Il figlio resta in panchina e viene minacciato di morte, Capobianco: “Così non è più sport”
“Così non è più sport”. Il responsabile del settore giovanile dell’Avellino Giuliano Capobianco è comprensibilmente scosso a poco più di 24 ore dal grave episodio di violenza di cui è rimasto vittima in occasione della gara tra i biancoverdi e la Viterbese Under 17: minacce di morte, prima di un tentativo di aggressione da parte di un genitore. Il motivo? Suo figlio era rimasto in panchina. Il dirigente è stato convocato in Questura per riferire su quanto accaduto e, mentre indaga la Digos, emergono i contorni di una quotidianità scandita da un clima pesante. Costante. Messaggi, telefonate per chiedere lumi sull’impiego dei propri ragazzi. Nella migliore delle ipotesi.
Capobianco: “Ci sono troppe pressioni, non tutti i ragazzi diventeranno calciatori”
“Ci sono tante, troppe pressioni trasferite sul campo che, paradossalmente, sono dannose soprattutto per i ragazzi” ha raccontato Capobianco in esclusiva a LaCasadiC. “I genitori devono capire che a calcio si gioca per divertirsi e che non tutti diventeranno calciatori.” – ha proseguito Capobianco – “Magari i loro figli prenderanno strade differenti. Se tutti riuscissero ad arrivare ai massimi livelli saremmo i primi a essere felici, ma se manca la pazienza e si degenera allora viene da chiedersi che senso abbia lavorare ogni giorno con loro e per loro”.
Solidarietà dalla Lega Pro, che ha fermamente condannato l’episodio: non l’unico registrato nel fine settimana ad Avellino. Sabato scorso al “Partenio-Lombardi”, in occasione di Avellino-Potenza, un altro genitore ha inveito e tentato di colpire al volto con un pugno un tesserato dell’Avellino presente in Tribuna Montevergine. La colpa? Non aver “suggerito” di far giocare suo figlio. Non aver speso una buona parola nello spogliatoio e con la proprietà.
Capobianco: “Sui social inizia a montare la rabbia, stavolta si è andati oltre”
Capobianco intanto non si dà pace: “Purtroppo quando si ha che fare con i giovani non è raro imbattersi in situazioni del genere. I social, poi, sono una sorta di zona franca dove inizia a montare la rabbia. Adesso si è andati anche oltre. È avvilente perché l’esempio è pessimo. Ciò che è accaduto è degradante. I valori, umani e dello sport, sono scomparsi. Resta solo una brutta pagina che ha fatto il giro d’Italia”.
Capobianco: “I genitori capiscano che nel calcio e nella vita deve vincere la meritocrazia”
Eppure Capobianco, orgogliosamente irpino, dirigente emergente scelto dal presidente D’Agostino nel febbraio del 2020 per rifondare il vivaio, non si sottrae dal mettersi nei panni dei genitori: “Mi rendo conto si fanno tanti sacrifici nella quotidianità per permettere ai ragazzi di allenarsi. Non è semplice. La vita viaggia di pari passo con allenamenti e partite. Da parte nostra non può esserci altro che la completa disponibilità per far fronte a ogni tipo di esigenza, in pieno spirito collaborativo. Ed è proprio questo a rendermi difficile arrivare a capire perché si arrivi a percepire noi dello staff come nemici. È assurdo. Ci sono delle scelte tecniche da rispettare. La meritocrazia è alla base di tutto”.
L’Avellino ha scelto la linea dura annunciando che prenderà provvedimenti nei confronti dei tesserati coinvolti “malgrado l’indiretta responsabilità degli interessati” e ha preannunciato denunce presso le autorità competenti. Anche lo stesso Capobianco ha confermato questa linea in un’altra intervista, quella al Corriere dello Sport: “Mi ha urlato ‘ti taglio la testa’. Poi l’ha ripetuto dopo. È la goccia che fa traboccare il vaso”. E adesso la querela è arrivata alla Procura di Avellino.
A cura di Marco Festa