“Caro calcio, io ti saluto…”.
È il 5 maggio 2024, Cagliari saluta un suo figlio. L’abbraccio di una tifoseria e di un popolo, l’emozione di un addio, un istante in cui si racchiudono anni e sentimenti. “Per me è stato un dono ricevere quel tributo. Il coronamento di una carriera. Ho sposato la causa, le persone, la maglia, l’Isola”.
La commozione si unisce all’emozione e alla memoria nella voce di Daniele Dessena. Il 29 aprile l’annuncio da Olbia: “Lascio il calcio”. “Ma non ho paura eh, sono davvero curioso di scoprire quello che mi succederà in futuro”. O meglio, che farà succedere. Perché Daniele passivo davanti alla vita non lo è mai stato. Il suo è un animo in ricerca. In ricerca di novità, conoscenza, sensazioni nuove e sfumature da scoprire e imparare.
La sua storia, invece, è quella di un ragazzo che ha realizzato il sogno di un bambino. È la storia di una passione, “perché senza quella è inutile”, di un amore profondo e viscerale con una maglia, una città, un popolo. È una storia di consapevolezza e di valori.
Lo sguardo è proiettato al futuro, come sempre. Nel viso i tratti di quelle che sono state le sue esperienze, perché sono quelle a formarti come persona. Parlando con Daniele si percepisce il sentimento puro di quel bambino, la crescita del ragazzo, la cultura del lavoro, la curiosità e la riconoscenza di un uomo. “Sono pronto”.
Daniele risponde da un campo di calcio. No, questa volta non indossa degli scarpini. “Sono a vedere mio figlio”. Passato e presente che si intrecciano. “L’ho sempre detto, il calcio è bello in qualsiasi categoria. Per me vedere o giocare una partita è vivere una passione”. Già, la passione. Fil rouge ed essenza viva di una carriera e di un uomo. “È un segno di rispetto per lo sport che si fa”. Sono passati pochi giorni dal saluto della sua Cagliari: “Vedere quelle persone in piedi per me è stata un’emozione. Ho dato tutto per quella città”. Un’idea ben precisa, smettere a casa sua: la Sardegna. “Mio nonno paterno è sardo. Ma è soprattutto il rapporto che si è creato negli anni. L’affetto, la vicinanza durante momenti difficili, sono diventati una famiglia. Ho avuto l’onore di avere la fascia da capitano”
“Ho cercato di difenderla. Indossarla dopo Conti, Lopez, Cossu, Pisano ha significato tanto”. Una fascia che rappresenta molto più di un semplice …. Simbolo di un popolo, immagine della storia e di un sentimento diverso: “La Sardegna è passione, familiarità… è qualcosa di diverso. È qualcosa a parte”. Qualcosa d’altro, qualcosa oltre tutto il resto. “Lo capisci vivendolo. A fare la differenza sono le persone che incontri. Tutto questo veniva prima di soldi o fama. Per me contava difendere Cagliari e il Cagliari”. E quel saluto “vale più di qualsiasi altra cosa. Più di trofei e soldi”.
Una carriera da centrocampista, anche se all’inizio il sogno era quello “di fare l’attaccante. Dai lo sai, da piccolo vorresti solo fare gol”. Poi le giovanili nel Parma e un momento che segna un prima e un dopo. Sliding doors nella testa di Daniele: “Ricordo il giorno in cui ho deciso che dovessi fare il calciatore”. Con gli Allievi del Parma vince il campionato: “Giuseppe Rossi e Arturo Lupoli che erano in squadra con noi andarono al Manchester e all’Arsenal. In quel momento mi dissi che quello sarebbe dovute essere il mio futuro”.
E poco dopo arriva il debutto: “Devo ringraziare Carmignani, il mio primo allenatore a Parma che ebbe il coraggio di lanciarmi da giovane in Coppa Uefa. Arrivammo fino alla semifinale. In A ci salvammo nello spareggio contro il Bologna”. Una prima volta che “al momento non apprezzai appieno. Ero spensierato e non avevo la consapevolezza per capirne la grandezza. Volevo solo giocare”.
