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Golemic con la maglia del Vicenza - www.lacasadic.com - Credit: LR Vicenza

Noi serbi diciamo che “siamo gente del cielo”.

Anche per quelle cose che sembrano come dire… astratte, impossibili, noi troviamo una soluzione. Siamo fatti così, affrontiamo tutto. Abbiamo vissuto la guerra sulla nostra pelle. In me scorre questo sangue, questa mentalità, questo orgoglio. Ed è anche grazie a questo che ho tenuto la testa alta negli ultimi mesi in cui ho dovuto confrontarmi con la batosta più significativa della mia carriera. L’aritmia, delusioni umane, una pausa dal calcio. Uno stop dal mio sport, dalla mia vita. È la prima volta che ne parlo, che racconto quello che ho vissuto e provato. Ci sono state persone che penso non si siano comportate umanamente bene con me, avrei voluto sentire una vicinanza diversa e non ho paura a dirlo. Voglio parlare di quanto mi è successo. Questa è la mia lettera.

Ho appena finito l’allenamento. Che bello poter tornare a vivere queste sensazioni. A fine novembre ho fatto la risoluzione con il Vicenza. Ora sto parlando con diverse società serbe. A giugno mi piacerebbe tornare in Italia. Ma andiamo con calma, un passo alla volta.

Vladimir ti devi fermare”. È luglio. Sono in ritiro con il Vicenza. Durante le visite mediche si accorgono di un’aritmia. Mi mandano a Udine per fare una risonanza al cuore e mi trovano una miocardite. Si era curata
in modo naturale, lasciando una piccola cicatrice che dicono essere motivo delle aritmie. Vuoto.

Il 31 di luglio arriva il certificato di non idoneità assoluta per praticare sport agonistici. Io ero abbastanza tranquillo, mi sentivo bene. Nella mia carriera non avevo mai avuto nulla prima, forse per questo non mi ero preoccupato molto. Ma ero solo. La mia famiglia sarebbe rimasta in Serbia fino alla fine del ritiro. Sono tornato da loro per qualche giorno. Lì ho fatto un’altra visita: esito positivo, mi danno l’ok per giocare in Serbia. Mi sentivo tranquillo, sicuro di poter riprendere. Non è andata così.

Solitudine

Verso il 15 agosto torno in Italia e parlo con i direttori per capire la volontà del club. Se tenermi e fare ricorso alla Commissione, ma sarebbero passati mesi, oppure farmi andare in prestito in Serbia, dove pensavo che avrei avuto la possibilità giocare. Nei giorni successivi sono andato a fare privatamente altre visite che mi avevano dato la speranza di poter ottenere un esito di idoneità diverso, tuttavia, essendo stato depositato in Federazione il certificato fatto in Veneto, l’unica soluzione era fare ricorso alla Commissione Regionale D’Appello Attività Sportiva Agonistica, presso la regione Veneto. Mi sembrava tutto così assurdo, ma era quello che diceva la legge. Fare ricorso l’unica soluzione. Ho dovuto presentarlo da solo con i miei legali e un dottore di fiducia, perché questo prevedeva la norma. Tuttavia, mi sarei aspettato di ricevere un maggior supporto psicologico da alcune persone che in quel momento consideravo come la mia famiglia, sia appena trovata l’aritmia che nel percorso successivo di attesa del nuovo esito. Una vicinanza e sostegno morale da parte di chi mi ero abituato a vedere ogni giorno. Ci sono rimasto male, ma per come sono fatto, se c’è un problema lo affronto. Se qualcuno mi sostiene meglio, se no vado da solo. E così ho fatto.

Così ho presentato ricorso alla Commissione d’Appello del Veneto. È stato un periodo tosto, non avevo né certezze, né date. Ogni giorno controllavo il telefono per vedere se ci fossero novità. Poi la telefonata: “Il 30 ottobre farai la risonanza al cuore e il 6 novembre l’holter. Nel frattempo, non fare sforzi fisici”. “Non si può anticipare?”. “No”. “Ancora, altre settimane ad aspettare. Non ce la faccio più”. Fino a quel momento mi ero sempre allenato, pensavo di tornare in squadra a ottobre. E invece non potevo neanche allenarmi. Quanto mi mancava l’adrenalina del campo, i cori dei tifosi. Mancava tutto. Nel frattempo, non potevo più fare nulla. Però non sono mai mancato alle partite, alcune le ho viste anche in curva. “Papà perché non giochi?”. “Papà ora non può”. I miei figli me lo chiedevano ogni volta. Non è stato bello.

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Golemic con la maglia del Vicenza – www.lacasadic.com – Credit: LR Vicenza

Incertezze

Ma torniamo a quei giorni. Avevo così tanta confusione in testa. Vivere nell’incertezza è terribile. Poi sono arrivati i giorni delle visite. Mi aspettavo di poter parlare con i dottori della Commissione, invece non si è presentato nessuno. Magari funziona così, non so. Ma umanamente mi sono sentito abbandonato a me stesso. Una volta ancora. Il 6 mi mettono un holter, il 7 lo riporto. Poi altre settimane di attesa, senza avere notizie o date. Incertezza. “No, un’altra volta ancora”. Prendo il telefono, controllo le notifiche. “Magari i bimbi mi hanno cancellato qualcosa”. Nulla, non c’è nessuna novità. “Andrà bene, mi fermeranno ancora… cosa succederà?”. Sapete, in quei momenti sono tanti i pensieri che ti passano per la testa. Non capisci quali siano reali e quali creazioni della tua mente. Ansia. Nessuno si fa sentire. Capisco che possano avere altre priorità, persone più importanti a cui dare delle risposte magari anche più importanti della mia, ma ho bisogno di sapere se posso tornare a giocare.

