Consapevolezze – Esposito: “Mamma Napoli”

Credit: Filippi Gambarini - AC Renate
Se nasci a Ponticelli hai due possibilità: la legalità o la camorra. Io ho scelto la prima.
Sono nato e cresciuto a Ponticelli, un quartiere di Napoli. Forse quello in cui la presenza della malavita è più forte. Sono tanti giovani che scelgono la violenza. Respiri quell’aria, vivi quell’atmosfera, cammini in quelle strade. Ogni giorno.
E ora la situazione è peggiorata rispetto a quando ero bambino. I ragazzi crescono con il mito della violenza, dei soldi, delle armi. Chi ruba, chi spaccia, chi usa le pistole. A 6 anni sono sul motorino, a 12 anni girano armati. L’anno scorso è morto un ragazzo che faceva il doposcuola da mia mamma. Appena uscito da galera l’hanno ammazzato. Ce ne sono tante di storie così. Se non si nasce li, non si può capire davvero.
Di sparatorie ne ho viste tante. Non ti abitui mai. Ho visto tanti amici morire. La fine è quella. O ti uccidono o vai in galera. Per molti diventa automatico esserne attratti: c’è il soldo facile, la prospettiva di una bella vita, ti fa sentire più forte e grande. Tra quelle strade cresci in fretta. Non ci sono altre possibilità. La prima sparatoria? Ricordo tutto. È ancora davanti ai miei occhi. Ero andato a prendere la pizza con un mio amico. Tornando a casa, passò una macchina, abbassò il finestrino e iniziò a sparare. Momenti che ti rimangono impressi.
Se sei un ragazzo intelligente capisci qual è la strada giusta da prendere. Da piccolo mi hanno salvato la famiglia e il calcio. Per me è stato qualcosa di naturale. La vita è il dono più grande che c’è, non aveva senso sprecarlo così. L’educazione dei miei genitori, il sostegno di mio fratello, l’amore per il pallone, la bellezza di questa città mi hanno guidato. Con Mamma Napoli sempre nel cuore. Perché Napoli è molto altro. La sua anima è nei quartieri, nell’essenza umile e popolare, nella passione della gente, in Maradona e Pino Daniele, nelle finestre sul mare. Napule è.
Famiglia e calcio
I miei genitori e mio fratello per me sono tutto. Sono cresciuto in una famiglia umile e protettiva. Mamma e papà ci hanno educato senza grandi discorsi, ma con il loro esempio. Erano operai, si alzavano alle 6 di mattina e tornavano alle 10 di sera. Valori e principi. Quelli veri. Mio fratello è un’altra figura fondamentale per me. È un grande lavoratore, per me c’è sempre stato.
Ci sono tante famiglie per bene in questi quartieri. Famiglie fatte di persone che lavorano tutto il giorno per portare da mangiare a casa. C’è tanta brava gente. Non c’è solo camorra. Crescere nei quartieri è bello. Li vivi, li respiri, li senti. Passavo le giornate per strada a giocare a calcio con gli amici. Avevamo un appuntamento fisso. Finita scuola, alle 4 di pomeriggio ci trovavamo giù per le nostre partite. Delle pietre diventano i pali delle porte e via per ore. I ricordi più belli della mia vita.
Sole
“Genny vengo aspetta, vengo anch’io”. Volevo sempre accompagnare mio fratello alla scuola calcio. È la prima immagine che ho di me con il pallone. E poi le sfide con lui a casa, quante cose rotte. Non ho mai fatto settori giovanili importanti. Quando ho capito che sarebbe diventato il mio futuro? L’anno in Eccellenza al San Giorgio e poi in D a Savoia. Fino a quel momento il calcio era ancora un gioco, come nelle partitelle con gli amici per le strade del quartiere. Lì ho capito che avrei dovuto mettere da parte quel ragazzino e cacciare un po’ di cazzimma.
