“Chiedo una cosa ai miei ragazzi, giocare come in allenamento e di godersi la serata”. Queste l’augurio di Possanzini prima della sfida al Mantova. Un messaggio che nella sua semplicità nasconde, forse, il senso più profondo di questo Mantova e del suo straordinario percorso. Nelle trame di quelle poche parole si leggono e percepiscono le coordinate e i tratti di questo cammino: serenità, entusiasmo, spensieratezza e una consapevolezza costruita un passo alla volta. Sono diverse le immagini e i protagonisti che raccontano questo cammino. Si può partire dai numeri, ma poi c’è altro. Molto altro. C’è la storia di una rinascita voluta e cercata. Una rinascita fondata sulla forza delle idee e sulla fedeltà a esse. Le idee con cui è stata prima immaginata e pensata e con cui poi si è dato forma a questa squadra. Le idee dell’allenatore di cui il campo è la più bella rappresentazione. Umiltà e ambizione. Il coraggio di voler essere protagonisti con un proprio credo, sapendo che l’unica strada per crescere è quella che si delinea nel solco del lavoro. Un passo dopo l’altro, ogni cosa ha il suo tempo.
Il Mantova non pretende di essere nient’altro che… il Mantova. Just Be.
“Presidente porti un pennello”. È iniziata più o meno così la storia tra il Mantova e Botturi. La richiesta del ds a Piccoli prima dell’incontro per chiudere l’accordo. Il motivo? “Rappresentava la necessità del Mantova di essere ricostruito e dipinto”. Questa la volontà chiara, a prescindere dalla categoria. Perché ciò che contava era rimettere al centro il bene del club e della città. Un percorso che affonda le sue radici nella retrocessione in Serie D. La decisione del presidente Piccoli di acquistare la totalità delle quote del club. Porre alla base del nuovo corso i valori della progettualità e della serietà.
E poi la scelta delle delle persone. Scelte che fanno la differenza. Su tutti quella di affidare la regia della nuova stagione a Christian Botturi. Competenza, visione e tranquillità. Chi lo conosce lo racconta come una figura che che va oltre l’essere un solo direttore sportivo. Un uomo attento a ogni dettaglio, in grado di organizzare ogni aspetto per creare stabilità in una squadra e in un ambiente. Perché parte tutto da lì, dalla capacità di concretizzare un proprio equilibrio. Ed è nei concetti di equilibrio e serenità che si fonda questo nuovo Mantova. Due concetti la cui importanza è dovuta nel loro essere due condizioni proprie di chi le vive. Due condizioni che si raggiungono e maturano nel tempo, libere da condizionamenti esterni. Ed è qui la differenza. Nel fatto che sono conquiste coltivate consapevolmente e che hanno nella loro stessa essenza il presupposto della gradualità. Crearsi il percorso, senza dipendere necessariamente dagli eventi. Viverlo.
Una rivoluzione gentile che ha trovato poi in Possanzini e nei giocatori i suoi protagonisti. Una squadra cambiata con tanti nuovi acquisti. Giocatori di esperienza insieme a giovani di prospettiva. Un mix nato dalla sapiente abilità e dalla conoscenza calcistica di Botturi. Un mix accolto, plasmato e fatto crescere dalle mani di Possanzini. Anzi, dalle sue idee. Idee e coraggio. Il coraggio nel perseguire ciò in cui si crede, anche se costa rischi e fatica. Un binomio da cui nasce il fattore che ora è proprio del Mantova: la consapevolezza. La consapevolezza di chi si è e cosa si vuole. Un gruppo che diverte e si diverte, che ricerca senza paura il gioco, che combina in modo armonico la conoscenza dei tempi e degli spazi. Volere la gestione e il possesso del pallone, imporre le proprie idee, insistere nella propria filosofia. Possanzini ha creato e dato un’identità. Di gioco e di spirito. Spensieratezza, leggerezza e divertimento in campo. Allenamento, sacrificio e umiltà dietro.
Lo 0-5 contro il Padova, che fino a quella partita era imbattuto e aveva la miglior difesa, è stato l’istantanea più bella. L’espressione più fedele della grandezza di questo percorso. Un percorso che dice 50 punti in classifica, miglior attacco e difesa del girone, 17 marcatori diversi. Gruppo.
E parlando di idee, sono due i giocatori che per giocate e visioni sono l’espressione più rappresentativa di questo Mantova. Il numero 8 e il numero 14, Salvatore Burrai e Francesco Galuppini. “Penso quindi gioco”. Da una parte il direttore d’orchestra, regista che detta i tempi di gioco, comprende i momenti della partita e ne decide tempi e modi; dall’altra il fantasista offensivo che vede spazi e crea situazioni. L’ambiente conta, Galuppini lo sa. A Mantova si sente a casa, libero di inventare. La sua fantasia e intelligenza calcistica si incontra e si completa con l’idea di calcio di Possanzini. Sono già 9 i gol. Con un’altra rete andrebbe in doppia cifra per il quinto anno di fila. Ma la sua importanza per l’economia della squadra va ben oltre. Nel suo razionale muoversi per il campo, nella sua visione del gioco diventandone protagonista, nel suo decidere… quando decidere si rivedono la spensierata gioia di questo gruppo per quel pallone. E, intanto, la città “galoppa” con lui a ogni rete, emulandone l’esultanza.
Mantova è questo, è molto altro. Dietro c’è la sofferenza di una piazza, l’instabilità e le incertezze, stagioni negative. C’è il rapporto di fiducia ritrovato con i tifosi, la totale sinergia che lega tutto l’ambiente: proprietà, dirigenza, squadra, città. È un limbo sottile quello che divide il sogno dalla realtà. La strada è ancora lunga. I ragazzi di Possanzini lo sanno e si godono il viaggio. Con spensieratezza, umiltà e coraggio. È la loro storia. Il Mantova e Mantova, una serenità ritrovata. Just be.
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