Antonio Zito è uno di quei calciatori che o lo ami o lo odi. Senza mezze misure. Una vita in campo: 406 presenze, 37 gol e 46 assist collezionati tra i professionisti, lo scorso 6 giugno Zito ha compiuto 36 anni, è reduce da una stagione divisa a metà tra Paganese (Serie C) e Nola (Serie D). La sua carriera è un concentrato di esperienza ed esperienze. Tutte da raccontare: l’intervista esclusiva a LaCasadiC.com.
Ogni viaggio ha un inizio. E Zito riavvolge il nastro del film della sua storia partendo dal calcio attuale: “Oggi giocano tanti giovani solo perché tornano utile in ottica minutaggio. Prima, invece, se non eri capace, se non sapevi ritagliarti il tuo spazio con le unghie e con i denti, se non ti rimboccavi le maniche e iniziavi a lottare nessuno ti regalava niente. L’ho imparato a Sorrento e Taranto giocando con gente come Checco Ingenito, con all’attivo oltre 500 gol in Serie D, e Pasquale Ottobre; con gente del calibro di Andrea De Florio, Alessandro Ambrosi, Fabrizio Cammarata, che a Taranto ci era arrivato dopo aver giocato alla Juventus, e un certo Davide Dionigi. Pezzi di storia del calcio italiano. Ho ammirato la loro professionalità. Ecco, a proposito di guadagnarsi le cose: per me scendere in campo, dato che all’inizio facevo l’attaccante, voleva dire essere così bravo da farmi preferire a loro. Nessuno mi diceva: “Vai a e gioca perché sei Under”. E io mi davo da fare anche quando mi relegavano a fare un ruolo non mio, il terzino, come accaduto a Benevento di cui porto nel cuore il rapporto con Ciro e Oreste Vigorito, che ha continuato a portare avanti il sogno di suo fratello”.
E dopo la gavetta, il grande salto: “Nell’estate del 2008 passai dal Taranto al Siena, dalla Serie C alla Serie A. Quel Siena lo allenava un giovane emergente: Marco Giampaolo. Ricordo che dopo 18 giornate in tribuna e una in panchina, perché eravamo 43 giocatori in rosa e c’era davvero poco spazio, chiesi di essere ceduto in prestito. Giampaolo mi rispose: “Antonio non muoverti di qui perché devi crescere qui con me. Ci sarà spazio anche per te“. Esordì con l’Atalanta, giocai contro la Reggina e nel mezzo realizzai il sogno di scendere in campo contro la Juventus subentrando a Daniele Galloppa“.
“Giocavamo in casa, perdemmo 3-0. A fine partita corsi a scambiare la maglia con Nedved e mi regalò la sua Trezeguet. Ma secondo te, potevo non chiederla anche a Del Piero? E allora mi sono lanciato tirando fuori il me in versione ‘scugnizzo di Fuorigrotta’. Ce l’ho fatta. E così a casa ho tre cimeli che custodisco gelosamente. Del Piero, al suo ultimo anno di carriera, era il mio idolo da bambino. Un mito come Buffon, Camoranesi e Chiellini, pure loro in campo quel giorno. Pensare che avevano regalato all’Italia il Mondiale in Germania solo 3 anni prima“.
Dopo il Siena, il Crotone e la Juve Stabia: “Con Braglia, ‘Pierino la peste’, vivemmo un’annata spettacolare. Per quanto possa risultare a tanti insopportabile, è un allenatore che ha i numeri dalla sua parte. Quando arrivai a Castellammare di Stabia, nella stagione 2011/2012, nella Juve Stabia allora neo-promossa in Serie B era alla guida di una squadra fastidiosa per tutti: fermammo il Torino, il Verona, la Sampdoria; sfiorammo la qualificazione ai playoff. C’era un pressoché sconosciuto Marco Sau: ricordo ancora che non volevano neppure prenderlo dal Foggia. Il resto è storia: segnò 21 gol. E come dimenticare un altro attaccante: Thomas Danilevicius, che ora è presidente della Federcalcio della Lituania. Non basta? La rampa di lancio per Diego Falcinelli e Cristiano Biraghi: oggi è capitano della Fiorentina, sono orgoglioso e lo merita, ma ha dovuto sudare perché allora era giovane e c’ero io davanti a lui… E poi chi si scorda Simone Zaza: pazzesco, estroverso, simpaticissimo. Un bambinone allucinante. Giocò appena 4 partite e fu ceduto al Viareggio. Chi lo avrebbe detto che sarebbe arrivato fino in Nazionale“.
Poi la svolta, con un nome e un cognome ben precisi: “Attilio Tesser mi ha cambiato la vita da giocatore. Un grande allenatore, un grande uomo. Ha vinto in Serie C e in Serie B. E continua a farlo. Non può essere, ovviamente, un caso. Quando fu chiamato dalla Ternana al posto di Domenico Toscano ha fatto le mie fortune: devo a lui essere passato da quinto a mezzala sinistra. In quel ruolo ho trovato la mia posizione ideale e mi sono esaltato”.
Nel gennaio 2014 il trasferimento all’Avellino per abbracciare l’amico più grande di tutti: “Conoscere Castaldo ha significato conoscere un vero amico. Merce rara in questo mondo. Abbiamo condiviso gioie e dolori, dentro e fuori dal campo. Tra di noi non ci sono mai stati segreti, siamo stati sempre leali l’uno con l’altro. Con lui abbiamo coniato l’esultanza mimando un brindisi con due bottigile di birra: perché? Dopo ogni vittoria con l’Avellino eravamo soliti bere una birra per raccontarci la partita. In quelli negativi era invece sfogo per tirare fuori di tutto e di più”.
