Passato, presente e futuro. Nel febbraio 2020 l’Avellino passava nelle mani di Angelo Antonio D’Agostino. Dopo tre anni di gestione, a tracciare un bilancio in un’intervista a LaCasadiC ci ha pensato suo figlio Giovanni, amministratore unico del club biancoverde.
La famiglia D’Agostino, proprietaria della squadra del cuore e irpina. Con tutti i pro e i contro del caso: “Credo sia una condizione molto più difficile rispetto a quella che affronta chi guida club a cui non è legato dal punto di vista affettivo e territoriale. Anche se vai al bar si sente una pressione costante. Da un parte c’è il privilegio e l’onore, dall’altra il peso delle aspettative e delle responsabilità. Bisogna restare lucidi” ha esordito Giovanni D’Agostino dando il via a una lunga chiacchierata a tutto campo.
L’Avellino per i D’Agostino è diventato una questione di famiglia: “Mio padre è più di un presidente. Rappresenta la guida, la luce da seguire come in tutte le altre nostre aziende. Nell’Avellino ognuno si assume le sue responsabilità in base al ruolo che ricopre. Ci confrontiamo quotidianamente, ma mi lascia molta libertà di azione. Lo stesso vale per il direttore sportivo De Vito. Con mio padre abbiamo un rapporto di odi et amo come qualsiasi genitore con suo figlio. Ho visto mio padre crescere dal punto di vista imprenditoriale negli ultimi trent’anni. La nostra realtà è passata da una quindicina di dipendenti a oltre cinquecento”.
Ed è tempo di primi bilanci anche sull’azienda calcio: “Il calcio è difficile. Non c’è mai la certezza che una scelta che prendi ti porterà ai risultati che desideri. Ci sono delle variabili imprevedibili e imponderabili. Chi spende di più non sempre vince e, in fondo, questo sport e questo mondo sono belli anche per questo. In tre anni abbiamo vissuto di tutto. La pandemia, le porte chiuse. Momenti più e meno belli. Sono stati giorni, settimane e mesi duri. In cui siamo cresciuti tanto sia sotto il punto di vista professionale sia umano”.
“Abbiamo investito tanto, complessivamente quasi 20 milioni di euro, ma è come se gestissimo un bene pubblico con fondi privati. Molti lo sottovalutano. Tutti si sentono proprietari dell’Avellino perché è effettivamente un bene della comunità. Non mi aspetto riconoscenza, perché in questo ambiente come in tanti altri ce ne è poca, ma sono convinto che se continueremo tenendo la barra a dritta, programmando, ci toglieremo delle belle soddisfazioni. Spero che il meglio debba ancora venire”.
Tutto fa esperienza: “Non c’è una scelta che non rifarei perché fa tutto parte del nostro percorso, tra alti e bassi. Le aspettative che hanno accompagnato il nostro arrivo hanno, forse, acuito le divisioni, ma il raggiungimento degli obiettivi sarà la conseguenza del nostro lavoro. Dovremo sbagliare ancora per migliorare e raggiungere la nostra dimensione più adatta, per blasone, tifo e potenziale a livello societario, ovvero la Serie B. Per questa stagione non ho né rimpianti né rimorsi perché il Catanzaro sta disputando un campionato per cui sarebbe stato in ogni caso imprendibile. Sta battendo tutti i record. Anche a Catanzaro sono increduli pur essendosi spesi per anni ed anni affinché si arrivasse a questo punto. Vivarini è stato bravissimo a creare un gruppo straordinario”.
“Certo, abbiamo perso tanti punti per strada. Potevamo e volevamo essere più in alto, ma ce la giocheremo nei playoff. Secondi, terzi, quarti o quinti cambia poco. I playoff sono un campionato a parte e conta come ci arriveremo in termini di consapevolezza, forza psicologica e freschezza atletica. Sono convinto che, continuando così, anche grazie ai correttivi operati nel mercato di gennaio, potremo dire la nostra. Pure con la spinta dei nostri giovani. Ricciardi, Maisto, Moretti, Russo, solo per citarne alcuni, hanno avuto modo di confrontarsi con una piazza difficile e farsi valere. Ora fanno gola a tante società e ci fa piacere. Ci aiuteranno a raccogliere quello che abbiamo seminato dopo non aver badato a spese per rifondare l’Avellino. A partire dal settore giovanile”.
