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Novara e l’amicizia con Bruno Fernandes. Buzzegoli, dal campo alla panchina: “La A con il Benevento fu incredibile. San Donato? Merita la C”

Prima di arrivare alla stazione di Firenze c’è una fermata che si immerge nella campagna fiorentina. Viene abbracciata dai campi, le casupole dei contadini ed il fiume Arno. Dal finestrino del treno risalta un paesino che si appoggia sopra una collina. Ecco, è da qui che parte la storia di Daniele Buzzegoli, ovvero da Lastra a Signa. Lo stadio Artemio Franchi ed il comune fiorentino sono distanti poco più di quindici minuti in macchina. Insomma, il battito della Fiorentina da quelle parti si fa sentire eccome. Ma Daniele dopo aver vestito la maglia viola da piccolo su quel treno ci è salito. Dal finestrino Lastra a Signa si allontanava, Firenze rimaneva alle spalle. Poi via, dentro la galleria che esce direttamente ad Empoli.

E Daniele Buzzegoli, chiamato anche Buba, da Empoli a Novara, la sua cadenza toscana l’ha portata in giro per l’Italia. Dalla Serie C alla Serie A. Con l’allegria che si coltiva tra le colline della sua regione, parlando del calcio come se fosse l’amico di una vita. E un po’ così forse è anche stato. Noi de LaCasadiC abbiamo fatto due chiacchiere con uno degli allenatori più giovani del campionato, adesso alla guida del San Donato Tavarnelle, passato dal campo alla panchina in un battito di ciglia. “Siete curiosi? Essere un allenatore così giovane lo è anche per me“. Così, Buba ci ha aperto il cassetto dei suoi ricordi.

Buzzegoli, la crescita ad Empoli e la Serie C a Grosseto

Finisce la galleria. Il tabellone degli orari indica la stazione di arrivo: Empoli. Una fermata che nella carriera di Daniele Buzzegoli avrà sempre un posto speciale. Da quel momento, la crescita avverrà con la maglia azzurra sulle spalle. “L’amore per la Fiorentina ce l’ho da sempre, ho giocato nel settore giovanile, poi sono andato ad Empoli. Ho imparato tanto, il livello è sempre stato alto. Poi andai a Grosseto, che partiva dalla Serie D, ma venne ripescato in C. C’erano le quote, mi ricordo che tutti i giorni andavano via i giovani, rimanemmo in tre, sotto la guida di Indiani, che poco dopo incontrai anche alla Massese”.

Paolo Indiani. Era lui l’allenatore che accolse Buzzegoli nella prima esperienza tra i grandi. Un signore del calcio che nella carriera disegnerà un percorso circolare. Da Empoli alla Serie D, nel segno della passione. “Confrontarmi con i grandi era uno stimolo, volevo vedere se sarei stato in grado di giocare con loro. Ero esile di corporatura, volevo dimostrare che l’aspetto tecnico prevaleva su quello fisico. Era l’anno della Florentia Viola in C2, noi arrivammo ai playoff, eravamo una bella squadra”.

Buzzegoli, l’esordio in Serie A ad Empoli

Daniele Buzzegoli però tornò ad Empoli. Certo, magari la società lo avrebbe girato in prestito a qualche club di categoria inferiore, ma intanto avrebbe potuto allenarsi con dei giocatori di Serie A. Tavano, Lodi, Edér, Almiron. La qualità nello spogliatoio azzurro non mancava. Ma non era il momento di fare le valigie. “Quella era una rosa incredibile. Inizialmente fu traumatico. Ancora oggi vorrei chiedere perché Somma mi tenne in quel gruppo. Io arrivavo dalla C2, per l’Empoli l’idea era quella di trovarmi una soluzione o in C o in B. Somma invece mi volle tenere. Dopo un mese di ritiro chiamai mio padre dicendogli che non sapevo più giocare a calcio. Ero abituato a dei ritmi totalmente diversi, era un altro sport. Mi rendevo conto però che tecnicamente potevo starci, dovevo solo adattarmi. Ci misi tre mesi per farlo, all’esordio con Cagni ero al pari con il gruppo. Ma quando tornai in C1 con il Pisa, tutto era più facile“.

Buzzegoli lavorò, in silenzio e con la sua serenità. Allenamento dopo allenamento. Fino al grande passo. E il cuore accelerò il battito. Ho esordito a Messina il giorno del mio compleanno, due delle mie quattro presenze sono in quello stadio. Avevo talmente tanta voglia di entrare che non mi resi neanche conto. Io speravo che Cagni mi chiamasse quando guardava la panchina, avevo lavorato molto per quel momento. Ogni tanto mi riguardo le foto, posso dire che non andò male.

