essere ossessionati dal futuro. Vedete, nella sofferenza ci si conosce e si cresce. La vita me l’ha insegnato. Ve lo racconterò, un passo alla volta.

Un viaggio nella mia mente

Il malore non è stato un caso. Non stavo bene. Se c’entrano infortuni o altro? No, assolutamente. Non stavo bene dentro, con me stesso. So cosa significa. Il malessere l’ho conosciuto e vissuto. Era il 2016. Decisi di lasciare l’Argentina e venire in Europa. Non avevo nulla, volevo solo costruirmi una nuova vita e poter aiutare economicamente la mia famiglia. Ma dopo il mio arrivo, il buio. Ero senza documenti, non potevo giocare, non trovavo lavoro, la rottura del crociato. Poi è arrivato il permesso di soggiorno e ho iniziato a fare il cameriere, ma è scoppiato il Covid. Ero solo, sentivo la mancanza della mia casa. Vivevo con l’angoscia. Stavo attraversando il momento più brutto della mia vita ed era capitato nella pandemia. Da quando mi svegliavo a quando andavo a letto la mia testa andava a tremila, si riempiva di pensieri. Sono fatto così, continua ad andare in modo incessante. In quei momenti ancor di più. Non riuscivo a capire perché non riuscissi a stare bene come tutte le altre persone. “Perché proprio io?”.

“Cosa mi sta succedendo? Il respiro accelera, la vista si offusca, la nausea che sale, la testa pulsa, qualcosa si impossessa del mio corpo. Non capisco. Il cuore batte all’impazzata. Non rallenta. Sto morendo”. Sono iniziati gli attacchi di panico ogni 2/3 giorni, a volte anche in campo. Sempre più frequenti. Mi svegliavo con un peso nel petto. Ansia, buio, confusione. Poi è arrivato quel giorno. Al lavoro sono scoppiato. Sono scappato via. Per tre settimane non volevo uscire di casa. Avevo paura di essere un matto. I pensieri si impadronivano di me. Mi intrappolavano in un velo oscuro.

Mi sono guardato. “Hai bisogno di aiuto”. In quel momento ho deciso di andare dallo psicologo.

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Juan Molina / Vis Pesaro / www.lacasadic.com

Alla ricerca di sé

Non avevo parlato con nessuno del mio malessere, mi sentivo sbagliato e a disagio. Non vedevo la luce. Se fossi tornato all’Argentina sarebbe stato un fallimento. A casa non raccontavo nulla, facevo finta che andasse tutto per il meglio. Non mi sentivo di condividere tutto questo neanche con gli amici. Dopo essere andato dallo psicologo mi sono aperto con qualcuno. La prima persona è stata mia mamma, lei mi capisce più di chiunque altro. E poi con il mio migliore amico. Pensate che quando gliene ho parlato lui mi ha confessato che stava vivendo la stessa identica situazione. Entrambi avevamo avuto paura a parlarne.

Il primo psicologo mi era stato assegnato dall’associazione spagnola dei calciatori, non avevo soldi per pagarlo. Poi ho iniziato a lavorare con una argentina. Insieme abbiamo compreso che l’origine di questo malessere risiedeva in traumi legati alla mia infanzia. Mi ha insegnato anche delle tecniche, come la mindfulness e la respirazione, per gestire meglio alcune situazioni. Ora ogni tanto ci sentiamo, mi serve per scaricare i pensieri della mia testa. Andare in terapia mi ha cambiato la vita, sono cresciuto e ho maturato consapevolezze diverse. Juani ha conosciuto… Juani.

Argentina mia

Noi argentini viviamo di passione. Per me è tutto. Origini, casa, sangue. Quando vedo la nostra bandiera mi si gonfia il petto. Noi non abbiamo paura di niente, possiamo affrontare qualsiasi cosa. I primi ricordi che ho sono legati alle partite con i miei amici sui campi fatti di terra e polvere. Eravamo sempre scalzi, un male ai piedi…“Toto, torna a casa”. Mamma veniva a prendermi alle 10 di sera con la ciabatta in mano. Io giocavo anche nel Rosario, ma amavo andare con gli altri bambini del paese a fare i tornei per vincere una Coca-Cola. I miei idoli? Marco Rubén, Batistuta, Kempes. E ora guardo Lautaro. Ci ho giocato contro in Argentina, ci segnò da centrocampo. Era già un animale.

Se penso all’Argentina penso a casa mia. Sono tanto legato ai miei cari. Eravamo una famiglia umile. Non avevamo molto. In alcuni periodi per giorni si mangiava lo stesso cibo, ma non era un problema. Questa mi ha permesso di dare il giusto valore alle cose. In Argentina non avendo grandi disponibilità economiche le persone tendono a essere più nervose. Anche a casa a volte capitava di litigare. Ma ricordo con immensa gioia i giorni passati insieme per le feste. Poi è arrivata la separazione dei miei genitori. Per me è stata durissima, l’ho vissuta male. Io e mia sorella eravamo nel mezzo. Alcuni miei modi d’essere sono dovuti a quel periodo, non è stato semplice. A 19 anni poi ho scelto di lasciare il Sud America, avevo bisogno di cambiare.

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Juan Molina / Vis Pesaro / www.lacasadic.com

(IM)POSSIBLE

Dopo le difficoltà in Spagna, sono arrivato in Italia per prendere la cittadinanza. La prima avventura in Sardegna all’Ilvamaddalena in Eccellenza. L’anno dopo sono andato al Mori Santo Stefano in Trentino. Lì è cambiato tutto. Ho ritrovato la passione per questo sport. Le persone mi hanno accolto, ho conosciuto la mia attuale ragazza e ho iniziato a segnare tanto. Un campionato vinto, 33 gol in un anno e mezzo e la chiamata dai professionisti. Ho cambiato procuratore. Ho avuto la fortuna di incontrare Giovanni Capobianco che ha sempre messo davanti la mia persona agli interessi economici. In pochi mesi dall’essere senza documenti in Eccellenza alla Serie C con la Vis Pesaro… incredibile. E tutto questo da solo.

Il passo più importante? L’essermi accettato come persona. Ho fatto pace con me stesso. Sono diverso dagli altri, non sbagliato. Sono orgoglioso di questo mio cammino, la sofferenza mi ha reso più forte. Questa mia sensazione fa parte di me, non andrà via. Ma ho imparato a conoscerla e a esserne consapevole. Se mi riguardo indietro al giovane Juan direi di essere contento di ogni passo fatto e di concentrarsi sul presente. Gli direi di essere orgoglioso. È partito dal nulla, non ha mai mollato. Ma alla fine siamo così. Siamo argentini.

Ora cerco di apprezzare quello che ho e di abbracciarmi. Ho scritto il mio cammino, da solo. Dal nulla al calcio professionista. Un po’ come la parola tatuata sulla mia mano: IMPOSSIBLE.