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Alessandro Cesarini, l’essenza del numero 10: “Dallo Spezia al Piacenza, il mio viaggio”

Senza il 10 non è calcio”. Un numero in cui l’estro si unisce alla fantasia. La bellezza si incontra con l’arte. Un simbolo dentro cui la storia del calcio prende vita. Privilegio e responsabilità per chi la veste. Come Alessandro Cesarini, capitano del Piacenza, che del Diez ne rappresenta la purezza e lo spirito: “È l’essenza del gioco”, ha raccontato nell’intervista ai nostri microfoni. Insieme da sempre, l’attaccante e questo numero. Una storia d’amore con il calcio che l’ha portato a raggiungere e superare il traguardo dei 100 gol tra i professionisti. Un viaggio iniziato nella sua La Spezia e ora arrivato a Piacenza. Un’occasione, questa chiacchierata, per rivivere il suo film. Le istantanee più belle e profonde. Le onde del mare come colonna sonora. Alessandro Cesarini il regista. 

Dalla curva a idolo del Picco: Cesarini e lo Spezia

Tra i volti e le reti dei pescatori e il fascino delle creuze de mä, un bambino guarda l’orizzonte “d’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole”. Una passione innata per il calcio e per una squadra: “Da bambino andavo in curva a vedere lo Spezia con mio nonno e mia mamma. Ho fatto tutta la trafila nel loro settore giovanile”. Un amore profondo, coltivato anche sul campo: “Negli Allievi Nazionali feci 18 gol e mi allenavo con la prima squadra che vinse la C1. Poi nell’anno della Primavera trovai poco spazio”.

Alessandro se ne va. In testa l’idea di smettere: “Alla fine andai alla Sarzanese in D. Inizialmente ero con la Juniores”. Dopo 4 gol in un tempo alla prima partita la chiamata in prima squadra e la maglia da titolare. Dopo due anni e mezzo il riscatto: “Lo Spezia mi ricomprò. Una soddisfazione”. Un sogno che si realizza: “Nel marzo 2010 feci con loro il primo gol tra i professionisti. E poi i tre gol nelle due finali playoff. I più importanti della mia carriera. Riportai lo Spezia in C1”. Una corsa verso i tifosi. Il Picco come teatro. Dalla curva a idolo di un popolo. Il suo.

Gli infortuni, il Piacenza e i 100 gol

Di ostacoli la vita ne ha presentati ad Alessandro Cesarini. Un percorso di costante crescita e maturità. “Per me lo Spezia era tutto. Rifiutai proposte dalla Serie A di Sampdoria e Parma”. Scelte che determinano l’uomo che sei. Poi diversi prestiti “Andai al Viareggio, giocai in attacco con Zaza. Lui arrivò a gennaio. Fece 11 gol e io 9. Si vedevano le sue qualità”. Concluso il contratto con lo Spezia lo prende il Parma: “Mi girarono al Savona. Feci un grande anno, al termine del quale mi sposai”. La grande occasione: “Sarei dovuto andare in ritiro con Donadoni, ma la società fallì. Vidi sfumare l’opportunità che mi ero costruito”. Cadere per rialzarsi: “Andai a Pavia. Le stagioni migliori della mia carriera”. E due cucchiai da cineteca. Un’operazione per la pubalgia e la paura di smettere, due anni positivi e poi il destino si ripresenta sulla sua strada. La gamba fa crack e la società fallisce. Siena, qualche mese a Pistoia e la piena rinascita a Piacenza: “Sto vivendo un’esperienza bellissima”.

Numero 10 e fascia di capitano. “Sono molto felice. Qui è nato anche il mio secondo bimbo”. E proprio nella stessa settimana un gol denso di significato: “Segnai in rovesciata contro la Pro Vercelli. Una rete importante per svoltare dopo un periodo complicato”. Immagini dipinte nella storia. Istantanee che regalano emozioni, come quella dei 100 gol superati tra i professionisti: “Un traguardo bellissimo. Ora il sogno è portare il Piacenza in B”. Sprazzi di distillato calcistico. Con i playoff raggiunti. Nel segno del 10.

La saudade per il mare e la famiglia

Appena posso ci torno dal mio mare”. Anche per un’altra sua grande passione: “A La Spezia la mia famiglia ha un circolo di tennis, ci gioco sempre”. L’idolo? “Federer. Solo talento”. Un sentimento di saudade per la sua terra. Lerici, Porto Venere, Sarzana, La Spezia. “I primi ricordi con mia moglie, gli anelli scambiati. Inizia tutto lì. Luoghi che fanno parte della mia vita”. Posti che sanno di famiglia. Già, la famiglia: “Fondamentale per me”. Dal nonno che lo portava allo stadio ai genitori: “Mi hanno permesso di seguire il mio sogno”. E poi l’amore per la moglie Erica e i due bambini Cristian e Santiago: “Fondamentali, mi danno la forza per superare tutto”. E proprio in settimana ha portato il più grande al primo allenamento: “Una forte emozione. Viene sempre a vedermi”. Da padre a figlio.

Il calcio secondo Alessandro Cesarini

Il calcio e il numero 10. Un modo d’essere. Una visione del mondo e del gioco. “Il Mago” come soprannome: “Ero a Pavia. Fu Soncin a pensarlo. Da lì è partito tutto”. Il diez sulle spalle: “È l’essenza del gioco. Da piccolo sognavo di indossarlo”. La bellezza di essere il numero 10. Lo stesso dei suoi riferimenti. Baggio: “Da bambino era il mio idolo. Lo vidi in un Inter-Brescia, la mia prima partita dal vivo. Faceva coppia con Ronaldo”. E Totti: “Quello in cui mi rivedo di più. Ho la sua maglia autografata. Quanto ho stressato Domenichini per averla (ride ndr)”. Un pallone come filo conduttore: “Per me il calcio significa felicità. Ho sempre voluto essere protagonista. Giocare per divertire e divertirmi, per creare e inventare cose diverse dagli altri”. Il tempo si ferma. Uno sguardo al futuro: “Il mio Piacenza. E uno al passato: “Mi rivedo da piccolino a giocare nel piazzale di Carnea con mio nonno Libero. Vedo il sogno di diventare un giocatore”. Un sogno diventato realtà: “Sono orgoglioso di quanto ho fatto. Sono partito dai campi di periferia. Mi sono costruito da solo”.

Un viaggio scritto con le emozioni. Un momento per guardarsi indietro e guardarsi dentro. Alessandro Cesarini, un artista prestato al calcio. Essere un numero 10.

A cura di Nicolò Franceschin

Nicolò Franceschin

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