Buzzegoli, la promozione a Pisa e Ventura in panchina

Altro giro, altra corsa. Da Empoli Daniele Buzzegoli andò via. Il treno viaggiava ancora in direzione opposta a Firenze. Il punto di arrivo era all’ombra della Torre di Pisa. La squadra era in C1, Buzzegoli arrivò per fare quello che gli riusciva meglio: vincere i campionati. “A Pisa la squadra era messa molto bene. Non giocai tutte le partite, ma feci un gol da fuori area contro la Sangiovannese all’ultimo che ci permise di credere ancora nei playoff. Quella fu la prima rete importante della mia carriera. Mi feci tutto il campo per arrivare sotto la curva, credo di non aver più raggiunto quella velocità. Poi vincemmo il campionato e andammo in B“.

Dopo la promozione Gian Piero Ventura prese le redini della squadra. Cerci guidava l’attacco, Buzzegoli il centrocampo. “Ventura? Un maestro, potresti parlare di calcio per ore con lui. Una persona che sa lavorare sul campo riuscendo a trasmettere le sue idee. I giocatori si identificavano in lui, poi quell’anno c’era Cerci in attacco e arrivammo ai playoff. In Nazionale credo sia ancora più difficile passare le idee, dato che non c’è un lavoro quotidiano. Il Mondiale mancato ha messo purtroppo un po’ in ombra quello che ha fatto prima“.

Gallipoli, la Serie B a Varese e quel gol all’Olimpico

Giocare. Questa è sempre stata la parola d’ordine nel Dna di Daniele Buzzegoli. Stare a guardare i compagni era difficile. Ventura a Pisa cominciò ad utilizzarlo come esterno, il suo habitat però era il centrocampo. Così tornò in C, questa volta a Gallipoli. Il risultato? Cambiava la regione, l’esito era lo stesso: vittoria del campionato, per chi avesse ancora dei dubbi. “Era una squadra che voleva vincere il campionato, io volevo rimettermi in gioco dato che a Pisa trovavo meno spazio. Vincemmo il campionato. Io ero in prestito, ma quell’anno il Pisa aveva il mio cartellino e fallì. Fu un momento strano, il mercato era fermo per me, poi mi chiamò il Varese che era appena salito dalla C2 alla C1. Decisi di andare“.

Un altro anno di Serie C. Ma la serenità continuava a permeare lo stato d’animo di Buba. Niente paura, niente alibi. Parola al campo. E, quasi per caso, a Varese nacque una favola. “Vincemmo un campionato ai playoff contro Cremonese e Benevento, loro avevano stadi e strutture incredibili, noi ci allenavamo su un campo a sette. Nacque qualcosa di inspiegabile, tutti remavano verso un obiettivo più grande. Poi segnai anche due gol fondamentali per la promozione, nei quattro minuti finali dopo aver perso la finale d’andata fuori casa. Eravamo sicuri di vincere quella finale contro la Cremonese. Cominciammo la stagione con 30 spettatori, alla fine ce n’erano 13mila. In B segnai anche all’Olimpico contro il Torino. Fino al giorno prima a Varese non avevamo ancora le maglie ufficiali. Entrammo sul campo e ci chiedevamo come ci fossimo finiti. Poi segnai su punizione in un match che dominammo”. Niente paura, Buba. Le cose belle, in fondo, vengono per caso.

Da La Spezia a Novara: benvenuto a casa

L’uomo dei campionati. Carisma, sicurezza e personalità. Sono questi alcuni dei tanti ingredienti che Daniele Buzzegoli è riuscito sempre a portare negli spogliatoi delle squadre in cui ha giocato. Il tutto condito dall’accento toscano. “Lasciare Varese fu molto difficile, ero molto legato a tutto l’ambiente. I contratti però erano molto bassi, giustamente era una squadra neopromossa. Avevo una famiglia, due figli e non ancora una casa, in quel momento quei fattori ebbero il loro peso, devo essere sincero. L’anno dopo il mio arrivo vincemmo il campionato, quella era una squadra senza eguali in C, in attacco avevamo Evacuo, Iunco, Guerra. Oltre al campionato vincemmo Supercoppa e Coppa Italia di Serie C”.

