Sabato 2 ottobre. Oggi è la festa dei nonni. Figure insostituibili nella vita di ogni persona. Sempre presenti, affettuosi, in grado di raccontarci storie per ore e ore. Piccoli o grandi, attorno ad una tavola o attraverso una telefonata, è indifferente. La voglia di raccontare colpisce, rapisce e incuriosisce chi sa ascoltare. È stato sufficiente questo per intervistare Francesco Malgieri. O meglio, nonno Ciccio da Foggia, come ormai è conosciuto da tutti.
“Francesco Malgieri?” “Salve, aspetti che esco fuori così parlo meglio”. Partendo dall’inizio si potrebbe già concludere. Oltre 90 anni (“l’età esatta non la dico”) e una voglia incredibile di parlare. Di raccontare la sua storia. Non bisogna fare altro che ascoltare. E noi ascoltiamo. Incantati come bambini.
“Avevo 11-12 anni, era il 1937. Sono nato e vissuto a Sant’Agata di Puglia e all’epoca, in paese, si era sparsa la voce di giocatori fortissimi che giocavano a Foggia. Io ero curioso di vederli e così con un mio amico rubai a mio zio, che faceva il fabbro, una bicicletta di un cliente la domenica mattina. Pensai “ma ce la farò a tornare?”. Facemmo 50 chilometri e arrivammo allo stadio senza sapere quali erano i giocatori o i colori del Foggia. Vincemmo 3-0.
A fine partita dovevamo tornare a casa. Era buio e forai la ruota. Allora tagliammo per le campagne ma non siamo arrivati prima della mattina. Il mio amico ha portato la bicicletta da mio zio ed è scappato via per non avere le batoste dal padre. Io sono tornato a casa la mattina alle 8 e mio zio mi prese a cinghiate”.
“La prima trasferta fu a Pescara, bellissima, in autostrada. Poi l’ho seguito sempre. Quest’anno ho fatto tutte le trasferte sempre da solo, con la mia macchina che è molto stabile e mi accompagna sempre. Guido con grande prudenza, non ho mai avuto un incidente o una multa perché so che se sbaglio mi tolgono la patente. Non posso sbagliare. Sono già pronto di fare la trasferta di Palermo (in programma domenica prossima) da solo come sempre.”
“Le voglio raccontare un fatto che mi è successo poco tempo fa. Foggia-Juve Stabia. Tre anni fa andai lì e, a fine partita, i ragazzi della Juve Stabia volevano salutarmi. Io scendo e mi dicono “nonno Ciccio, ci possiamo dare la mano?” io gli risposi che ci dovevamo abbracciare e baciare. Domenica scorsa è venuta a Foggia la Juve Stabia. Io porto sempre con me uno striscione, tuttocolorato: “Pace tra Ultras”. I tifosi della Juve Stabia mi hanno riconosciuto e hanno iniziato a gridare “Nonno Ciccio”. Io ho aperto le braccia e gli ho salutati. Quando sono andati via mi hanno fatto anche un coro. “Ciao ciao, nonno Ciccio ciao. Lunga vita a nonno Ciccio”, è stato bellissimo. Mi è piaciuto molto. Tutta Foggia è stata stupita da questo”.
“Per un anno non ci siamo andati (allo stadio, ndr). Durante la pandemia, sono arrivati i carabinieri a casa e visto che ho il domicilio a Foggia ma la residenza a Ascoli Satriano volevano sapere dove stavo. Io gli ho risposto “Io qua sto da Dio, ho costruito una pineta, ho le pecore, i cani. Faccio una vita libera e indipendente. Io qua, maresciallo, sto bene, solo solo, che mi importa se non posso vedere il pallone. Tutto il mondo non lo può vedere. Io, per fortuna, non ho avuto problemi. Sto bene, ho mio figlio che mi assiste. Sto benissimo” Cosi se ne è andato. Io qua sto davvero bene.
Al nominare la guerra Ciccio si commuove e cambia voce. Il racconto è straziante ma deciso e alle richieste se volesse cambiare discorso, sempre stessa risposta “no no, io racconto”. In maniera commossa ma decisa e convincente.
“A 17 anni, i fascisti mi mandarono in Africa – racconta nonno Ciccio – il giorno di Venerdì Santo le milizie fasciste arrivarono a Sant’Agata e ci portarono via. Dopo neanche due ore eravamo già vestiti da soldati e pronti a combattere. Siamo partiti alle sei di sera da Foggia. Il mio cuore piangeva, io ero l’unico figlio. I miei non mi hanno visto per 5 anni (si commuove, ndr). Ci portarono a Salerno, io volevo fuggire ma non potevo andare via. Dopo 4 giorni arrivammo in Africa, a Bengasi ma il fronte stava a Tobruk. Ci fecero fare 60 chilometri a piedi. Sentivamo da lontano le cannonate, avevamo paura. Ci davano solo 3 gallette al giorno e un litro d’acqua. Finito quello, non c’era più nulla. Facemmo un tentativo di assalto in Egitto, ad Alamein ma fui catturato dagli Inglesi. Ci avevano detto che gli Inglesi erano terribili, che ci avrebbero ammazzato e invece mi diedero della cioccolata. È stata la prima volta che la mangiai in vita mia.
Un giorno ci chiesero chi voleva collaborare. Io sapevo che la guerra era perduta. Volevo solo tornare a casa. Collaborai. Mi portarono a Liverpool e mi chiesero il mestiere. Io dissi che ero un contadino, sapevo mungere, assistere cavalli e mucche. Sono stato lì 3 anni e nel settembre del 1945 feci ritorno in Italia. Tornai sano e pulito, solo con qualche graffio. La guerra è una cosa tremenda e ti ricorda che la vita è unica e insostituibile, va saputa godere.”
“Ora è tornato Zeman. Abbiamo vinto l’ultima partita 0-3 contro l’Andria. In casa però stiamo facendo male. Speriamo bene ma la promozione è molto difficile. Io sono pronto ad andare Domenica contro il Messina con il mio abbonamento. ma non vedo l’ora di andare a Palermo con la mia macchina.”
“Ora però scusi, devo andare a lavorare. La saluto, che Dio la benedica e grazie”. No Ciccio, grazie a lei. Grazie perché ci ha fatto tornare bambini per un attimo raccontandoci la tua storia. Grazie perché ci ha fatto capire, ancora una volta, l’importanza dei nonni.
A cura di Samuele Manzoni
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