Consapevolezze – Balestrero: “La semplicità dell’essere normali”

Credit: FeralpiSalò
Non ho social, ho esordito in un campo che d’estate diventa un parcheggio, non pensavo di fare il calciatore da grande. Sono strano? No, sono un ragazzo normale. Penso che sia la società d’oggi ad avere e insegnare valori sbagliati.
La mia famiglia ha inciso tanto nel mio percorso. Mi ha trasmesso valori che oggi sono rari. Valori etici e morali. Il senso della fatica e del sacrificio, in tutto ciò che si fa. Una predisposizione al lavoro e all’impegno che mi hanno dato e che ora ritrovo nella mia carriera e nel mio essere calciatore. Principi che cerco di insegnare e condividere con i miei compagni più giovani.
Sono partito dai campetti liguri e dai dilettanti. Penso che il mio percorso mi abbia aiutato ad avere costanza. Ogni giorno. Se parti dal basso, dal calcio dilettante devi fare qualcosa di diverso rispetto agli altri. Ci sono state più curve, è stato meno immediato, ma mi ha permesso di costruirmi una mia mentalità, non dare nulla per scontato o dovuto. Bisogna conquistarsi ciò che si vuole.
Il calcio moderno e la nostra società portano molti a pensare di poter avere tutto subito, senza sacrifici, delusioni, attese. Manca il senso del tempo, della pazienza e della fatica. Le conquiste vanno coltivate, volute, aspettate. Per fortuna la mia famiglia mi ha dato valori diversi. È fondamentale costruire una propria mentalità, costruire qualità umane.
Se sono arrivato qui è perché nella testa ho qualcosa in più. I compagni spesso mi prendono in giro per i miei piedi. È vero, non ho qualità tecniche particolari. Ma ci arrivo con altro. Sono partito dall’Eccellenza e sono arrivato a essere capitano di una società come la Feralpi, a giocare in Serie B, ad affrontare la “mia” Samp a Marassi. Impensabile. È un viaggio speciale di un ragazzo normale. È il mio viaggio.
Blucerchiato
Alzo lo sguardo. Ci sono lì tutti i miei parenti e miei amici. Mio padre sta sventola una sciarpa della FeralpiSalò per festeggiare la nostra vittoria a Marassi contro la Samp. Lui, tifoso blucerchiato sfegatato. Un’immagine che mi porterò sempre con me. Come tutte quelle vissute in quei giorni. Mai avrei pensato di affrontare la mia squadra del cuore. Allo stadio ci andavo da piccolo a tifare in curva. Mi sono ritrovato protagonista in campo con parenti e amici a guardarmi.
Più mi avvicinavo alla partita e più speravo non mi succedesse nulla. Non potevo non giocarla. È stato un weekend unico. Andare in ritiro in Liguria a casa mia, passare per le strade che erano parte della mia infanzia, dirigersi verso lo stadio. Felicità. Quando siamo entrati a vedere il campo mi sono commosso. Ci ero entrato solo da piccolo con una rappresentativa. Il viverlo da dentro… Abbiamo fatto il riscaldamento sotto la nord e vedevo un mio amico di Arenzano. Abbiamo pure vinto. Ricordi indelebili.

Non pensavo di fare il calciatore
E pensare che io il calciatore neanche volevo farlo. O meglio, non ci pensavo. È iniziato tutto nel campetto di Arenzano con gli amici. Sono arrivato nei professionisti quasi senza accorgermene. La mia idea iniziale era quella di continuare nell’attività di famiglia che è un’azienda di caramelle. Poi la storia è stata diversa. L’esordio in prima squadra? Ad Arenzano in Eccellenza. La prima volta fu inaspettata. Io giocavo ancora negli Allievi. L’allenatore mi chiamò. Il primo allenamento pensai di non poterci stare. Ritmo e qualità troppo alta. L’esordio fu a Fezzano in un campo che in estate diventa un parcheggio per il mare. Un campo di terra battuta di paese.
Poi Sestri in Eccellenza e la Serie D a Lavagna. Non feci un minuto. A gennaio passai al Sestri Levante. Era l’anno della maturità. Non fu facile. Dovevo organizzarmi i pasti per mangiare a scuola e volare al campo a fine lezioni e studiare la sera. E studiare non mi piaceva molto…
Non c’era il pensiero di trasformare quel gioco in un lavoro. Guadagnavo poco, era più un rimborso spese che spendevo in benzina. Feci un altro buon anno alla Novese in D. Lì ho iniziato ad avere qualche pensiero in più di poter arrivare nel professionismo. “Chi lo sa, magari…”.
È il mio percorso
Da ragazzo c’era stato l’interesse del Genoa. I miei genitori mi lasciarono scegliere. Io decisi di restare ad Arenzano con gli amici. Ho sbagliato? Non lo so. Ma il percorso che ho fatto è stato meraviglioso. Negli anni feci dei provini con loro, con l’Entella e la Spal, ma non mi presero. Porte chiuse. Ci sono arrivato in modo diverso al professionismo. Dovevo andare al Carpi di Giuntoli, feci il pre ritiro con loro. Poi saltò tutto. Decisi di tornare a Lavagna, non mi era piaciuta com’era andata la mia storia lì. Non avevo fatto un minuto. Tornai con l’allenatore che non faceva giocare e feci 35 presenze. Una bella soddisfazione.
Probabilmente ripensando alla mia storia al professionismo dovevo arrivarci così. Un fil rouge che collega i valori della mia famiglia, quel senso del lavoro e del sacrificio, in cui ci si conquista le cose in modo graduale e vero. Il professionismo è arrivato così. Partendo dal basso, con umiltà e senza pretese. Ciò che è arrivato me lo sono costruito e conquistato. Coltivato, voluto, vissuto.