Ma l’equilibrio perfetto Buba lo trova in un’altra piazza: Novara. Un legame che si accende sin da subito, con la sua spontaneità che negli anni lo ha portato ad essere un punto fermo nello spogliatoio del Piola. Essere complementari. “A Novara trovai la mia seconda casa. Dico sempre a mia moglie che sbaglio più strade a Lastra a Signa dove vivo che a Novara. I miei figli sono cresciuti in quella città e io mi sono affermato definitivamente in B. L’anno della retrocessione fu tremendo, la rottura del crociato non mi permise di vivere lo spogliatoio al massimo, ma l’anno dopo tornammo in B. Ho sempre vissuto il campo con serenità, questo mi ha aiutato in tanti momenti”.

L’amicizia con Bruno Fernandes e l’arrivederci al Novara

La panchina con Attilio Tesser, la qualità di Pablo Gonzalez. Daniele Buzzegoli di talenti ne ha visti a Novara. Uno in particolare però nell’anno del suo arrivo lasciò lo spogliatoio senza parole. Chi lo avrebbe mai detto che quel ragazzino silenzioso avrebbe guidato il Portogallo al fianco di Ronaldo? “Bruno Fernandes venne con noi a gennaio dalla primavera ed eravamo terzultimi, arrivò anche Seferovic. Facemmo undici risultati utili consecutivi. Bruno aveva una tranquillità a 17 anni di giocare in Serie B incredibile. Nello spogliatoio eravamo tutti tesi, lui sembrava lì per caso, si lucidava le scarpette, come se dovesse fare una passeggiata in centro. Che sarebbe diventato un perno del Manchester United non era preventivabile, ma che giocasse a vita in Serie A sì. Era completo in tutto. Parliamo di un ragazzo umile, se gli mandassi un messaggio in qualsiasi momento mi risponderebbe in cinque minuti e che ha raggiunto quel livello anche tramite il lavoro, poi la natura gli ha dato tanto. Mi ha mandato anche delle maglie del Manchester per me ed i miei figli”.

Dopo più di 100 presenze a Novara, arrivò il momento dei saluti. Buzzegoli preferiva avere più spazio. E arrivò il punto al primo capitolo sul campo del Silvio Piola. “Andai via da Novara perché c’era l’intenzione di ringiovanire la squadra. Feci un bel ritiro e Boscaglia mi voleva tenere, ma io decisi di andare a giocare. Andai a Benevento l’ultimo giorno di mercato su chiamata di Baroni, che ebbi a Novara e mi faceva giocare poco, poi Viola si fece male e giocai l’ultima parte di stagione”. Quelle due strade si sarebbero incrociate di nuovo. Ma forse Daniele non poteva ancora saperlo.

La fiducia di Baroni e la Serie A con il Benevento

Prendersi la fiducia di un allenatore, lezione tenuta da Daniele Buzzegoli. Il custode delle chiavi del centrocampo a Benevento fu proprio lui. Il prato del Ciro Vigorito sulle scarpette. La maglia era quella di una neopromossa, l’ambizione invece non aveva limite. E a fine anno, Buba ritornò in Serie A vincendo l’ennesimo campionato. Un gioco da ragazzi. O quasi. “Ambiente pazzesco. In città si era creata un’atmosfera incredibile, eravamo una neopromossa ma con Ceravolo, Ciciretti, Baroni riuscimmo a creare una sorta di magia. La Serie A fu un sogno, c’era tutta Benevento per strada, non ho mai visto una folla del genere. Per arrivare al centro dallo stadio ci vogliono cinque minuti, noi ci mettemmo una vita”.

Calciatori, persone che si trovano su un campo, amicizie che nascono. Daniele Buzzegoli dopo quel campionato a Benevento salutò Baroni. Voleva ancora giocare in Serie B, consapevole che probabilmente nella massima categoria non avrebbe trovato lo spazio desiderato. “Baroni mi chiamò d’estate per parlare del futuro e io gli dissi che non si doveva giustificare, la Serie A non era il mio campionato. Sento spesso il mister da quando sono andato in Serie D. Abbiamo condiviso momenti importanti. Lui cerca di seguirmi, è un grande allenatore e in questo momento mi aiuta perché ha già vissuto quello che sto vivendo io adesso sulla panchina.