Senza mai annullare il mio essere e le mie origini. Come quando mi chiamò l’Atalanta. Andai ad allenarmi con loro. Dovevo starci per un mese, durai pochi giorni. Non ce la facevo a vivere in quel modo. Ero abituato ai suoni di Napoli, a stare sempre in giro, a giocare per strada, al contatto con la gente. Lì i ragazzi andavano a scuola, si allenavano e studiavano. E faceva anche freddo. Per me era impossibile. Avevo bisogno del sole. Nel cielo, negli occhi e nel cuore delle persone, nel modo di vivere.
Ripartire
Al professionismo sono arrivato così, con la gavetta. Il Renate mi ha preso dopo la retrocessione a Ravenna. Mi ha accolto come una famiglia. Già, una famiglia. È diventato questo per me. E pensare che qui è l’opposto della mia Napoli come atmosfera e vita. Con questo club ho un rapporto puro. Abbiamo condiviso gioie, delusioni. Ci sono stati momenti in cui si è litigato, come succede nei veri amori. Poi lo scorso anno è arrivato l’infortunio. “Stoc”. Sentii subito il rumore nel ginocchio. Mi resi subito conto della gravità. “Ho smesso, non giocherò più”.
Il primo pensiero nella mia testa fu quello. Urlai. Paura, dolore. Ne ero pervaso. “Mi sono spaccato tutto. È finita”. Con il tempo l’ho accettato e presa col sorriso. Ho passato diversi mesi a Napoli con la mia famiglia e la mia ragazza. Non è stato facile, non ero mai stato lontano dal calcio per così tanto tempo. Ho sempre giocato, ho sempre fatto mille tornei pur di non stare fermo. Il primo allenamento dopo l’infortunio il momento più bello. Ero tornato dal mio pallone. “Mi sei mancato”.

Napule é
Napoli… Napoli a parole faccio fatica a descriverla. Napoli per me è come una mamma. Anche se non vivo più lì, me la sento addosso tutti i giorni. È dentro di me, non mi lascia mai. Se ci penso, mi emoziono. Ogni volta che ci torno provo qualcosa di inspiegabile. È una sensazione, un sentimento, un modo di vedere il mondo. Viverlo con passione, con mille colori, con i rumori delle sue strade, la musica alta, il senso di unità che c’è nella gente, la pizza fritta e la finestrella di Marechiaro, l’incondizionata volontà di credere nella bellezza della vita. Vedete, mi sto commuovendo.
E poi c’è il Napoli. Il Napoli è pura passione. Che gioia lo scudetto. ricordo i miei viaggi. Il primo per Napoli Salernitana. Una vittoria sarebbe significata scudetto. Tutto rimandato. Vincemmo a Udine, tornai per festeggiare. La città era in festa da un mese. Una sensazione unica. Felicità pura. Napoli vive di passione. Non si può spiegare cosa significa vincere un campionato lì. Mancava da tanto tempo. Mancava da quando c’era Diego. Ce l’ho tatuato sulla pelle. Ci ha sempre difeso, in ogni parte del mondo. Per non è morto e mai lo sarà. Maradona vivrà per sempre.
Essere Napoli
Napoli è tutto questo. Nelle sue strade ci sono tanti talenti. Ai giovani del mio quartiere direi di credere sempre in sé stesso. Seguire il proprio talento, il proprio essere e non il soldo facile. Se c’è qualcosa di facile significa che c’è qualcosa di sbagliato dietro. Bisogna inseguire i propri sogni. Napoli vive di quelli.
Io ho fatto così. Ogni giorno cammino portando con me gli insegnamenti della mia terra. Nell’affrontare la vita sono molto napoletano. Quando c’è un problema non scappo, lo affronto in modo deciso. A volte anche troppo. Davanti alle difficoltà non mi preoccupo di cosa sarebbe potuto essere o cosa sarà. Cerco di apprezzare ogni giorno per quello che è. Vivo senza rimpianti. Me l’ha insegnato Mamma Napoli. A lei oggi chiedo di non abbandonarmi mai, ma so che sarà sempre con me. È in me. È tutto. È la mia vita. Napule è.