La capacità di desiderare ardentemente qualcosa e di impegnare tutte le energie a disposizione per raggiungere un obiettivo. Più facile a dirsi che a farsi, ma nella vita nulla è impossibile. Ne è il fulgido esempio il percorso tracciato nella vita di Diego Bonavina: classe 1965, oggi assessore allo sport e alla sicurezza di Padova e avvocato di professione.
Folgorato fin dai tempi del liceo scientifico dal mondo della legislazione, il suo sogno era quello di diventare avvocato. Ma c’era anche un’altra passione nel suo cuore: il calcio. E allora cosa fare? Semplice…Unire l’utile al dilettevole e realizzarsi sia in ambito sportivo ed extra calcistico. Il primo mattoncino per costruire il suo sogno si materializza a soli 19 anni: “Onestamente, ci ho messo del mio ma mi ritengo fortunato, in quanto il destino non mi ha mai voltato le spalle – ci raccconta – nel 1984, il Giorgione di Castelfranco Veneto (provincia di Treviso) giocava in C2 e firmando il mio primo contratto da professionista mi potevo mantenere agli studi. Per la mia età avevo un ottimo stipendio. Rimasi otto anni in rossostellato, il che mi permise di completare la mia formazione universitaria e di togliermi anche delle belle soddisfazioni a livello calcistico“.
I ricordi lo assalgono: “Fu emozionante quando ricevetti da Nini Pisani capitano di lungo corso della squadra, la sua fascetta. Furono gli anni più turbinanti nella città castellana e sono indelebili i ricordi delle sfide contro il Cerveteri e il Corsico. Eravamo retrocessi in Interregionale (ora serie D, ndr) ma volevo lasciare la squadra dove l’avevo trovata, ovvero nei professionisti. Una volta per salire in C, bisognava chiudere la stagione in testa al proprio girone e poi vincere lo spareggio. Contro i romani andò male ma l’anno seguente in Lombardia, rimettemmo la chiesa al centro della città e fu una gioia indescrivibile”.
Il viaggio continua. Bonavina saluta Castelfranco e nell’annata 1992-93, rimane nei dilettanti perché ci sono anche gli studi da portare avanti manca poco alla laurea. La maglia che vestirà è sempre biancorossa, ma rispetto a Castelfranco, si sposta quindici chilometri più in nord a Caerano San Marco: “Una squadra ambiziosa costruita dal leggendario presidente Danieli, fondatore della Diadora. Mi piaceva il progetto e la sua figura era una garanzia in quanto primo tifoso della squadra della sua cittadina di 7000 abitanti e uno degli imprenditori più in voga dell’epoca. Aveva ingaggiato calciatori di categoria superiore come Borgobello, Borghetto, Ferraresso quindi per me, era tutto estremamente congeniale, in un ambiente privo di particolari pressioni. Per poco non riuscimmo a centrare la promozione”.
Furono dodici mesi soddisfacenti per il neo laureato in giurisprudenza e tra i tanti aneddoti legati alla piccola cittadina montelliana, uno è particolarmente significativo:” Mi ero accordato nell’estate del 1993 con il Mantova. Tornavo tra i professionisti in C1, ma nello stesso tempo potevo praticare il tirocinio che mi avrebbe permesso di dare l’esame per diventare avvocato. Qualche mese dopo, mi chiamò il presidente Danieli chiedendomi come procedeva la mia avventura. Prima di salutarmi con la consueta cordialità, mi invitò ad andarlo a trovare appena possibile perché aveva piacere di consegnarmi personalmente l’ultimo rimborso che avanzavo. Se penso alla situazione attuale nel dilettantismo, questo che ho appena rivelato sembra un racconto di fantascienza”.
Terminata la parentesi con i virgiliani, Diego giunge in quel di Treviso nel 1994 e il neo avvocato con i biancocelesti è uno dei grandi protagonisti della squadra della Marca che realizza un record storico. Guidati da Bepi Pillon, il Treviso del Patron Giovanni Caberlotto (fondatore della Lotto, ndr) conquista tre campionati di fila in tre anni, passando dalla serie D alla serie B: “Una squadra spettacolare di arzilli “vecchietti” dimenticati un po’ dal grande calcio di allora. Elementi come Fiorio, Pradella, Soncin, Maino, Pasa: potevano fare la serie B senza problemi non l’Interregionale. Personalmente vissi un periodo spettacolare, ma faticosissimo diviso tra esami, le partite al Tenni, le trasferte nelle quali in ritiro i miei compagni giocavano a carte o si affacciavano ai primi videogiochi portatili mentre io studiavo“.
