“Cosa ne pensi di un’intervista?”. “Sì, si può fare”. L’appuntamento è al tavolino di un bar. Una ragazza è seduta a studiare. Un’altra coppia condivide un pranzo. Un crocevia di persone, di storie e di vita. Qualcuno le racconta, altri preferiscono osservare e ascoltare. “Ciao, eccomi”. Mattia Locatelli è arrivato. Il tempo di ordinare due caffè e si parte. Un viaggio tra ricordi, battute e aneddoti. Una chiacchierata spontanea in cui si lascia spazio a emozioni e immagini. Il legame con il fratello Manuel, centrocampista della Juventus e della Nazionale: “Le nostre carriere sono iniziate insieme nella squadra del paese. In famiglia siamo juventini. Quando è andato a Torino si è realizzato un sogno per tutti noi”. Mattia ora gioca nel Missaglia, in Promozione lombarda. Nel suo passato un rapporto speciale con Lecco: “Giocammo con le maglie regalate dalla curva. Una piazza unica”. Il motivo? Ci torneremo. La dimensione del calcio dilettantistico e il significato profondo di uno spogliatoio. Il calcio, nella sua essenza più intima, come filo rosso in questo percorso. La bellezza della semplicità. La semplicità di un’emozione. I caffè sono arrivati. Un giro con il cucchiaino, inizia la storia.
L’andare delle onde. I colori sono quelli del Lago di Lecco. Nel piccolo paese di Pescate crescono i due fratelli Locatelli, Mattia e Manuel: “Abbiamo iniziato a giocare insieme, ci allenava nostro padre. Dopo un torneo lo notò l’Atalanta. Io, invece, andai all’Olginatese”. A differenza del fratello, lui da sempre si muove dalla trequarti in su. Il percorso prosegue con l’arrivo negli Allievi del Lecco: “Giocavamo contro squadre come Inter e Milan. Ricordo con piacere le trasferte a Cagliari”.
Crisi societaria e fallimento, il club riparte dalla D: “Quell’anno dovevo andare all’AlbinoLeffe in Primavera”. Una situazione non semplice: “Rimasi a Lecco in Juniores. Un campo di sabbia per allenarsi, pochi giocatori”. Le chiamate in prima squadra: “Ero un periodo in cui ero molto concentrato sul calcio. Non ero pronto di testa”. Un gol indimenticabile. Firmato Locatelli? No. “Giocavamo in Piemonte. Avevamo 4 portieri, per cui alcuni giocavano fuori. Uno di questi entrò e segnò la rete decisiva”. A 17 anni l’esordio. Un sogno realizzato. Il bambino che andava in curva al “Rigamonti Ceppi” è diventato grande. Quel bambino indossa quella maglia. La maglia bluceleste.
Dopo le esperienze di Sondrio e Inveruno, il ritorno nella sua città. Altri problemi societari, una squadra fatta di soli giovani. Qui Locatelli ritrova un suo vecchio allenatore, Bertolini, ora secondo di Zanetti a Empoli: “Lui a Lecco è un idolo. Ogni tanto lo sento ancora. È davvero una brava persona, mi ha dato tanto. Merita di essere lì”. Mattia trova una realtà scossa dai disordini societari. Una squadra sola, senza una struttura alle spalle. Ma si sa, nelle difficoltà nascono a volte le storie più belle. “Esordii nell’ultima partita dell’andata. Perdemmo, ma i tifosi ci applaudirono comunque”.
Una istantanea ferma nella mente. La memoria che torna a quel momento: “Il mio sguardo si incontrò con quello di un tifoso”. Il resto si ferma, occhi sinceri e una promessa a quel ragazzo: “Ci salveremo”. Promessa mantenuta: “Un miracolo aver conquistato quella salvezza”. Il merito di un’unione simbiotica con la piazza. Una piazza speciale. Una piazza diversa: “Un tifo incredibile. Ricordo che De Zerbi, che ha allenato Manuel, disse che i sostenitori del Lecco erano più caldi di quelli del Napoli”.
Ultima giornata di campionato, di Mattia Locatelli il gol decisivo. Un abbraccio al preparatore che lo aveva aiutato a tornare dall’infortunio. Vittoria e playout contro l’Olginatese conquistati. Gli occhi si chiudono per un istante. Le immagini si fanno sempre più nitide: “Eravamo in trasferta, ma per il tifo sembrava di essere in casa. L’abbiamo vinta all’ultimo minuto”. Gioia incontenibile, la salvezza è realtà: “Andammo in centro a Lecco a festeggiare con tutti i tifosi”. Emozione nella voce di Mattia: “Giocammo con le magliette che ci regalò la curva. Noi non avevamo una società, ma un curatore fallimentare e indossavamo delle maglie bianche e rosse. Colori che ricordavano il Como”. La squadra era a pranzo prima della partita: “Arrivarono i ragazzi della curva e portarono delle maglie che comprarono con i loro soldi”. Testimonianza di un legame unico: “Senza di loro non ci saremmo mai salvati. Fa piacere vedere che ancora si ricordano di quell’impresa”.
La squadra e i tifosi, insieme. Un anno unico in cui si è scritta la storia della Calcio Lecco. Ad essere salvata, forse, non solo la categoria, ma anche il futuro stesso della società. Pagine uniche. Perché vincere con la maglia della propria città è diverso: “Da ragazzino andavo in curva. Mi sono trovato in campo a vivere quella passione e quel sostegno. Sentire quel calore, la gente che canta per te. Lecco è diversa da tutte le altre piazze. Unica per amore dei tifosi per il calcio e la maglia. Il mio anno più bello, insieme allo scorso con il Missaglia”. Un legame nato sugli spalti, come aveva raccontato il fratello Manuel nel saluto al Lecco per i suoi 110 anni. Un legame coltivato poi in campo.
Finita la stagione è addio: “Arrivò la nuova società e decise di cambiare la rosa. Non nascondo che ci fu molto dispiacere”. Il passaggio al Luciano Manara in Eccellenza: “Un bel gruppo. Negli spogliatoi mi sono sempre trovato bene. Mi piace arrivare prima degli allenamenti e andare via tardi. I momenti che condividi con i tuoi compagni sono indimenticabili”. Spogliatoio, luogo sacro capace di racchiudere segreti, significati, sfumature. Luogo di incontri, condivisioni, legami che si scrivono nel tempo: “Sui campi da calcio nascono alcune delle amicizie più belle e importanti. Persone che scegli come amici e tieni nella tua vita”. L’allenamento dopo il lavoro o lo studio, la domenica, la fatica e le gioie. Condivisione e unione. Momenti unici. Istantanee di calcio e di cuore. Lo sport nel suo senso più profondo.
Come lo scorso anno: “A Missaglia in Prima Categoria. Abbiamo vinto i playoff. Una squadra unita. Indimenticabile. Vincere è sempre bello, in qualsiasi campionato”. Uno sguardo verso il passato: “Avrei potuto fare qualcosa in più, ma sono contento di quello che ho fatto”. Pensieri accompagnati da un sorriso. Un sorriso per il percorso costruito. Attimi riempiti di vita con due scarpini ai piedi. Le emozioni davanti a tutto, perché ciò che conta è godersi il viaggio. E Mattia Locatelli il suo viaggio se l’è vissuto, con un pallone come compagno.
A cura di Nicolò Franceschin
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