“Senza limiti e confini. Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini. E più in alto e più in là. Ora figli dell’immensità”, cantava Lucio Battisti. “È il cantante che sento più mio. Nacque nel mio stesso giorno, il 5 marzo. E ‘La collina dei ciliegi’ è il pezzo in cui più mi ritrovo”, ci racconta Gianmario Comi, attaccante classe 1992 della Pro Vercelli. Una poesia che invita a superare le difficoltà della vita per poter “correre sulla collina. E fra i ciliegi veder la mattina” e vedere il sole. Un testo che sembra quasi raccontare la storia di Gianmario. La storia di un ragazzo diventato uomo.
E noi siamo andati ad ascoltare le sue parole. Le parole di un uomo, appunto, consapevole dei suoi sbagli e di quanto deve fare per costruirsi il suo futuro. Il presente si chiama Pro Vercelli, sesta a 28 punti e di cui Gianmario è il capocannoniere con 6 gol. Un’intervista. Un tuffo nel passato. Una lezione… di vita.
“La Juventus mi aveva cercato più volte ma mio padre – racconta Comi – sapendo quanto fossi già tifoso del Toro, non mi disse nulla”. Il piccolo Gianmario sceglie i colori granata: “Una scuola di vita”. Dai pulcini alla primavera, fino agli assaggi della prima squadra: “A quindici anni andai per la prima volta in panchina al Franchi. Mi ricordo che ci segnò Bobo Vieri”. Un amore, quello per il Toro, che scorre nel sangue di tutta la famiglia: “Già da bambino andavo in curva Maratona con mio zio Meo. Sono cresciuto con l’esultanza di Ferrante e il mito di Pulici”. E quell’esultanza l’ha ereditata. E domenica è tornato al gol nella vittoria contro la Juventus U23. Una rete dal sapore speciale.
Ma nella vita arriva un momento in cui la casa bisogna lasciarla. Comi arriva al Milan in Primavera: “Fu un anno molto positivo. Segnai 28 gol”. E poi i ricordi con la prima squadra: “Imparai tanto. C’erano Ibra, Nesta, Gattuso, Thiago Silva”. E Inzaghi: “Mi aiutò molto”. Due ricordi indelebili dell’esperienza rossonera. Una: il Trofeo Tim “davanti a 50mila persone”. Per la seconda bisogna tornare con la mente al 15 agosto 2011. Siamo in Svezia, si gioca Malmoe-Milan, in onore di Ibrahimovic. Zlatan al 60’ esce, sostituito da un ragazzo, Gianmario Comi: “Un’emozione indelebile”.
Delusioni e gioie. Errori e insegnamenti. Gianmario Comi, forse più di molti altri, è il prodotto delle sue cicatrici. La carriera tra i grandi inizia bene: alla Reggina nel primo anno di B segna 11 gol. È qui che conosce Fabio Ceravolo, ora al Padova: “Un mio grande amico che mi ha aiutato tanto”. E a legarli è anche la data del compleanno, il 5 marzo, un’altra volta: “Ogni anno ‘Auguri Fabio’, ‘Auguri anche a te Gianmario’ (ride ndr)”. Per non parlare del gol alla Aldo Baglio inscenato dai due in vacanza assieme.
Poi arrivano gli anni difficili in giro per la B. Problemi fisici, scelte sbagliate. Con una nota positiva nel 2014/2015: “L’anno di Avellino è stato speciale, ho stretto rapporti forti. Il simbolo del lupo lo porto nel cuore”. Dopo stagioni fatte di cambi e giri, è arrivata l’ora di fermarsi. Siamo giunti alla tappa della stabilità. Una stabilità che Gianmario trova, pensate il destino, con i colori bianconeri. No, non alla Juventus. Sempre in Piemonte però, a Vercelli, la sua seconda casa, dove ha da poco raggiunto le 100 presenze. E in questa nuova casa trova una piena maturità, fondata sulla consapevolezza degli errori commessi, delle proprie forze e degli obiettivi per il futuro. Quest’anno ha anche ritrovato Scienza, un cerchio che si chiude: “Era il mio allenatore nella Primavera del Torino”. E la volontà è chiara: “Sono sereno e conscio di chi sono. Voglio dare il massimo per me e per la squadra”.
Gianmario è a Reggio Calabria. Suona il telefono, risponde un romano. “Chi c***o sei?”. “So’ Francesco”. Sì, Francesco Totti, che sta chiamando con il telefono di Roberto Comi, padre di Gianmario, dagli spogliatoi dell’Olimpico prima di un Roma-Torino. “Un’emozione indescrivibile. La sua maglietta autografata per me è sacra. È il simbolo di un calcio vero, puro”. E il padre Antonio ci giocò anche assieme: “Fu suo compagno alla Roma. Era in campo il giorno del suo esordio a Brescia nel 1993”.
E nella sua carriera Gianmario ne ha incontrati di giocatori. Alcuni sono diventati amici. Ed è il caso di Mattia Aramu, suo compagno in passato alla Pro Vercelli: “Anche lui è cresciuto nel Torino, di cui è grande tifoso. Vederlo segnare contro i granata con il Venezia una soddisfazione enorme”. E poi le esperienze nelle giovanili della Nazionale. È qui che conosce Belotti: “Ricordo che in Irlanda del Nord giocai al suo posto perché era infortunato. Mi regalò la sua maglia del Palermo. Un passaggio di consegne”.
Un legame forte con la famiglia. Con papà Antonio, ex calciatore e dirigente del Torino: “Una figura fondamentale. Lo devo ringraziare per i valori che mi ha insegnato. Mi ha fatto camminare con le mie gambe”. E poi la mamma, la sorella e ora i nipotini: “Mio nipote le prime parole che ha detto sono state ‘Forza Toro’ (ride, ndr)”. L’influenza di zio Gianmario si è fatta subito sentire.
“Nella vita quello che semini raccogli” e Gianmario lo sa bene. Ora ha raggiunto la sua piena maturità: “Ho pagato a caro prezzo scelte ed esperienze sbagliate e nessuno ti regala niente”. Gianmario l’ha imparato. Adesso è un uomo. Responsabilità, consapevolezza, maturità, con la volontà di costruirsi il futuro, partendo dal presente. Un ragazzo, diventato uomo, che a 29 anni gioca con l’entusiasmo di un bambino e che cerca sempre di migliorarsi. Ora Comi è pronto, con la 10 della sua Pro Vercelli sulle spalle. Pronto per “correre sulla collina. E fra i ciliegi veder la mattina” e, finalmente, vedere il sole.
A cura di Nicolò Franceschin
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