Tra l’ippica e l’amore per l’Ancona, Di Carlo svela: “Nel 2005 potevo diventare dirigente”
Probabilmente sotto sotto il calcio professionistico non è mai stato il suo mondo, ma Antonio Di Carlo, ex centrocampista classe 1962, il suo spazio nelle squadre in cui ha giocato è riuscito sempre a ritagliarselo – sia in campo che nel cuore dei tifosi. Arezzo, Roma, Genoa, Parma, Ancona e Perugia sono state le sei tappe che hanno tracciato il percorso della sua carriera. Alcune rivelazioni svelate a LaCasadiC sottolineano come il suo carattere sano e genuino sia stato un’arma a doppio taglio, che gli ha impedito di arrivare a traguardi importanti.
Di Carlo: “Potevo diventare dirigente dell’Ancona”
Dopo l’esperienza nella capitale (LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA SUL PERIODO ALLA ROMA), Antonio veste le maglie del Genoa e del Parma, per poi vivere una fase esaltante della sua carriera calcistica ad Ancona. “Il mio cartellino dal 1987 era di proprietà del Genoa, ero stato girato in prestito a Parma nel 1988 per poi ritornare in Liguria l’anno seguente. In fase di mercato ci doveva essere uno scambio tra i rossoblù e l’Udinese. Io sarei dovuto andare in Friuli a sostituire Catalano, che sarebbe arrivato a Genova al mio posto. Poi la trattativa si è interrotta e sono rimasto fuori rosa fino a fine settembre quando è giunto l’interessamento dei marchigiani“.
Continuando, Di Carlo ha parlato delle sue condizioni fisiche quando si trasferì ad Ancona: “Non avevo minimamente il ritmo partita ma per la gente arrivava Antonio Di Carlo, ex della Roma, quello che doveva risolvere le partite con una magia. Questo si aspettavano i tifosi. Devo in primis ringraziare Mr. Guerini che è stato paziente. Da uomo e poi da allenatore ha gestito estremamente bene la situazione e quindi in seguito mi sono potuto esprimere al meglio tanto da diventare beniamino dei tifosi.
Poi quel retroscena, sempre con il club marchigiano: “Nel 2005 sarei potuto diventare un dirigente dell’Ancona perché l’allora presidente Schiavoni aveva avviato una trattativa con un imprenditore edile il sig. Bellanti ma poi per motivi tecnici non si concluse nulla. Peccato mi sarebbe piaciuto ritornare nelle Marche. Ancora oggi si ricordano di me e del mio gol nel derby con il Pescara e mi vengono a trovare annualmente nel mio ristorante”.
Tra ristorazione e ippica
Già, perché da quando Di Carlo ha chiuso definitivamente con il calcio si è reinventato imprenditore nella ristorazione: “Viaggiando tanto con la Roma, anche a livello internazionale, ho degustato diverse pietanze in giro per il mondo quindi mi son detto che se mi strutturavo bene, potevo proporre quei sapori anche ai romani. Ecco come nasce il mio ristorante ‘IL FRANTOIO’ che è ubicato presso Ostia Antica e uno a Roma in società con il mio amicone il bomber Roberto Pruzzo e fino al 2005 avevo una discoteca all’Argentario“.
Successivamente, Di Carlo ha riversato le sue energie in quella che fondamentalmente è stata sempre la sua vera passione, l’ippica: “E’ una cosa che fondamentalmente ho sempre nutrito. I cavalli sono animali bellissimi che tutti ammirano anche semplicemente osservandoli. A chi è che non piacciono? La competizione che vivo quando mi reco all’ippodromo, mi dà quell’adrenalina che da quando ho smesso con il calcio non ho più. E‘ stupenda la sensazione che si prova nel percorrere con lo sguardo quei 600-700 metri che il cavallo compie. Oggi possiedo una scuderia, la ANTONIO DI CARLO galoppo a Roma. Oltre a partecipare alle gare, vado in giro per l’Europa seguendo le varie aste per vendere ed acquistare i destrieri. Ho un allevamento con quattro fattrici designate alla riproduzione. E’ un contesto meraviglioso e comincia quasi a diventare un lavoro. Non lo è, ma poco ci manca”.
Per Di Carlo, un vero purosangue nella Roma dei suoi tempi era Paulo Roberto Falcao. “Sì, ma noi giovani di allora come il sottoscritto, Beppe Giannini e Sandro Tovalieri, lo abbiamo vissuto molto marginalmente. Nel 1984, il mio primo anno in giallorosso in prima squadra, Paulo Roberto arrivava da un brutto infortunio. Poi quando rientrò fece gol a Napoli, ma in seguito contro il Verona si fece male nuovamente. Da lì non si riprese più e andò via dalla capitale. Spesso si allenava a parte, a causa delle sue condizioni fisiche non brillanti. Ricordo comunque che era una persona molto cordiale e gentile. Spesso lui e Cerezo ci portavano poco fuori Roma a mangiare cibo brasiliano. A proposito di cavalli di razza sono felice di aver giocato contro Maradona e Platini, due calciatori meravigliosi, due leggende”.
A cura di Stene Ali