Da militare con Mancini al Padova rock di Lalas. Longhi: “E pensare che potevo diventare un pasticciere…”
Estate del 1981, Damiano Longhi all’epoca aveva 15 anni. Si era appena diplomato ed era pronto ad iniziare il suo percorso lavorativo come pasticciere nelle vicinanze di Ravenna sua città natale. Era estremamente abile nella creazione di dolci ma la sua vera passione era il calcio. E in realtà il talento maggiore non risiedeva nelle sue mani, ma proprio nei piedi.
Talento sì, ma anche la giusta dose di sudore per rincorrere un sogno. Un anno di sacrifici, passando i pomeriggi sul campo da calcio di Russi e le notti davanti ad un forno fino al momento in cui la sua vita ha avuto una svolta. Tutto merito di un provino nel 1982.
La contesa era tra il Bologna e il Modena, ad avere la meglio è quest’ultima che si aggiudica quel centrocampista velocissimo e dal fisico un po’ esile, ma che abbinava alla sua intelligenza calcistica e sopraffina due piedi di velluto. Damiano Longhi, appunto.
“Sono rimasto a Modena un lustro, due anni nel settore giovanile poi mi hanno chiamato in prima squadra ed ho debuttato tra i professionisti in serie C1 nel 1985”, ha raccontato ai nostri microfoni. Da allora ha collezionato oltre 500 presenze tra Serie A, B, C1 e C2. Non male per un ragazzo che doveva cucinare torte e pasticcini…
Il servizio militare con Mancini, l’amichevole contro Maradona
“A guardarmi indietro fa un po’ sensazione. In primis devo ringraziare i miei genitori che hanno veramente creduto nelle mie possibilità e soprattutto un allenatore, Mascalaito, che mi ha fatto esordire giovanissimo. Poi ci ho messo anche del mio, ma riconosco di esser stato un privilegiato perché il calcio mi ha cambiato la vita. Sarei potuto diventare anche un marinaio”.
Evidentemente era nel destino di Longhi essere il capitano di una truppa. Ma non di una nave, bensì di una squadra di pallone. “Ci è voluto del tempo, però prima mi son fatto la gavetta , come era giusto… Negli anni ’80 la maggior parte dei ragazzi della Romagna svolgeva il servizio di leva obbligatorio in Marina, ma avendo già un contratto da professionista, mi assegnarono al reparto dei bersaglieri proprio per permettermi di allenarmi con gli altri calciatori”.
E i ricordi scorrono. Impossibile dimenticare per Longhi. “I piantoni, i turni di guardia toccavano a tutti. Anche a me e ad un mio compagno di reparto… un certo Roberto Mancini. Non ne feci tanti fortunatamente, quell’anno il Modena andò avanti anche in Coppa Italia. Ebbi la fortuna di giocare anche se in amichevole, contro il grande Diego Armando Maradona“.
Il primo campionato vinto, il papà in tribuna
E proprio con il Modena ha vinto il suo primo campionato. Decisivo, tra l’altro, nella sfida contro l’Ancona che è valsa la Serie B. Da lì è iniziata la sua carriera: “Sì, cominciavo a masticare il calcio che contava e son dovuto maturare in fretta, la concorrenza era spietata. L’anno che vincemmo la C, venni anche eletto miglior giovane del torneo e fu una bella soddisfazione che si univa alla gioia della conquista del torneo. Ho un caro ricordo legato a quel campionato. Per la precisione alla trasferta di Rimini. Mio papà, non era mai venuto a vedermi giocare. Mi fece molto strano che quella settimana mi telefonasse per chiedermi i biglietti. Ero felice, finalmente era in tribuna a guardarmi. Contro i biancorossi finì 1-1, disputai un’ottima partita e il mio babbo mi confidò di esser molto orgoglioso di me, di aver ricevuto in tribuna tantissimi consensi nei miei riguardi. Due giorni dopo purtroppo ci lasciò. Questo era papà, un uomo speciale. Sembrava quasi che se la sentisse che a Rimini sarebbe stata la prima e l’ultima volta che mi avrebbe visto giocare e non voleva mancare per non lasciarmi un dispiacere, che mi sarei portato dietro per tutta la vita. Alla fine, con i gialloblù, furono due anni meravigliosi, segnai all’esordio in serie B a Pisa e tutto poi coincise con la vittoria. Di più non potevo chiedere. Stagione positivissima. Da matricola, ci salvammo senza grandi patemi e rispettammo quello che ci eravamo prefissati ad inizio anno”.
Longhi e l’esperienza a Padova: da Del Piero alla fascia di capitano
Nel 1987 poi è stato acquistato dall’ambizioso Padova. Tra campionato, Coppa Italia e Torneo Anglo Italiano, sono oltre 500 le presenze nel suo curriculum nella città di S. Antonio e i ricordi non si contano nemmeno. Da quelli migliori al momento più difficile che sicuramente è stato la retrocessione del 1996.
