La chiacchiera sta finendo, è ora di raggiungere i compagni a pranzo. “Ah, al prossimo gol esulto così, come Ronaldinho”. Il tono è scherzoso, ma sa al contempo di una promessa. No, la voce non è quella di un attaccante, bensì di un difensore. “Anche se da piccolo giocavo davanti, poi hanno capito che non era il mio ruolo”, ricorda ridendo. A parlare è Tommaso Del Lungo, talento 2003 dell’Atalanta U23 che ha già conosciuto la prima squadra di Gasperini. Ma facciamo un passo indietro, all’inizio di questo incontro. Siamo in una delle stanze della sede del settore giovanile nerazzurro. Un tavolo, alcune sedie e le finestre che si affacciano sui campi di Zingonia. “Ciao, come stai?”. Tommaso è così, spontaneo e genuino. Sono passati pochi giorni dall’esordio europeo contro il Rakow: “Ci ho messo un po’ a realizzare”. I capelli ancora bagnati per la doccia dopo l’allenamento, il sorriso sul volto, tono spigliato e un inconfondibile accento fiorentino.
“Sono partito dall’oratorio. E pensare che al primo allenamento scoppiai a piangere…”. Il motivo? Lo scopriremo. Tra quel campo di Firenze e l’Atalanta c’è il percorso di un ragazzo che ha imparato a conoscere il senso dell’attesa e l’importanza delle scelte. In lui convivono la sana esuberanza di un giovane e la maturità di chi grande, almeno in parte, lo è già nonostante l’età. Una carriera iniziata grazie alla nonna, i sacrifici di una famiglia, la gavetta tra i dilettanti, Fernando Torres, la fiducia di Gasperini e una notte europea. Il viaggio di Tommaso, quel bambino “che ha sempre e solo voluto giocare a calcio”.
“Me ne sono reso conto solo qualche giorno dopo. Un’emozione stupenda”. E quasi arrivava il gol: “Mamma mia…”. E a proposito di mamme… “La prima ad avermi chiamato dopo la partita. Tutto questo è merito dei miei genitori”. Rakow-Atalanta, 14 dicembre 2023, una data difficile da dimenticare. Tatuata? “Nono, non ho tatuaggi. Vedrò se farne”. Ma torniamo a quella sera. “Non pensavo di giocare titolare. Il martedì Gasperini mi ha provato in formazione. In quei giorni mi ha aiutato a vivere con serenità questa esperienza”. Sul rapporto con l’allenatore: “Spero di conquistare la sua fiducia”. Il consiglio di Muriel: “Mi ha detto di stare tranquillo, se ero lì c’era un motivo”. E la battuta di Hateboer a fine partita: “Oh non hai sbagliato niente, cosa volevi di più”. Imparando da Scalvini: “Giorgio è il mio riferimento”. Una curiosità, ma l’idolo da piccolo era un difensore? “Fernando Torres, strano vero?”
Una carriera iniziata grazie… alla nonna. Siamo in uno degli oratori di Firenze: “Mi portarono la prima volta a 3 anni. Scoppiai a piangere e andai via. Mia nonna mi riportò dopo un mese e da lì è partito tutto”. E se sei di Firenze il sogno può essere solo uno ed è colorato di viola: “Arriva la chiamata della Fiorentina, una gioia immensa. Esperienze uniche, società seria: ho tanti bei ricordi”. Dopo cinque anni l’addio: “Ero piccolo fisicamente e giocavo poco, ho deciso di fare un passo indietro”. La scelta di andare alla Cattolica Virtus, una squadra dilettantistica. Perché a fare la differenza in una storia, spesso, sono le scelte. Comprendere la direzione migliore per la propria crescita, anche se difficile. Perché scegliere comporta anche questo, lasciare andare. In questo caso il calcio professionistico. “Ho fatto bene”. Tommaso ne è sicuro.
Un passo indietro per costruirsi il futuro. Un passaggio vissuto in modo naturale: “Certo, ero dispiaciuto, ma era la scelta migliore per me”. Un ruolo fondamentale svolto dalla famiglia: “Mi hanno aiutato a prendere quella decisione. Mi sostengono da sempre, hanno fatto tanti sacrifici. Da tutte le volte che mi hanno accompagnato agli allenamenti al supporto nei momenti difficili, l’esordio in Europa lo devo a loro”. Una nota di emozione attraversa la voce e gli occhi di Tommaso.