Calcio e social. Un binomio che delicato ai tempi dei social: “Non bisogna farsi condizionare. Ultimamente c’è un silenzio disarmante perché le cose vanno bene. Evidentemente le persone sono contente e non hanno bisogno di sfogare le proprie frustrazioni sull’Avellino. Almeno credo, me lo spiego così. Lo spero. Resta, però, del parere che bisogna seguire i social perché sono un termometro dell’umore della piazza. Possono aiutare a capire gestire meglio determinate situazioni. I social vanno usati con criterio, magari per farsi una risata o divertirsi come fanno i nostri calciatori”.
Sui social Giovanni D’Agostino racconta l’amore per il suo lupo cecoslovacco, Est Hirpus: “Con lui condivido i miei pochi attimi liberi. Ho deciso di adottarlo dopo che il mio meticcio Django è stato investito mentre ero a Terni. In quel pomeriggio del 4 maggio 2021 la Ternana fu promossa in Serie B. Mentre tornavo a casa con mia moglie, che da allora non è più voluta venire in trasferta, ricevemmo la notizia di questo incidente o presunto tale. Dico così perché ci fu un commento agghiacciante sotto il mio post di addio a Django, che quasi lasciava intendere che fosse stato ucciso di proposito per vendetta nei miei confronti. E, infatti, ho provveduto a sporgere denuncia. Mi sono tatuato Django su una coscia e ho adottato Est Hirpus“.
“Vivo in campagna, a Montefalcione, in provincia di Avellino, per stare lontano dallo stress e godermi il tempo libero. Abbiamo tanti ettari di terreno a disposizione, lui è un animale fantastico. Insieme andiamo a caccia di emozioni. Gli metto una bandana rossa al collo per evitare che possa essere confuso con un lupo vero. Mi aiuta molto a staccare. Si chiama Est Hirpus perché quando viaggio e prendendo il casello Avellino Est mi sento a casa. Hirpus, ovviamente, perché vuol dire lupo. E noi siamo lupi. Lui ormai è la mascotte dell’Avellino, l’ho portato in ritiro quando era cucciolo e appena possibile sarà presente anche allo stadio”.
Amante degli animali e da poche settimane papà. Giovanni D’Agostino sogna di portare suo figlio Angelo Antonio nel nuovo stadio “Partenio-Lombardi”: “Certo, mi immagino con lui nello stadio che vogliamo costruire. Per ora non si sogna perché con il mio Angelo Antonio D’Agostino si dorme poco. Da noi, come in tante altre parti d’Italia, c’è la tradizione chiamare i figli come i nostri padri. Con mia moglie Martina l’abbiamo rispettata. L’emozione che si prova ad averlo in braccio è qualcosa di fantastico. Ha un nome importante, che forse maledirà in adolescenza. Appena farà meno freddo lo porterò anche nel nostro attuale stadio, sperando che non mi contestino (ride, ndr)”.
In passato Giovanni D’Agostino era leader di un bandi, i VAT VAT VAT, e in una famiglia in cui l’arte e l’amore per la musica non mancano l’ispirazione declinata in chiave calcistica: “La canzone che dedicherei all’Avellino è ‘Bold as Love’ di Jimi Hendrix. La traduzione letterale del titolo è ‘Audace come l’amore’. Come tutti sanno sono stato anche un cantautore è parafrasando ‘Bold as Love’ scrissi la mia ‘Audace come l’amore’. Bisogna essere audaci come l’amore anche nel calcio, anche quando sembra che le cose vadano male e che i risultati non arrivino. Bisogna sempre essere audaci. Audace magari non come il Cerignola, che ci aspetta con grande rispetto. Abbiamo ripreso a fare paura con i 7 gol realizzati nelle ultime due partite. A Roma ho avuto modo di chiacchierare e scherzare cordialmente con il presidente Grieco. Sono sicuro che sarà una bellissima partita”.
Nella musica sta facendo strada Frada, pseudonimo di Francesco D’Agostino. Ha partecipato a X-Factor, suonato in piazza Duomo a Milano ed è sempre più apprezzato e presente nel panorama dei cantautori italiani: “Abbiamo otto anni di differenza, mi rivedo un po’ in lui. Sta ottenendo dei grandi risultati, delle grandi soddisfazioni. Si è trasferito a Milano, è un grande amico di Blanco. Frada è un grande professionista, mi emoziona tantissimo vederlo realizzarsi. Ha un contratto con la Universal, per lui la musica è diventata un lavoro a tutti gli effetti. Ha seguito le mie orme, ma per quanto mi riguarda a un certo punto ho capito che per me poteva essere al massimo un hobby. Scelsi di fare altro. Posso solo dirgli di non mollare mai e continuare a divertirsi. La musica fa parte del nostro DNA”.
