Quello tra i numeri e il calcio è un rapporto diverso e unico. A ogni numero si legano significati, immagini, sentimenti. In alcuni nascono e prendono forma storie. Storie come quella che unisce Francesco Galuppini con il (suo) 14. Un rapporto intimo, forte, unico. Un compagno di viaggio, il 14, che lo accompagna da anni. E forse non poteva essere altrimenti. Perché? Il motivo lo si trova e legge nelle pieghe del giocatore e della persona. Una personalità a tratti particolare, propria di quei giocatori in cui vive il talento. Quello puro, libero da sovrastrutture e illusioni. Un calciatore senza ruolo, perché il suo ruolo è dato dallo spazio e dal tempo, diversi per ogni partita. Un cervello che studia. Studia per capire come incidere e decidere. Qualità nel pensiero e nel calcio che caratterizza un fantasista diverso. Un carisma a volte divisivo che vive di emozioni, nello loro possibili sfumature: la gioia di un gol, l’adrenalina di una provocazione, la voglia di rivincita, il sostegno di una curva.
Per questo e per tanto altro non poteva che essere il 14 il numero sulla sua schiena. Troppo scontato il 10 per com’è fatto. Meglio qualcosa di diverso, appunto. Meglio il numero del giocatore preso come riferimento, Johan Cruijff. 14 come i gol segnati per ora in campionato con il suo Mantova. La doppia cifra raggiunta per il quinto anno consecutivo, il primo posto e quella Serie B diventata realtà, una matura consacrazione: Francesco Galuppini, nel segno del 14.
Difficile definirlo. E anche per questo non sempre è stato facile il suo viaggio. A volte incompreso, per il suo talento così indefinibile e sofferente ai classicismi e alle classificazioni. Il suo essere esploso relativamente tardi, quella Serie B non ancora raggiunta, sebbene chiunque ne parli lo definisca come un “qualcosa d’altro” rispetto alla normalità. Un numero 14 scelto per sfuggire alla consuetudine e alle categorie. Un modo per costruirsi il percorso rimanendo fedele il proprio essere. E la sua crescita è stata coerente con questa questa sua intrinseca necessità. La sua crescita per alcuni può essere stata lenta, per altri tardiva. Per lui, forse, semplicemente giusta.
Un inizio tra i grandi non semplice e l’esperienza in Serie D: “Il timore che il calcio potesse non essere il mio futuro c’era“. Il ritorno in C e l’incontro in tribuna con l’ex compagno Aimo Diana che segna una svolta: “Ti voglio con me. Sei perfetto per la mia idea di calcio. Sei solo al 30% del tuo reale potenziale“. A Renate il processo di maturazione ha inizio. Il talento diventa consapevole… del proprio talento. Galuppini diventa Galuppini, un po’ di più.
Negli anni in nerazzurro si esprime come uno dei giocatori più decisivi della Lega Pro. Dominante, a tratti. Poi Sudtirol e Novara, due esperienze che, per motivi diversi, costringono il numero 14 a crescere. Come uomo, ancora prima che come calciatore. Una piena e consapevole maturità raggiunta e messa a disposizione del suo Mantova. In estate si sono cercati, avvicinati, toccati e voluti. Voglia di riscatto. (Ri)tornare a essere grandi. Una promessa fatta. Fatta a se stesso, più che agli altri. Conquistare quella B che era sfuggita. Farlo da protagonista, cancellando con i suoi tocchi le polemiche del passato. Tocchi d’artista. Perché con lui ogni giocata è una (il)logica conseguenza del pensiero. L’ha sognata, accarezzata, aspettata. Ora la B non è più un sogno. E, forse, è giusto che sia arrivata ora con questa squadra, questo ambiente e questa annata. Intelligenza, classe e qualità per creare le sue cartoline. La firma ha il numero 14.
Uno spirito libero che aveva bisogno di tornare a sentirsi tale. Libero di pensare e giocare il suo calcio. Un sistema di gioco, anzi, delle idee che valorizzassero lui e la sua fantasia. Un ambiente che lo facesse sentire a casa. E in quella coerenza del suo percorso di cui prima si parlava, era forse destino che Galuppini e il Mantova si trovassero proprio questa estate. Una società che deve tornare grande. Un ds conoscitore di talento e di uomini. E poi Possanzini, l’allenatore che forse più di tutti con la sua idea di calcio può far esprimere al meglio la sua fantasia. Una filosofia in cui il risultato è solo la conseguenza della ricerca di principi chiari. Il possesso, il dominio del gioco, la ricerca della bellezza unita all’efficienza, il capire spazi e tempi più che schemi e ruoli. E in questa idea si muove per il campo l’estro di Galuppini, libero di interpretare e decidere. E lo fa divertendosi, come nella corsa “galuppata” delle sue esultanze. Un’esultanza ripetuta per ora 14 volte e diventata iconica tra i tifosi biancorossi. Una felicità ritrovata. Lo si legge nella serenità del suo sguardo e nella spensieratezza del suo stare in campo.
La semplice eleganza del Parco Te e il sole che tramonta dietro alla curva del Martelli. Una piazza tornata a sognare e un mancino libero di inventare. La forza delle idee. All’orizzonte il sogno diventato realtà della Serie B e il matrimonio con la sua Elisa. “Mantova, riparto da Te“. Firmato, il 14.
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