E quante sono state le corse terminato l’allenamento per arrivare puntuale in studio per terminare il lavoro. “Ancora oggi, a Treviso, si parla di quel gruppo meraviglioso, l’unico rammarico fu che il nostro caro Presidente, non poté gioire assieme a noi: morì pochi mesi prima. Dedicammo a lui e alla sua famiglia la vittoria del torneo”.
Con la promozione in B nel 1997, di fronte a Bonavina si presenta un bivio: continuare a fare il calciatore o dedicarsi totalmente alla sua professione di avvocato: “Il primo anno in B nella Marca, sono riuscito a conciliare il tutto. Era una vera soddisfazione che a fine gara spesso e volentieri, tantissimi calciatori mi aspettavano fuori dagli spogliatoi per chiedermi un’assistenza legale e fino a pochi minuti prima ce le eravamo suonate di santa ragione in campo. Tutto andava a meraviglia calcisticamente e professionalmente. Arrivò anche un’offerta importante da parte del Brescia, che puntava a tornare in serie A. Però, significava trasferirsi e non riuscire più ad esercitare come prima. Non me la sentii e rimasi a Treviso. Fu la scelta giusta, in quanto pochi mesi dopo tra l’altro, mi ruppi il ginocchio e persi gran parte della stagione”.
L’ultimo capitolo della carriera calcistica di Bonavina ha come teatro la sua Padova in serie C2. Proprio a casa sua, gioca la sua stagione più deludente sotto tanti punti di vista, segnata da un episodio che nel 2000 fece scalpore in tutta la penisola: ”Ritornavo da avversario a Castelfranco e contro il Giorgione fu un pomeriggio da far west. Arrivati al comunale di Via Rizzetti, trovammo lo spogliatoio cosparso di ammoniaca. Ci bruciavano gli occhi e non si respirava. Da capitano, parlai con il giovane Raffaele Auriemma, figlio del presidente castellano, ma questi aprì la giacca facendo intravedere il calcio di una pistola“.
Un episodio che “segnò negativamente il nostro torneo. In seguito, la vicenda finì ovviamente in tribunale ma compagni e allenatore mi lasciarono da solo e tutto ebbe un effetto anche nello spogliatoio che non fu più coeso. Voglio inoltre rivelare a distanza di tempo un particolare importante che sedò ogni dubbio sulla veridicità delle mie parole: ai fini della condanna nei confronti dell’Auriemma Raffaele, oltre alla mia deposizione e quella del mio unico sostenitore, il dottor Brusonimi, fu determinante quella spontanea rilasciata dal titolare del ristorante in cui si riunì il Giorgione prima del match in questione. Il proprietario dell’esercizio, andò dalla digos di Padova confermando di aver visto l’arma su un tavolo del guardaroba, quando i dirigenti rossostellati si tolsero i cappotti prima di raggiungere la sala da pranzo. Spaventato, chiese spiegazioni e gli venne risposto che la sfida con i patavini si doveva vincere a tutti i costi. O con le buone o con le cattive”.
“A distanza di molti anni – ricorda Bonavina – provo ancora molta amarezza ricordando tutto ciò. Oltre al fatto che se restavamo uniti si poteva vincere il campionato, personalmente rischiavo anche di passare come un visionario perché praticamente tutti negarono all’evidenza. Una delle pagine più brutte se non la più brutta della mia carriera”. Al termine di quella stagione l’avvocato, capì che era giunto il momento di chiudere definitivamente con il calcio giocato. Dopo aver rifiutato una proposta lavorativa dell’allora procuratore di Del Piero Claudio Pasqualin, che lo voleva a tutti i costi al suo fianco, Diego Bonavina ampliò ulteriormente il suo percorso professionale da legislatore e coronò il suo sogno. Oltre ad aver avviato uno dei più importanti studi legali della città di Padova, dal 1999 al 2012, è stato consigliere dell’Associazione Italiana Calciatori ed è stato uno dei membri che il 26 maggio 2009 hanno costituito l’A.I.E.C. ovvero Associazione Italiana Ex Calciatori ricoprendo il ruolo di vicepresidente. Ha fatto parte anche del consiglio direttivo e del comitato esecutivo del Settore Tecnico della FIGC. Dal novembre 2016 è direttore del comitato scientifico e docente universitario di diritto sportivo presso Uni San Raffaele a Roma.
Volere è potere. E Diego Bonavina lo ha dimostrato. Con la fiducia nei propri mezzi ed i dovuti sacrifici, nessuna meta è irraggiungibile.
A cura di Stene Ali
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