Fortin, la giovane promessa del Padova: “In futuro vorrei giocare con il numero di mio padre”
Cresciuto nel settore giovanile del Padova e ora titolare in prima squadra. Mattia Fortin si racconta: il rapporto con le figure paterne, lo studio e gli obiettivi.
Di padre in figlio: un passaggio di testimone. O meglio, di guantoni. Sì, perché Mattia Fortin, il portiere del Padova classe 2003, protagonista indiscusso di quest’avvio di campionato, ha già percorso una prima carriera calcistica, quella del padre Marco, estremo difensore in club di Serie A e B.
“Fin da piccolo, ho sempre voluto fare questo ruolo. Proseguendo mi è piaciuto sempre di più e ora è il mio lavoro”, ha dichiarato il giovane portiere che in 13 gare disputate ha già collezionato 8 clean sheet. E sul padre: “Il ricordo più bello di lui? Una delle sue prime partite. Allora giocava a Cagliari e nella sfida con il Milan parò il rigore a Kakà. Quella è stata una delle prime immagini nitide di mio padre in campo”.
Ha proseguito: “Il peso sulle spalle di essere “figlio di” non lo percepisco, anzi, mi sento privilegiato nell’avere in casa una figura che ha fatto un certo tipo di carriera“. E il rischio è proprio questo in parte, ma l’estremo difensore del Padova ha dimostrato di difendere con responsabilità i pali. Il suo piccolo rifugio, la porta, è rimasta inviolata per più di 600 minuti e quella rete subita all’83’ nell’ultima giornata con la Pergolettese ha fatto decadere il record: “Sono dispiaciuto, ma l’importante è aver portato a casa la vittoria. Il fatto di aver subito gol è un dato che è passato in secondo piano“.
Fortin-Fourteen: Marco (il papà) ha sempre indossato la maglia numero 14, ma ora è il turno del figlio: “Non nascondo che in carriera mi piacerebbe giocare con quel numero. L’anno scorso ce l’aveva un mio compagno e quest’anno uguale: è il numero fortunato di Villa. Così ho scelto di proseguire con l’1, come nella passata stagione a Legnago”. Nonostante il suo palcoscenico preferito sia sempre stato il Padova, l’anno scorso è stato dato in prestito al Legnago dove ha avuto modo di affinare prontezza e leadership. E anche durante quel viaggio aveva dimostrato grande solidità: 14 i clean sheet registrati in Serie C.
Sul legame con Adriano Zancopè, il padre calcistico
Oltre ad aver avuto una figura paterna di sangue, Mattia, negli anni, è stato seguito da Adriano Zancopé, suo preparatore attuale, nonché portiere che in carriera vanta presenze nelle massime categorie italiane. “In realtà oltre a lui c’è anche Andrea Cano, del settore giovanile. Lui è stato il primo che mi ha dato coscienza di quelle che potevano essere le mie capacità. E poi c’è Matteo Martini, con il quale ho lavorato a Legnago: lui mi ha accompagnato nel mio primo anno tra i professionisti”.
Ma se dovesse pensare a un padre calcistico non può che citare lui, Zancopè: “Quando avevo 16 anni, mi ha portato in prima squadra per la prima volta. Mi ha conosciuto che ero un adolescente e ora gioco titolare. Continua a darmi molta sicurezza”. C’è un suo consiglio, però, che il baby Fortin ha tatuato sulla fronte: “Mi ha detto che devo essere lucido nel mantenere un equilibrio. Nell’arco di una carriera è inevitabile che ci siano momenti di gioia e di sconforto”.
Oltre al calcio: tra futuro e passioni
Determinato dentro e fuori dal campo, l’estremo difensore del Padova, ha già guardato al post carriera: “Mia mamma fa la psicologa e il ramo mi ha sempre affascinato. Ora sto studiando Psicologia all’Università: sono al primo anno, ho iniziato da 5/6 mesi. Se non avessi proseguito con il calcio, penso avrei fatto questo. In futuro mi piacerebbe diventare mental coach”. E se fin qui ha dato prova di grande maestria, anche tra i libri non se la sta cavando affatto male: “Ho già dato tre esami e sono stato promosso (sorride)”.
La sua vita si divide tra calcio e studio, ma il ventaglio delle passioni si allarga: “Sono super appassionato di tennis e padel. Il mio idolo è sempre stato Federer: ha smesso, ma lo seguo sempre in quello che fa”. Una disciplina che mette in pratica nei mesi estivi: “Sui campi da tennis, papà mi batte sempre (ride). A padel, invece, sono più forte io, quindi quando ci sfidiamo è lui a far fatica, ma quando scegliamo di giocare in coppia non ce n’è per nessuno”. Con i guantoni a difendere i pali, tra i libri universitari o con una racchetta in mano, Mattia Fortin è un vero fuoriclasse. D’altronde, buon sangue non mente.