A volte maltrattato, altre esaltato. Spesso denigrato, quasi sempre manifestato come l’esatto contrario. Il tifo è qualcosa di complesso da definire. È qualcosa di tanto soggettivo quanto oggettivo. C’è il tifoso passionale, quello accorto, quello sempre critico, quello occasionale e ahinoi, seppur di rado, quello che con lo sport non ha nulla che vedere. Infine, c’è il tifoso del Cesena; categoria a sé. Dietro a tutta una serie di abitudini, di riti, di abbigliamenti e cori che vengono ripetuti per anni si celano storie da raccontare. Come quella dell’Orogel Stadium Dino Manuzzi di Cesena. Uno stadio che sin dal proprio nome raccoglie dentro di sé l’essenza della passione. “Che bello è…”.
Pasolini lo definisce come “una malattia giovanile che dura tutta la vita”. Forse è frutto dell’esperienza personale, o magari un suggerimento. Forse, è solo Pasolini, chissà. Fatto sta che pensare al tifo sportivo come qualcosa che dura nel tempo ha un suo perché. La domenica: il relax dopo la settimana lavorativa, quel giro in bici o quella passeggiata fin troppo rimandata. Il pranzo con amici e parenti. E quello strano bisogno di condivisione. Quante sfaccettature può raccogliere uno stadio? Quante emozioni diverse possono mischiarsi fra i seggiolini attorno a un campo da calcio? Quanto un domenica uggiosa e noiosa di novembre può trasformarsi nella più solare e divertente? Come una gelida serata di gennaio davanti alla tv potrebbe essere barattata con un’ora e mezza a battere i denti sugli spalti?
Questi i sintomi di quella malattia che porta una città a radunarsi, tra un piatto di cappelletti e un bicchiere di vino, in quello stadio che, ormai, è custode di tradizioni. Cesena e l’Orogel Stadium Dino Manuzzi sono tutto questo. Un impianto che vede nel suo nome l’esatta rappresentazione del suo scopo. Dino Manuzzi, storico presidente del club romagnolo, ma soprattutto primo tifoso. Antologia di una passione. Tramandata negli anni, generazione dopo generazione. Fino ad oggi. Si può vedere, toccare con mano, ascoltare e vivere. Un tifo, quello del Cesena che non mancherà mai di rispondere ‘presente’. La categoria è solo formalità. La Curva Mare sarà sempre lì. Canterà, salterà, urlerà…perché “Romagna mia” è una malattia strana.
Una patologia dal percorso inverso: dona la sensazione di benessere. Regala la consapevolezza di trovarsi nel posto giusto. C’è complicità con chi siede a fianco perché entrambi sono nella stessa condizione. Cesena e il Cesena sono il connubio sul quale si costruisce una tradizione. Quella che vede uno stadio sempre gremito, dalla Serie D dopo un disastroso fallimento che segue l’incredulità immaginifica di un 2-0 al Milan di Ibra. La Curva Mare è quella certezza sulla quale tutti i giocatori che indossano la maglia bianconera possono fare affidamento. Mai un fischio per i propri beniamini, un supporto costante nella condivisione di sogni e fatiche. “La passione di questa gente è il motivo per cui non ci poniamo limiti”. Anche Domenico Toscano, allenatore abituato a tifoserie di spicco, rimane folgorato dall’affetto e dalla vicinanza del pubblico cesenate. Il Manuzzi è il luogo di incontro di una città che trasuda pallone. Che ama il calcio e il Cesena.
Fantastico, unico, d’altra categoria. Tante sono le definizioni attribuite al pubblico dell’Orogel Stadium. Molte di più le dimostrazioni della loro veridicità. Un campionato di Serie C che può assistere, ogni giornata, a una media di quasi 10.000 spettatori. Con punte di quasi 14-15mila (LEGGI QUI). Sono cifre che poco hanno da spartire con certe categorie – direbbe il tifoso critico di cui sopra. Quello passionale i numeri manco li guarderebbe. Quello del Cesena sta nel mezzo; si pone in quella fascia in cui l’unica cosa che conta è ‘esserci’. Il pubblico del Cesena è quello che all’ingresso delle squadre si alza in piedi perché gioca la sua Nazionale e immagina una “Romagna Capitale”. I supporters romagnoli sono quelli che la domenica escono di casa perché “Che bello è andare allo stadio…”. La Curva Mare è oltre 6.000 cuori pulsanti che alzano il ritmo prima dei calciatori. È quel beat costante che batte regolare per 90 minuti e scandisce il susseguirsi di emozioni. La Mare è il quadro più bello del calcio della gente. È la raffigurazione degli opposti che si attraggono: il bianco e il nero che dipingono la fantasia. Il Manuzzi è il luogo dove celebrare i simboli di un territorio come Marco Pantani con la semplicità di un disegno e qualche cartoncino. La gradinata è quel luogo in cui nonno oggi ti chiama “burdel” domani “e’ burdel” ti chiama “babbo”. La Curva Mare è la malattia dalla quale “Guarir non so”. Tradizione scolpita. E in Romagna non c’è nulla i più importante. Orogel Stadium Dino Manuzzi: stadio d’altra categoria. Mai come oggi. Il Cesena è in Serie B!
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