Dici Avellino e non si può che parlare dell’addio all’Avellino coinciso con il sì agli acerrimi rivali sportivi della Salernitana. L’occasione ideale per dire ciò che finora Zito non aveva mai detto: “L’addio all’Avellino non dipese dalla mia volontà. Quando il 2 giugno 2015 fummo eliminati in semifinale al Dall’Ara, dal Bologna, l’allora presidente Walter Taccone promise che mi avrebbe rinnovato il contratto nel giro di qualche giorno. Quell’appuntamento non è mai stato realmente fissato. Così ne feci una questione di principio“.
“Iniziò il ritiro, mi incrociò e mi disse: “Antonio, come stai? Ti vedo un po’ giù di morale”. Io risposi: “Tranquillo, presidente, presto ritroverò il sorriso a gennaio sarò il primo ad andare via. Le ricordo che avevamo un incontro”. Lui rimase sorpreso e provò a sdrammatizzare aggiungendo: “Ma come, abbiamo rischiato la storia, dai non fare così”. Poi scoppiò a ridere. La trovai una grave mancanza di rispetto. Per me la parola e sacra”.
Frattura insanabile: “Si interessarono il Pescara e lo Spezia, che veleggiavano nei quartieri alti della classifica. Un giorno il mio agente, Claudio Parlato, mi chiamò e mi disse che c’era anche la Salernitana. Presi un giornale, andai a vedere la classifica e vidi che erano quasi spacciati: a 7 punti dai playout, praticamente retrocessi a gennaio. Fu allora che sentì dentro che era quella la vera sfida di cui avevo bisogno. Ho sempre adorato prendermi le rogne“.
“Accettai la Salernitana e nel primo allenamento decisi di entrare in maniera dura su un compagno di squadra. Non mi piaceva perché aveva un atteggiamento negativo. Ero convinto che quel tipo di modo di fare, svagato, fosse uno dei problemi di quel gruppo e che se la Salernitana annaspava nei bassifondi della classifica era proprio a causa di quel modo di fare. Il direttore sportivo Angelo Fabiani s’arrabbiò: “Antonio, ti ho preso per darmi la mano non per mandarmi all’ospedale i giocatori. Lo rassicurai: “Si fidi di me, questo è un messaggio per tutti i compagni che sono qui tanto per. Questa è la strada giusta per salvarci. Queste sono le corde da toccare”.
“La prima partita da giocare era Avellino-Salernitana, il 16 gennaio 2016. Con Tesser da avversario. Ironia della sorte. I tifosi vennero all’allenamento e si rivolsero a me: “Non ci importa dove hai giocato, basta che sudi questa maglia e per noi sarai un giocatore importante”. Quelle parole mi sono sono entrate nella testa perché le ho trovate intelligenti. Pensare alla propria squadra, innanzitutto. A Salerno i tifosi amano realmente la loro maglia prima di tutto“.
E arrivò l’ora del derby: “Ad Avellino presero il mio passaggio alla Salernitana come un tradimento, ma non era così. Due anni favolosi erano stati cancellati con un colpo di spugna. Quella giornata mi hanno insultato in un modo che non riesco nemmeno a spiegare anziché riconoscere il contributo che avevo sempre dato per difendere la maglia biancoverde. In fondo è più facile discriminare che ad apprezzare. E così, quando mi è arrivato tra i piedi un fumogeno dalla Curva l’ho preso e ho fatto finta di iniziare a fumarlo come fosse un sigaro per lanciare un messaggio: “Per me è un lavoro, ma quando sono in campo sono un bambino. E quello che state facendo mi fa solo divertire”. Essere attaccato mi ha sempre caricato particolarmente”.
“Perdemmo quella partita, fu decisivo Marcello Trotta, ma alla fine ci salvammo realizzando un’impresa incredibile. Sono felice di aver fatto la mia parte anche segnando un gol che porto nel cuore, nel playout contro la Vitus Lanciano. Mi piace pensare che se adesso la Salernitana in A è in piccola parte iniziato tutto da quella salvezza. Ho avuto il piacere di conoscere il presidente Danilo Iervolino in occasione della festa per i 103 anni dalla fondazione: l’ho trovato una persona eccellente, disponibile, affabile. Ha un bel progetto ed è il primo tifoso della Salernitana”.
Dal passato al presente: “Vorrei restare in questo ambiente, magari facendo il procuratore o il direttore sportivo. Forse l’allenatore, anche se è un ruolo piuttosto inflazionato al punto di essersi svalutato. La vita mi ha però insegnato che bisogna giocare d’anticipo, portarsi avanti con le idee, darsi da fare e così mi sono mosso già mosso su altri canali investendo nel settore nautico. Gli ultimi anni davvero belli della mia carriera li ho vissuti in Serie C con la Casertana, ma nel calcio contemporaneo, lo ammetto, mi ci riconosco sempre meno”. Perché Antonio Zito è così: prendere o lasciare.
A cura di Marco Festa
Allo Iacovone i pugliesi sfidano la squadra di Auteri nel match valevole per la sedicesima…
Stagione che sembrava già finita lo scorso ottobre, poi il recupero lampo. Ha quasi dell'incredibile…
Altri problemi in vista in casa giallorossi. Cancellata la partita di campionato, ecco quando si…
Union Clodiense Vicenza, Serie C 2023/24: tutti gli aggiornamenti sulla partita del girone A in…
Perugia Arezzo, Serie C 2023/24: tutti gli aggiornamenti sulla partita del girone B in tempo…
Tutti gli aggiornamenti Torna il campionato di Serie C 2024/2025. Archiviata la quindicesima giornata, è…