(Non) È finita
Ne ho collezionate di delusioni. L’impatto con i professionisti non è stato dei più facili. Il motivo? Dopo il primo anno a Monopoli rimasi fuori rosa, cambiarono tutto. Un mese tosto da gestire. Ho imparato che non dipende sempre tutto da te. Andai a Vibo in D. Mi spaccai la caviglia, dopo qualche mese finii a Savona, vicino a casa. Ancora una volta. “È finita. L’occasione nei professionisti c’è stata e sei tornato in D. Non è andata”. L’anno dopo il viaggio è ripartito dall’Albissola. I primi contatti con il professionismo sono stati una sofferenza. Tra il lottare per salvarsi, settimane fuori rosa, infortuni: periodi non semplici. Ma fa tutto parte di quello che è stato il mio percorso, fatto di lavoro e sacrificio.
Dopo Albissola sono andato in C ad Arzignano. Lì forse ho vissuto la delusione sportiva più grande. Era l’anno del Covid, dovetti convivere con una pubalgia e arrivò la retrocessione. Ricordo ancora il fischio finale di quella partita. Ero disperato. Psicologicamente lo accusai. Soffrii molto.
Era finita la stagione, ero retrocesso, ero senza contratto e senza un grande passato alle spalle. La chiamata del Matelica arrivò a fine agosto. Avevo solo qualche richiesta in D. La mente si riempiva di pensieri. “Sarebbe bastato poco per salvarsi, avrei dovuto fare meglio. Ho fallito. Questa volta è davvero finita, il calcio non sarà il mio futuro. Davide, devi iniziare a valutare cos’altro fare nella tua vita”. Rimpianti per quello che sarebbe potuto essere. Paure per quello che non avrei più potuto vivere.
Fallimento, delusione, rimorsi, incertezza su quello che sarebbe stato. Non stavo bene.
La chiamata del Matelica fu inaspettata. Poi non mi sono più fermato.

Cara Feralpi…
Nel 2021 è iniziato il capitolo a Salò. Sapete, un po’ ci assomigliamo io e la Feralpi. Per la storia, per i valori, per il percorso. Ci siamo incontrati, guardati, innamorati. Ci siamo trovati nel momento giusto. La Feralpi è valori, filosofia, idee. Ha una mentalità solida e definitiva che si trasmette a chiunque arrivi. E insieme abbiamo scritto le pagine più belle della nostra vita. Partendo da FeralpiSalò-Triestina, la partita che ci ha regalato la promozione. In spogliatoio c’era un silenzio tombale. Se chiudo gli occhi ancora lo risento. Elia Legati, il nostro capitano, ci fece un discorso bellissimo. I nostri occhi cambiarono.
Al fischio finale scoppiai in lacrime. Mi passarono davanti agli occhi tutte le immagini. Andai subito dai miei genitori, fondamentali per i miei successi. Nell’abbraccio con loro c’era tutto.
E dopo la Triestina ci fu anche il taglio dei capelli. Li portavo lunghi. A inizio anno scherzando dissi a Carraro che li avrei tagliati in caso di vittoria del campionato. I ragazzi non si sono dimenticati… a fine partita i miei compagni si sono presentati con forbici e rasoio. Ho rischiato di far prendere un colpo a mia nonna quando mi ha rivisto rasato poco dopo.

La bellezza di essere normali
Dicevo prima che la mia storia è legata in modo indissolubile a quella della Feralpi. Sembra quasi un disegno del destino. Siamo cresciuti insieme. E come sempre quando si cresce insieme si condividono anche le prime volte. La prima volta in Serie B per entrambi, il mio primo gol in categoria è stato il primo per il club, un’altra mia rete che ha portato alla prima vittoria. La retrocessione pesa come un macigno, ma è la vita. È stato bello vivere quel sogno.
Non penso di essere speciale o strano. Non ho mai visto una strada alternativa alla mia. Una strada fatta di sacrifici, lavoro quotidiano, dedizione, serietà. Non lo scambierei per niente al mondo. Se guardo a 14 anni fa quando ho iniziato era impensabile tutto ciò. Si può sempre fare meglio, certo. Ma questa è la mia storia, questa è il mio cammino. Che bello. Io sono questo. Sono così, normale. Perché forse a essere davvero rara è ormai la semplicità.