“Golemic non potrà tornare in campo, confermata la non idoneità”. Il 21 iniziano a uscire delle notizie sui giornali. “Com’è possibile?”. “Basta, non ne posso più”. Il 25 novembre ho mandato una mail alla segreteria della Commissione. “Fatemi sapere qualcosa”. Esito negativo o positivo, non mi importava. Mi bastava mettere un punto a tutta quella vicenda. Il 25 pomeriggio mi mandano un certificato confermando la non idoneità. Una fredda mail. “Non idoneo”. Quando è arrivata la PEC ho abbracciato mia moglie. Era negativa, è vero, ma finalmente c’era qualcosa di certo. Da quel momento si poteva andare avanti davvero.

“Andresti sulla Luna”

Andresti anche sulla Luna per trovare una soluzione”, mi ripeteva mia moglie in tutte quelle settimane. Aveva ragione. Non ho mai avuto paura, non è nel mio carattere. Ma a livello personale e mentale non è stato semplice. Ci sono rimasto male, molte volte mi sono sentito solo. Non è mai stato un problema economico. Mi sarei aspettato di sentire alcune persone maggiormente al mio fianco in questo percorso, percepire la loro vicinanza. Invece, molte volte, ho avvertito un senso di abbandono. Ed ero anche il capitano. Ho sentito la mancanza di alcuni “come stai?”, o dei “hai bisogno qualcosa?”. Ero disponibile? Bene. Non lo ero? Mi sembrava, come se non contassi più nulla, perché non potevo più giocare.

Ricordo ancora il dolore che ho provato quando il medico della società mi ha consigliato di smettere. Non avendo un certificato per la pratica sportiva, non potevo neanche andare al campo per fare degli addominali per stare vicino ai miei compagni. Per giorni mi sono sentito come se fossi un soggetto estraneo, tutto ciò che ero abituato a fare da anni, non lo potevo più fare e non capivo il problema. Ero confuso e non riuscivo a capire che, forse, il comportamento di distacco era normale. In estate ero stato dichiarato incedibile e la dirigenza mi voleva proporre un rinnovo, poi è cambiato tutto da un giorno all’altro.

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Golemic con la maglia del Vicenza – www.lacasadic.com – Credit: LR Vicenza

Rimanere in piedi

Ce l’ho fatta comunque. Per il mio carattere, sono serbo. Per l’aiuto della psicologa che mi segue da anni con cui ho imparato a gestire le mie emozioni e vedere i momenti negativi come opportunità di crescita personale. Per la vicinanza dei miei compagni. “Capitano mio capitano che dirti… non so da dove iniziare… penso che tutto si racchiuda a un GRAZIE… grazie per tutto quello che hai fatto per noi, a tutto quello che hai fatto in campo ma soprattutto a tutto quello che mi hai lasciato… sei una persona speciale, un amico, un fratello maggiore”. Che emozione certi messaggi che mi hanno scritto… E poi ci sono loro, i miei tifosi. Mi sono sempre stati vicini, ogni giorno. Con gesti, parole, affetto. Dai bambini ai più anziani. La partita dopo l’ufficialità della mia non idoneità ero allo stadio. I tifosi mi hanno dedicato uno striscione e cantato cori per me. A fine gara sono andato sotto la curva a cantare l’inno insieme ai miei compagni. Qualcosa di impagabile. Sono contento di aver lasciato un segno come persona. I miei figli cantano ancora le loro canzoni. Questo vi fa capire l’amore che è nato con quella piazza. Ecco, mi sto commuovendo un’altra volta.

Fermarmi e smettere non è mai stata un’ipotesi. La mia passione è ancora troppo forte. Poi ho vissuto la guerra, come avrei potuto farmi abbattere da questa cosa? Affronto tutto con il sorriso e penso a trovare delle soluzioni. Ci si ferma, si ragiona e si trovano rotte diverse. Com’è stata la guerra? Ero piccolo. Noi bambini non capivamo davvero la situazione. Anzi, a volte eravamo felici perché saltavamo scuola e potevamo giocare. Certo, poi quando c’erano le bombe cambiava tutto. Le case che crollavano, la distruzione in giro, il rifugiarsi nei bunker. Segni che rimangono.

Vicenza, a presto

Ed è lì, in quelle strade che è nata la mia storia con il calcio. La passione per questo sport la devo a lui. Volevo giocare sempre, un po’ come mio figlio. Vuole solo palloni. Amo stare con i miei figli. Con la grande mi trucco anche se vuole! Diventare padre penso sia stata l’emozione più forte della mia vita. La famiglia è stata fondamentale in questo periodo. C’è stata anche un’altra esperienza che mi ha aiutato. Uno di quegli incontri che ti cambiano la vita: l’incontro con Baggio. È avvenuto tutto grazie a Fabrizio, il magazziniere del Vicenza a cui sono molto legato. La promessa: “Ti porterò da Robi”. E così è stato. Abbiamo parlato tanto. Mi ha lasciato con un consiglio: “Il calcio è la nostra passione, ma ricordati che non c’è cosa più importante degli affetti al tuo fianco. Loro sono il tuo futuro”. Non credevo che una persona così grande, potesse essere così semplice. Pura, pulita, bella.

Ora sono qua, a sognare ancora di rincorrere quel pallone come in quelle strade della mia infanzia. Voglio continuare a giocare per altri anni. Finché ho questo fuoco dentro andrò avanti, non mi voglio fermare. In estate mi piacerebbe tornare in Italia in una squadra con obiettivi importanti. Certo, il sogno è quello. Tornare a Vicenza. Tornare dai miei tifosi.