Massimo Donati lo percepisci. Nelle sfumature della sua voce e della sua tonalità ne percepisci la mentalità e lo spessore umano. Parlando con lui e ascoltando le sue parole ti lascia qualcosa. “Il mio obiettivo? Arrivare al massimo che posso raggiungere. Certo, poi allenare il Celtic sarebbe bellissimo…”. Una frase che racconta. Racconta i principi e i valori di una persona, la costante ambizione che vive in lui, l’amore per quella terra scozzese a cui sarà legato per sempre. “La testa è fondamentale, parte tutto da lì”. Ed è osservando la sua filosofia pragmatica che diventa possibile comprendere davvero le radici e i motivi del percorso del Legnago di Donati. La vittoria del campionato in Serie D lo scorso anno, un ruolo da protagonisti in questa stagione.
I veneti, quinti in classifica nel girone A, sono l’unica squadra professionista italiana imbattuta nel 2024. Ah, da neopromossi. Una squadra composta da “ragazzi non affermati che avevano fame. Spingiamo al massimo, vogliamo fare qualcosa di importante”. Questione di mentalità. Gli anni all’Atalanta e il Milan, l’esperienza oltremanica e gli esempi di Ventura e Gasperini, la determinazione e un percorso di continua crescita, perché “si impara sempre. Se ci si pensa perfetti si sbaglia tutto”: il calcio di Massimo Donati.
“L’aspetto mentale è alla base di tutto. Se mentalmente non sei predisposto a lavorare, a dedicarti al 100% a ciò che fai è difficile avere risultati”. Una filosofia di vita, un modo di approcciarsi al calcio. Già, approcciare, non aspettare. La volontà di lasciare un segno, di essere attivi e non passivi, di diventare gli artefici del proprio destino. Insegnamenti di un percorso, quello di Massimo Donati da calciatore, che ora vuole riconsegnare ai suoi ragazzi. Perché nella vita gli obiettivi ce li si conquista, un passo alla volta. Il percorso ce lo si costruisce con fatica e dedizione: “Batto sempre sul tasto di essere ambiziosi e chiedere a se stessi qualcosa in più. Io lo faccio tutti i giorni e lo chiedo anche a loro. Bisogna lavorare e sacrificare”.
Conoscere il significato della fatica. Comprenderla, interiorizzarla, apprezzarla: “Ho imparato ad amarla. Nessuno mi ha mai regalato nulla. C’è da conquistarsi tutto e per farlo serve fare fatica. Io ho imparato ad amare la fatica e a vivere e affrontare problemi e difficoltà. Mi piace affrontarli, solo così si cambiano le cose”.
Perché è nelle difficoltà che si cresce. Ci insegnano a conoscere e conoscerci: “La prima esperienza da allenatore a San Benedetto in questo senso è stata utile. Sono arrivato 10 giorni prima dall’inizio del campionato e senza giocatori. Quei due mesi mi sono serviti”. Una processo continuo di formazione, senza presunzione o preconcetti: “Mi piace molto vedere le partite, soprattutto dei più bravi perché è da loro che si impara. E poi leggo libri, non solo sul calcio. C’è sempre da aggiornarsi e migliorarsi”. L’importanza del dialogo: “Mi piace parlare con tutti i componenti della rosa. Mi fa rivivere le sensazioni che avevo quando ero calciatore. Voglio sentirmeli vicini, far capire loro che siamo sulla stessa barca”. Ma qualche partitella la fa ancora? “Certo, e meno parecchio”. I principi come coordinate: “L’allenatore deve essere bravo a capire come arrivare al risultato. Devi modellare le tue idee in base ai giocatori. Contano i principi, non moduli o schemi prefissati”. Una partita che guarderebbe? “Atalanta – Inter, mi piace come giocano”.
Il luogo in cui cresciamo determina spesso chi siamo. Per Massimo Donati quel luogo è stato l’Atalanta: “È un universo che forma la persona prima del calciatore. Mi hanno aiutato a crescere. Poi ci devi mettere del tuo”. L’arrivo in prima squadra e dopo il primo anno di Serie A la chiamata del Milan: “un salto davvero grande, forse non ero ancora pronto. È stato un sogno. Mi allenavo con Maldini, Costacurta, Pirlo, Shevchenko”. Esempi: “Andavano sempre a seimila”. Poi i prestiti e la proposta dalla Scozia: “Shevchenko mi chiamò per chiedermi se volessi andare al Celtic”. Qualcosa d’altro. Per fascino, atmosfera, storia. “Una nazione che vive di semplicità. Si vive con meno pressione. È un gioco e rimane tale”. Un legame unico con l’ambiente e i tifosi e quel gol allo Shakhtar Donetsk: “Il momento più alto della mia carriera”.
“A Bari sono stato diversi anni. Una città che vive di calcio con una passione contagiosa”. Ed è in Puglia che nasce l’idea di allenare: “Con Ventura potevo giocare a occhi chiusi, sapevo a memoria cosa fare con e senza palla. Sentivo il desiderio di trasmettere questo ad altri”. In Scozia la doppia carriera di allenatore e calciatore. Ora il presente è il Legnago. La promozione e il quinto posto di quest’anno: “Più che aspettarmelo, lo speravo. Ci ho creduto fin dall’inizio. Con il ds e con la proprietà ho instaurato fin da subito un grande feeling. Sono libero di lavorare”. Nella costruzione della squadra “siamo andati alla ricerca di giocatori affamati. Non siamo andati a guardare i nomi o le carriere. Abbiamo cercato gente che doveva ancora dimostrare e conquistarsi i traguardi. I risultati sono dovuti a quello. Ho ragazzi che hanno voglia di arrivare”.
Pragmatico, deciso, lavoratore. Massimo Donati è un insegnante della fatica e del sacrificio. Passa tutto da lì. E dalla mentalità, stella polare del suo viaggio.
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