“Arrivammo in Veneto io e Piacentini. Ci avevano fortemente voluto sia il Presidente Puggina che il ds Pastorello che ci conosceva molto bene. Però ci tengo a ricordare anche l’altro direttore che lo sostituì: lo “sceriffo” Piero Aggradi. Lui e Marino Puggina furono due pilastri del Padova, persone meravigliose, personaggi che hanno scritto la storia del club della città dove vivo. Figure simbolo di un calcio che non c’è più. E non lo dico perché hanno sempre creduto in me. Loro fin da subito, hanno puntato moltissimo sui giovani che poi negli anni sono esplosi, percorrendo una splendida carriera. Lo stesso Piacentini, è stato per anni punto fermo alla Roma, Pippo Maniero ha fatto la fortuna di mezza serie A, Angelo Di Livio ha vinto di tutto e di più con la Juventus e la Nazionale ed idem per Tony Benarrivo con il Parma. Lo lascio per ultimo, ma solo e unicamente perché è una stella del calcio e lo conoscono tutti. Alex Del Piero. Talento assoluto. Si vedeva già dagli allenamenti, che sarebbe arrivato sul tetto del mondo”.
“Padova, la mia comfort-zone”
“Per quanto riguarda il sottoscritto, ho trovato veramente la mia confort-zone a Padova, un posto fantastico dove ho messo su casa e famiglia, ed esser diventato il capitano della squadra della città che ti ha adottato, ed esserlo stato per tanti anni, mi rende estremamente orgoglioso. La gioia è doppia quando mi guardo indietro, quando ogni tanto vado a fare due passi in centro e mi siedo sulle tribune del vecchio Appiani. Penso a quell’atmosfera, alla magia di quei momenti, a quegli spalti stile britannico pieni di tifosi, a quei dieci passi che facevi nel piccolo tunnel che divideva gli spogliatoi del Silvio Appiani al rettangolo verde. Entravi in un’arena, con la gente attaccata alla recinzione. Di ricordi, nella mia mente ce ne sono tantissimi: dal giorno in cui una bandiera come Claudio Ottoni mi cedette la fascia di capitano, il boato di Padova-Barletta, le lacrime di Lucca o quelle contro l’Ascoli per aver perso per un punto la serie A. Il muro umano biancorosso di Cremona quando finalmente conquistammo la massima serie, la festa fino all’alba, i rigori nello spareggio di Firenze.
Potrei andare avanti, ma mi fermo qui. Indossare la fascia in quell’epoca, ed esser stato il capitano del gruppo che dopo tanti anni ha riportato la squadra in serie A, è stato un grandissimo onore per me”.
Longhi: “Lalas, che personaggio! Leggendario”
Impossibile non fare una domanda su Alexi Lalas. Il primo americano a giocare in Italia. Un personaggio rivoluzionario. “Come si fa a non sorridere… Era il 1994. Il primo giorno al raduno, Alexi si è presentato come se dovesse andare a suonare ad un concerto rock, non ad un allenamento. Però, si notava che il suo, era un atteggiamento spontaneo, non un atto di sfida per trasgredire alle regole e lo accettammo così come era arrivato. C’era un’allegria con lui in spogliatoio incredibile. Un gran lavoratore, un professionista serio, ma nello stesso tempo un casinista genuino come pochi. Credo che se fosse arrivato a Padova in questi anni dove impazzano i social, sarebbe diventato un influencer. Era una persona con mille passioni che si era presentato fin dal primo momento in maniera stravagante, ma dietro a quel look pazzerello e anticonformista in realtà c’è un uomo intelligentissimo e brillante che sa quattro lingue, laureato e che in America è un professionista, un manager stimato e rispettato. Uno che spazia dal mondo del calcio ad altre attività.
L’abito, non fa il monaco e questo adagio calza perfettamente su Lalas. Comunque, ne ha combinate tante quando era qui è innegabile. Ci sono due situazioni simpatiche: quando eravamo in ritiro in pre-campionato, una sera non lo vedemmo più in albergo – ha raccontato Longhi-. Dopo cena, era nostra abitudine fare una passeggiata in paese ma di Alexi non c’era traccia. Pensammo fosse andato a dormire. Invece, con stupore, lo trovammo dentro un locale stracolmo di turisti. Aveva la passione per la chitarra, perché era anche un bravo musicista. Ed era li, sul palco, a cantare a squarcia gola con la gente che lo applaudiva e gli chiedeva il bis. Leggendario!”. Pochi dubbi a riguardo per Longhi.
Un Padova internazionale
“Durante una partitella, ebbe una discussione con un mio compagno. Si arrabbiò talmente tanto che uscì dal campo e vestito da allenamento, con tanto di scarpe con i tacchetti, torno a casa sua a piedi… Non oso immaginare la faccia dei tifosi e dei passanti che lo videro per strada in quello stato. Però a sua discolpa bisogna sottolineare che era giovane e lontanissimo dalla sua terra e dalla sua famiglia. Quindi era umano che ogni tanto esplodesse con qualche atteggiamento eclatante, ma mai cattivo. La sua presenza in squadra in quegli anni, si rivelò indirettamente, una grande manovra di marketing per il Padova ma anche per la città. Ci ha permesso di avere un’enorme visibilità quasi fossimo un top club. La cosa che mi è rimasta più impressa è che nonostante tutti lo cercassero, non ha mai rifiutato un autografo e una foto a nessuno. E’ stato molto bello ritrovarsi tempo fa, fortunatamente prima della pandemia. Ci siamo potuti riabbracciare e stare insieme in tranquillità, a ridere e scherzare in ricordo dei bei momenti passati assieme”.
A cura di Stene Ali