C’è il sole. Dal cortile provengono delle grida. Sono bambini che inseguono un pallone e corrono su quelle mattonelle di pietra come se fossero il prato del Bernabeu. Non esistono schemi e numeri, gioca anche chi magari del calcio non farà la sua ragione di vita. Nel gruppo, però, ci sarà sempre quel bambino che indossa una maglietta azzurra, magari stropicciata o scolorita, ma per lui la più bella del mondo. Il sogno sportivo del ragazzino è chiaro: vincere un giorno il Mondiale con l’Italia. Un percorso lungo e difficile, che solo in pochi riescono a percorrere. Un tragitto che per alcuni campioni del mondo del 1982 e del 2006 è partito proprio dalla Serie C.
11 luglio 1982. Al triplice fischio dell’arbitro Coelho, Antonio Cabrini, Pietro Vierchwod, Marco Tardelli ed Alessandro Altobelli diventano campioni del mondo, sotto gli occhi di Enzo Bearzot e Sandro Pertini. Quattro storie di altrettanti giocatori che hanno tutte un denominatore comune: il punto di partenza. Nella cronistoria della carriera di questi calciatori infatti è possibile trovare l’esperienza formativa in Serie C. Antonio Cabrini, il difensore che nella prima partita della seconda fase a gironi di quel Mondiale si trova a marcare Diego Armando Maradona, aveva fatto il suo esordio nei professionisti nove anni prima, con la maglia della Cremonese a soli sedici anni di età. In quegli stessi anni, a 140 chilometri di distanza, Pietro Vierchowod con la maglia del Como aveva vinto il campionato di C per guadagnarsi l’anno successivo insieme ai propri compagni anche la promozione in Serie A. Da Cremona a Como, arrivando fino a Latina, dove Alessandro Altobelli faceva il suo debutto tra i grandi in C attirando con le sue qualità l’attenzione del Brescia. Come Cabrini, di questi quattro giocatori, l’unico che aveva disputato due anni in Serie C era Marco Tardelli. L’eroe della notte di Madrid, padrone dell’urlo liberatorio in mezzo al campo icona di una generazione, prima di arrivare a quella sera aveva giocato per due stagioni sotto la torre pendente. I colori erano il nero e l’azzurro: quelli del Pisa. Passo, dopo passo, fino alla gloria sul tetto del mondo.
Facciamo un salto in avanti nel tempo di 24 anni. Nel 2006 in Germania arriva l’Italia guidata da Marcello Lippi. Colui che ha portato cinque scudetti ed una Champions League alla Juventus e che ha iniziato la propria carriera sulla panchina in Toscana, a Pontedera, in Serie C. Da Inzaghi fino a Zambrotta, passando per Oddo e Iaquinta. Una classe di giocatori che conosce la C ed il significato della parola gavetta. E forse più di altri era riuscita a comprendere la fatica richiesta per arrivare a giocare un Mondiale così importante. Ne sapeva qualcosa Barzagli, che partito dalla Serie D, aveva esordito nei professionisti con la maglia della Rondinella Impruneta. Oppure Marco Materazzi. La Serie C con il Trapani nel suo curriculum svetta tra un Mondiale e la Champions con l’Inter. Grandi traguardi che sono figli del cammino percorso. Ma l’elenco non si ferma qui, anzi. La carriera di Fabio Grosso era partita addirittura dal campionato di Eccellenza. Da lì, una lunga scalata, passando per la C con il Chieti, trampolino di lancio verso i grandi palcoscenici. La classe della Serie C dei campioni del mondo.
Sudore. Passione e volontà. Entrare nella storia voltandosi solamente quando si è sulla vetta. La storia degli ultimi due mondiali vinti dalla Nazionale Italiana è segnata dalla presenza dietro le quinte della Serie C. Un punto di partenza, un momento della carriera di un giocatore che segna il passaggio da adolescente a calciatore professionista. Non tutti ce la fanno. Ma quel ragazzino, con la maglia azzurra e stropicciata che corre in mezzo al cortile può sempre sognare. In fondo, come diceva Enzo Bearzot, il cammino è la ricompensa.
A cura di Jacopo Morelli
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