E Sanremo lo dimostra: “Mi è piaciuta molto la canzone di Gianluca Grignani, dedicata a suo padre. Essendo papà da poco mi ha toccato e mi è piaciuto il suo messaggio contro la guerra. Rappresenta il rocker prestato al pop italiano. Ha saputo affrontare i suoi problemi. E poi che dire, fuori concorso, dei Maneskin con Tom Morello. Loro sono un esempio di Italia che ce la fa oltre tutto, oltre gli scetticismi e le critiche”.
Chitarra elettrica e calzettoni. Giovanni D’Agostino è stato anche un attaccante: “Dopo venti anni di tesseramento FIGC ho appeso le scarpette al chiodo come si vede da qualche chilo in più. Ero un numero 10 e ho scherzato con Zola a Roma a tal proposito. L’ho fatto ridere parecchio. Nell’Avellino mi rivedo non in un attaccante ma in Sonny D’Angelo, nel suo estro e nella voglia di cercare la giocata difficile. Io ne avevo troppo quando giocavo, per cui ho fatto meglio a smettere dopo aver raggiunto la Primavera dell’Avellino e giocato tanto a livello dilettantistico dalla Promozione in giù. Il calcio è bello, è formativo. Spero che mio figlio lo pratichi”.
La sua poliedricità lo ha portato anche ad avvicinarsi al giornalismo. L’Avellino ha sostenuto la candidatura del neo-presidente della Lega Pro, Matteo Marani: “Parlammo con lui a Milano. Si presentò con grande umiltà, anche se non aveva bisogno di presentazioni, spiegandoci il suo programma. Lo abbiamo scelto, innanzitutto, per la sua grande cultura. Abbiamo votato anche per Zola e Spezzaferri vice presidenti. C’è tanto da lavorare. Oggi la Lega Pro non funziona. Sessanta squadre sono troppe e c’è troppa differenza economica, finanziaria e di gestione”.
“Prendiamo ad esempio il minutaggio con cui si sostiene quasi 70 per cento dei club. L’altro 30 per cento, che punta a vincere il campionato e ad arrivare nei playoff ne fa a meno perché deve puntare sull’esperienza ed è difficile vincere tenendo quattro under insieme in campo contemporaneamente per raggiungere la soglia dei 271 minuti. Eppure i giovani sono la chiave per dare valore al parco calciatori delle società. Bisogna abbassare la soglia per accedere al minutaggio perché quei soldi tornerebbero utili, in termini di sostenibilità, anche per ridurre i costi. Soprattutto per chi continuerà la stagione ai playoff e non solo per i club che puntano a salvarsi”.
“Credo che sia inconcepibile che club come noi, il Crotone, il Padova, non raccolgano nulla con questa formula di minutaggio e poi si ritrovino a fare i conti con tante spese e pochi ricavi. Non si tratta di non volere i club cosiddetti piccoli in Lega Pro, è anche bello che Davide batta Golia, ma tralasciando il minutaggio ci sono anche stadi e realtà che creano problemi di adattamento a società di fascia alta. Noi portiamo avanti la Lega Pro. La possibile soluzione? Rispolverare la Serie C1 e la Serie C2 o orientarsi sulla formula della B1 e della B2 d’Élite con 30 squadre a testa selezionate con vari parametri, diversi da quelli attuali”.
In città e in provincia nessuno ha mai smesso di sognare di ritornare ai fasti di un tempo: “La A oggi per l’Avellino è una lettera. Un sogno che per adesso resta tale. La dimensione a cui ambire è la Serie B. Dobbiamo puntare alla Serie B e a consolidarci in B. Poi, come dice Benigni, chi sogna arriva prima di chi pensa, ma bisogna evitare di alimentari entusiasmi illusori. Senza strutture, programmazione, per cui abbiamo posto le basi, valorizzazione dei giovani è difficile pensare a più della Serie B. Prima di tutto bisogna creare valore. Ci arriveremo noi o un’altra proprietà? La piazza lo merita, ma tra il dire e il fare...”.
A cura del corrispondente Marco Festa
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