La salvezza ad Ascoli e il ritorno a Novara

Daniele Buzzegoli ha sempre lottato per la promozione e la vittoria del campionato. Ad Ascoli però la classifica si ribaltò. La squadra non giocava per arrivare tra le prime della classe, anzi, da quella classe rischiava di uscirci. Niente paura, neanche in quell’occasione. Buzzegoli da capitano prese in braccio la squadra. “Ad Ascoli una stagione ne è valsa sette dal punto di vista mentale. Oggi riconosco che quella pressione ti fa bene e permette di sentirti davvero un giocatore. Ci salvammo ai playout in uno stadio pieno, ero capitano e c’erano molte responsabilità. In città ovunque si parlava della squadra. L’amore ad Ascoli è viscerale“. La stagione era stata molto intensa, dentro e fuori dal campo. Arrivò una chiamata. “Buba, ti va di tornare?”

Come dire di no? Novara per Daniele è sempre stata una seconda casa. Per quelle strade sono cresciuti i suoi figli, sotto quei riflettori invece lui si è affermato nei centrocampi della Serie B. Rifiutare era impossibile. Ma il trasferimento non fu immediato. “Accettai, però rimasi sei mesi ad allenarmi in Eccellenza con la Lastrigiana dato che chiuse la lista e venni tesserato a gennaio. Tornai con Pablo Gonzalez nel momento giusto, poi purtroppo vivere il fallimento fu brutto. Venne presa in giro una città intera, ci sentimmo derubati. Lasciai Novarello piangendo. Chiudere in quella maniere fece male. Pablo Gonzalez? Finché sta in piedi non smetterà mai di segnare. Per me lui è un fratello argentino. Abbiamo condiviso per sette anni la camera d’albergo a Novara”. Una favola senza lieto fine. Come se qualcuno cancellasse improvvisamente un album dei ricordi costruito passo dopo passo negli anni, calpestando ogni valore. In quel momento Buba decise di tornare in Toscana.

Un amico ritrovato per vincere, ancora

Immaginate vivere al fianco di una persona momenti che non andranno mai via dalla vostra mente. Voi siete giovani, ma verso quella figura provate già profondo rispetto. Una fonte di fiducia. Ecco, adesso immaginate di ritrovarla, quella persona, soltanto 18 anni dopo. Un cerchio che si chiude, nel segno del tempo e della crescita individuale. San Donato chiama, sulla panchina c’era Paolo Indiani. Un po’ come se fosse un episodio di Ritorno al futuro, ma con l’obiettivo di andare in Serie C. “Indiani l’ho ritrovato dopo 18 anni con lo stesso entusiasmo di Grosseto. Una persona in grado di evolversi con il calcio. Vincere lo scorso anno con lui è stato incredibile per chiudere un cerchio. Mi ha dato praticamente tutto. Ancora oggi riesce a tirar fuori dai giovani il meglio. Sto allenando i ragazzi che ha avuto lui due anni e sono veri e propri giocatori, è una sua dote e secondo me in questo non ha eguali, a lui viene naturale. Trovarlo per me a 18 anni è stata una fortuna.

Dal campo alla panchina, condottiero del San Donato

Il treno è tornato verso casa, ma la storia non è cambiata. Daniele Buzzegoli assieme a Paolo Indiani porta per la prima volta il San Donato Tavarnelle nei professionisti. Non lasciare il segno per Buba è impossibile. Lo ha sempre fatto, palla al piede e testa alta. Qualche mese dopo però su quella panchina ci sarà proprio lui a guidare quelli che erano i suoi compagni. 39 anni. L’età è solo un numero. “In questo processo ho trovato grossa facilità per la bravura dei ragazzi che riconoscono i ruoli. Loro riconoscono una persona che lo scorso anno li ha aiutati nello spogliatoio per arrivare in C. Ora il mio obiettivo è farmi riconoscere per quello che sto facendo. Abbiamo festeggiato tanto la C, i rinfreschi sono finiti ieri (ride, ndr), ma dobbiamo essere convinti di poterla vivere. Sto lavorando su questo, perché nessuno ha regalato la C al San Donato. A chi mi ispiro? Ho avuto tanti allenatori vincenti. Mi piacerebbe avere le mie caratteristiche, le mie competenze. I giocatori alla fine secondo me devono riconoscersi nella persona“.

Neanche il tempo di chiudere il cassetto dei ricordi che Daniele Buzzegoli è pronto a scrivere un altro capitolo, questa volta sulla panchina. Con la serenità del primo giorno. Con l’allegria che si coltiva tra le colline della sua regione, parlando del calcio come se fosse l’amico di una vita. Perché Buba è sempre stato così.

A cura di Jacopo Morelli

Redazione

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