A far la differenza, spesso, sono le persone che si incontrano. Per quanto ti lasciano, per cosa ti insegnano. I veterani a Cagliari e gli allenatori conosciuti nel percorso. A Parma in panchina trova prima Stefano Pioli: “Si vedeva che aveva la sua idea. Nel tempo è uno degli allenatori che è migliorato più. Si è adattato in maniera perfetta al calcio moderno”. Poi Claudio Ranieri: “Arrivò a Parma dopo l’esonero di Pioli. Fece un miracolo. Valori umani fuori dal normale, ti arriva al cuore. Il suo credo diventa il tuo”. In Sardegna, invece, l’incontro con Massimiliano Allegri: “È fantastico. A livello di gruppo era un maestro. Un grande allenatore e comunicatore“.
“Quando sento certe cose su di lui mi viene da ridere…Uomo di spessore e valori. Ha una grande riconoscenza per il gruppo di quel Cagliari. Quest’anno per Olbia Next Gen Landucci è venuto per portarci i suoi saluti”. E qualche ricordo: “Mi ricordo che si metteva a calciare le punizioni a piedi nudi a Marchetti. Tirava di quelle cannonate. Le sfide che ha fatto poi con Pogba o Vlahovic le faceva già a Cagliari”. Sardegna dove come compagno di squadra c’è Nicolò Barella: “Un ragazzo speciale che è arrivato dov’è grazie alla gavetta. Predisposizione a migliorare, umiltà, fatica unite al talento: Nico è questo, una persona di valori”.
“Vedi, il calcio è cambiato. Vengo da un mondo in cui i cellulari in spogliatoio andavano spenti e era valorizzato il valore della chiacchiera o del condividere esperienze tra compagni”. A essersi perso il senso della ricerca, della domanda e della fatica: “Io sono curioso del mio futuro. Ora la curiosità non c’è più nelle persone. Il conoscere, l’indagare, l’aver voglia di capire o approfondire…”.
Una curiosità che non ha mai abbandonato Daniele, neanche dopo la decisione di smettere con il calcio: “Era un pensiero che avevo dentro e mi logorava. A 36 anni ho incontrato Greco, un allenatore che seguirò e da cui imparerò. Mi ha dato tanto per crescere, e in parte la scelta è dovuto a questo. Ora sono curioso di quello che sarà. Non ho paura del mio futuro e ringrazio il calcio per quanto mi ha dato”.
Le immagini scorrono per la mente. Da Cagliari, “una fotografia lunga 10 anni, a Brescia dove “la vittoria del campionato è un ricordo indelebile”, passando per l’infortunio. “In quel momento ti cade il mondo addosso. La paura, i tanti dubbi… Lì la gente di Cagliari mi è stata ancora più vicino. Sentivo il loro affetto. È stato fondamentale Gianfranco Ibba nel recupero”. Al suo fianco i suoi cari: “La mia famiglia è stata fondamentale. I miei genitori, mio fratello, mio figlio, mia moglie che ho conosciuto a far riabilitazione quando mi infortunai… figure essenziali nella mia vita”.
Una pagina si è chiusa, ora si inizia a scrivere la prossima. Nel cuore istantanee indelebili di un uomo che ha giocato per passione e lottato per amore. Un cuore, una terra, un popolo. Lo sguardo di Daniele si rivolge per un attimo ancora alle sue spalle. Un sorriso spontaneo. “Calcio ti dico grazie, hai esaudito i sogni di un bambino. È la mia vita, è tutto. Non c’è la parola giusta per descrivere il mio sentimento per questo sport”. Il calcio è…
Curiosità e passione, qualsiasi cosa sarà, sarà bello. Daniele Dessena.
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