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Perché sono Damiano e non il piccolo principe con un problema da risolvere

Chiedere ad una persona diversamente abile di raccontare la propria storia attraverso i suoi occhi, per la controparte, rappresenta spesso un cruccio. Un piccolo ostacolo che, dettato dal grande senso di rispetto, spesso fatica ad abbattere muri per paura di riaprire ferite. Per quanto mi riguarda, di fronte alla giusta empatia, ho sempre avuto la più totale apertura al dialogo, trasformando il perché? pessimistico in un favorevole perché no?

Quando sognavo di essere Cristiano Ronaldo

La consapevolezza dell’essere ‘disabile’ è nata piano piano, resa naturale da due fattori fondamentali: la libertà e, naturalmente, il pallone. Sono cresciuto con l’utopistico sogno di giocare a calcio e, un po’ come tutti i bambini, sognavo di condividere il campo con grandi campioni come Peppe Mascara (da buon catanese), Ronaldinho, Ibrahimovic e (soprattutto) Cristiano Ronaldo. Una richiesta alla vita non semplice direte voi, ma che ha sin da subito trovato l’approvazione dei miei genitori e delle persone accanto a me. All’amara verità dettata dall’impotenza ci sono arrivato col tempo, dopo aver prima provato i giochetti di CR7 col deambulatore e poi cercato di emulare Buffon e Julio Cesar sulla spiaggia a carponi. No, io il pallone con i piedi non avrei mai potuto accarezzarlo.

Io a San Siro prima del derby di Milano

L’importanza di sentirmi Damiano

Cosa fare dunque? Abbattersi? Troppo comodo. Meglio cercare allora di raccontare le mie sensazioni con la scrittura. Meglio provare in tutti i modi a far immergere chi mi avrebbe letto non soltanto dentro le giocate dell’atleta, ma piuttosto dentro la sua mente. Fatta di ansie, gioie, felicità ed esaltazione. Insomma, in altre parole, di umanità. I temi in classe a quel punto divennero ad hoc, con almeno una traccia sempre dedicata esclusivamente al calcio. Ma prima di parlare della mia passione e di come sport e scrittura mi abbiano definitivamente aperto le porte della felicità, mi piacerebbe soffermarmi sull’atteggiamento sempre incline al giudicarmi in modo neutrale. Perché per tutti, da Ciccio Lodi alla famiglia Carboni, passando per Sebastian Leto e – in ambiente lavorativo – per il mio direttore Gianluca Di Marzio e tutti i coinquilini della Casa di C, sono sempre stato Damiano e non “il piccolo principe con un problema da risolvere”.

Io in una diretta sui social insieme al direttore Gianluca Di Marzio

Non consideratemi perfetto a priori

Ecco, se c’è una cosa che mi ha sempre infastidito è l’iperbolica positività di chi, senza conoscerlo, crede che un disabile sia da considerarsi perfetto e speciale a priori soltanto perché portatore d’handicap. Un atteggiamento che, sebbene sia frutto della più nobile delle intenzioni, riesce solo nell’inconscia impresa di discriminare. L’individuo, chiunque esso sia, ha egual diritto alla critica. Alla rabbia. Al giudizio imparziale. Proprio grazie a queste prerogative il mio viaggio prosegue ancora, libero nel tempo. Con una direzione sempre più definita verso la narrazione di storie che, pur lontane per status, diventano di colpo vicine, abbattendo qualsiasi barriera. Questa l’intenzione di questa mia umile testimonianza, che nulla vuole insegnare a nessuno, ma semplicemente porre un messaggio su cui riflettere.

Beh, poteva andare peggio… RONALDINHO!

Serve capire, non celebrare

A nessun disabile occorre una giornata apposita. Non serve “celebrare” la questione, quanto piuttosto capirne le sfaccettature. Normalizzarne la portata. Perché, al di là di ogni giusto e sacrosanto discorso relativo a strutture, strade ed agevolazioni di qualsivoglia tipologia, il più grande regalo da fare ad una persona con disabilità é capirne le sfumature dell’animo. Ascoltarne i segnali emotivi. Con naturalezza, senza condizionamenti e pregiudizi di alcun tipo. Così, soltanto così, si potrà celebrare quotidianamente la giornata dell’uomo. Segnando il gol più importante di tutti alla fastidiosa rete del senso imposto di diversità.

Di Damiano Tucci

Redazione

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