Dopo la Fiorentina c’è la Cattolica Virtus: “Ci sono molto legato. Un ambiente familiare che ti fa sentire a casa. Lì sono diventato uomo”. 4 anni e l’arrivo al Grassina: “All’inizio sarei dovuto partire dalla Juniores, poi hanno deciso di inserirmi in prima squadra”. Il confronto con il mondo dei grandi: “A 16 anni lo senti. Per un ragazzo così giovane penso sia l’esperienza migliore”. Un ricordo ancora nitido: “In allenamento sbagliai su una palla inattiva, come si arrabbiò un vecchio…”. Un ambiente che ti forma. Ti forma campo e nella testa: “Ti insegna tanto sotto l’aspetto caratteriale, lì devi vincere. E farlo così giovane mi è servito”. Con due immagini precise: “La prima partita era il derby, Grassina-Antella. Salvai un gol sulla linea”. Anche sé quella della svolta è stata un’altra: “Contro il Siena, da lì hanno iniziato a seguirmi diverse squadre”.
“La prima squadra a cercarmi è stata il Torino. Poi sono arrivate Parma, Milan e Atalanta”. La scelta dei nerazzurri? “Mi fecero visitare Zingonia, a sensazione capii che questo era il posto giusto. Respiravi calcio. La scelta migliore per me e la mia crescita. E poi conoscevo la loro tradizione con i giovani”. L’importanza dell’ambiente, delle sensazioni. Stare bene per crescere e maturare. Come giocatore, come persona. Fare la scelta giusta, una volta ancora. E quale posto migliore della realtà nerazzurra per un giovane: “L’Atalanta mi ha fatto crescere come persona. Ho compreso il significato di essere un professionista e del lavoro quotidiano”. Il sacrificio come unica strada per costruire gli obiettivi. Questione di mentalità. E un concetto chiaro. Il “Noi” prima di ogni cosa: “Qui conta il gruppo, te lo insegnano da subito. E lo si vede anche quest’anno”.
Tommaso inizia con la Primavera. Due anni, alcune panchine, un posto conquistato e la Youth League: “Un’esperienza fantastica. Ricordo la sfida con lo United. Contro di me c’era Elanga. Poi è uscito, al suo posto è entrato Garnacho… (ride ndr)”. Poi l’avventura con l’U23, una prima volta per tutti. Anche se Tommaso il mondo dei grandi già l’aveva conosciuto: “Un passaggio utile. Quando esci dalla Primavera, avere l’U23 in casa è perfetto”. Un inizio difficile: “Non giocavo tanto, poi ho trovato spazio”. Una maglia conquistata con il tempo, un po’ come nella sua storia. Perché per i grandi obiettivi c’è bisogno di tempo. E Tommaso ha saputo attendere il suo momento. Comprendere il senso dell’attesa e coltivare la cultura del sacrificio. Un fil rouge. Anzi, ormai nerazzurro. “Una mentalità che ho anche grazie all’Atalanta. Bisogna sempre andare al massimo”. Dalle panchine al gol con il Lumezzane. Gli occhi si illuminano, la voce assume una tonalità di tenerezza: “Bellissimo”. E i risultati di questo percorso, suo e dell’universo nerazzurro, si sono visti già in pochi mesi.
Tommaso è così, genuino e spontaneo. Come un sorriso per il ricordo di quando da piccolo mano nella mano con la nonna andò al primo, anzi, secondo allenamento. O come il gioco di Ronaldinho. È l’esaltazione della semplicità. Spensierata e matura. La stessa con cui ha giocato la sua prima e magica notte europea. “Mamma, io voglio fare il calciatore”. Lo ripeteva sempre: “Ci ho creduto”. Il sogno della Serie A e di tante altre serate speciali, l’esultanza nel caso è già pronta. Intanto, Tommaso si gode il viaggio. Con il sorriso, sempre.
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