“Nono, fai entrare Giandomenico. Chiamami Giandomenico”. La carriera tra i “grandi” di Manuel Giandonato inizia così. Con il cognome storpiato da Zaccheroni e l’esordio per il centrocampista classe ’91 in Serie A da subentrato al posto di Del Piero. Da Torino: “Sono cresciuto con la maglia bianconera addosso, con i loro ideali e gli insegnamenti di vita”. A Fermo: “Ci ho messo due secondi ad accettare: ci ero stato benissimo e la gente mi vuole bene”. Passando per Salerno: “Entrare all’Arechi è qualcosa di unico, ti mette i brividi”. Tutti seduti, Manuel Giandonato ci racconta la sua storia nel salotto de La Casa di C.
Quel giorno in cui Manuel cambiò cognome per un pomeriggio, risale al 6 febbraio 2010. La prima in Serie A. “Io neanche mi ero accorto che ero entrato al posto di Del Piero. Me lo hanno detto da casa dopo la partita”. Era stata una settimana movimentata per l’allora 18enne. “Avevo fatto la prima partita del Viareggio di lunedì sera. La notte io e Marrone siamo andati a Torino”. Il martedì c’era il primo allenamento di Zaccheroni, arrivato alla Juve dopo l’esonero di Ferrara. Arriva l’esordio “grazie” a Felipe Melo che viene espulso. “Io ero ancora seduto, neanche mi stavo scaldando a differenza di Marrone. Eravamo gli unici due centrocampisti in panchina. Il secondo di Zaccheroni gli dice: “C’è Marrone che ha già fatto delle presenze”. Ma appena ho sentito Gian, mi sono spogliato e in due secondi ero affianco lui“.
Poche settimane dopo, nel viaggio di Giandonato c’è la tappa fondamentale di Manchester. “Ho rovinato l’addio di Gary Neville (ride, ndr). I compagni mi sfottevano perché dicevano che avevo fatto gol nell’unica partita in cui non dovevo segnare”. L’incoscienza dei 18 anni. Ma non tanto per il gol. “Sono entrato a mezz’ora dalla fine e quando ero in campo stavo solo rosicando perché il mister non mi aveva fatto entrare prima“. Incoscienza totale. “Tant’è che riguardando quel gol dopo mesi e anni ho pensato come ho fatto a fare gol a Old Trafford e non esultare. Non mi ero reso conto di niente”. Con il tempo però le emozioni sono riaffiorate. “Tutti quelli della prima squadra di sono complimentati con me: da Del Piero a Marchisio passando per i vari Pepe e Storari. L’emozione più grande era stato vedere che i compagni volevano che la tirassi io quella punizione, piuttosto che segnarla. Era uscito Del Piero, ma io non mi ero neanche avvicinato perché c’era Pepe, Marchisio, Salihamidzic…”.
La domanda è scontata. Meglio il gol contro il Siena (CLICCA QUI per rivederlo) o quello all’Old Trafford? La risposta un po’ meno. “Calciare con la palla ferma è più semplice, perciò scelgo quello contro il Siena”. D’altronde gli artisti non sono mai banali. Davanti a Beckham e Rooney, con il destro era partita la pennellata. Lui che di arte e disegni se ne intende. “È una passione che ho fin da piccolo. Mi piace disegnare, ho fatto qualche quadro. Mi metto davanti un disegno e lo rifaccio a mano libera, mi rilassa”.
L’allievo cerca sempre di imparare dal Maestro. “Marginalmente ho vissuto Pirlo. Sono stato con lui solo venti giorni in ritiro, ma lo seguivo dappertutto. Cercavo di rubargli qualsiasi cosa, ma era impossibile. Tutto talento naturale”. Quelli erano anni di rifondazione alla Juve e i veterani erano ancora più fondamentali. “Chiellini era molto vicino ai giovani, ci dava consigli. Anche Bonucci e Marchisio ci aiutavano tanto. I primi tempi una grande mano me la diede Fabio Grosso”. Solidarietà abruzzese. “In quegli anni di prima squadra anche Cannavaro mi diede attestati di stima”.
Tutto però cambia a Salerno. “Lì ho cambiato la mia mentalità. Non so se me l’ha trasmesso la piazza o mi è scattato da solo, ma dopo Salerno ho sempre avuto la forza di andare sempre a duecento all’ora, cosa che mi era mancata negli anni precedenti”. La girandola di prestiti non gli ha fatto bene.“È brutto da dire ma quando vai in prestito e inizi a non giocare o la squadra va male non hai lo stesso trasporto di essere della società perché tanto sai che a giugno hai le spalle coperte perché torni alla casa madre che ti manda da un’altra parte”.
Dalla Mole Antonelliana e il Castello Arechi al Duomo di Fermo. “Il ritorno è stato fortemente voluto. Ero in uscita dall’Olbia, volevo cambiare aria”. Il centrocampista aveva già giocato con la Fermana nella stagione 2018/2019. “Ho avuto la possibilità di tornare. Con la piazza il rapporto è sempre stato bello. Quattro anni fa ho avuto sia alti che bassi. Ma la gente mi vuole bene perché sa che sono una persona vera. Se c’è da metterci la faccia ce l’ho sempre messa anche a difesa della squadra”.
“Giandonato non disegna calcio, Giandonato è il calcio”. Così si legge sotto i post delle varie fanpage della Fermana. Ma Manuel non si monta la testa. “Vogliamo la salvezza il prima possibile. Qualcuno dopo le prime giornate poteva pensare a qualcosa di più. Poi però su molti campi abbiamo lasciato dei punti per demeriti, sfortuna e decisioni arbitrali. Noi abbiamo sempre saputo che l’obiettivo è la salvezza”. E chi lotta a Fermo non verrà mai dimenticato.
Di capitoli da raccontare ce ne saranno ancora molti. Ma la storia di Manuel Giandonato per il momento si chiude qui. Con il gialloblù addosso e il bianconero nel cuore.
A cura di Filippo Rocchi
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