L’allenatore del momento in Europa è Marco Rossi. Gli straordinari risultati che la sua Ungheria sta inanellando, e non sono certo un exploit solitario, se si pensa agli scorsi Europei, hanno ormai portato alla ribalta internazionale un nuovo protagonista delle panchine. Uno che la gavetta, i campi polverosi delle province e le difficoltà di questo mestiere sa bene cosa siano. Buon calciatore, la sua carriera da allenatore si sviluppa per grandi tratti in C a cavallo degli anni 2010, incontrando, però, diverse difficoltà. Poi la chiamata salvifica dell’Ungheria. Qui Marco Rossi cambia la sua storia, e quella calcistica di un Paese. Una rivincita. Dopo l’Inghilterra, sconfitta anche la Germania. Risultati che valgono il primo posto nel girone di Nations League.
Torinese, classe 1964, inizia proprio con il Torino a calcare i campi di Serie A: Successivamente un lungo peregrinare tra Campania (in C) e Catanzaro. Le sue buone doti da libero attirano l’attenzione prima del Brescia e poi della Samp di Eriksson dove conosce il suo futuro collega ct Mancini. Rossi però è irrequieto e ha già una vena esterofila, motivo per cui nel 1995 lascia l’Italia e, uno dei primi a farlo, va a giocare all’estero, addirittura in Messico. Viene tesserato infatti dall’America, dove viene allenato da Marcelo Bielsa, e trascorre un’altra stagione in Germania, all’Eintracht Francoforte. Dopo essere rientrato in Italia per chiudere la carriera, Rossi inizia quella da allenatore: giovanili del Lumezzane, poi Pro Patria, Spezia, Scafatese e Cavese, in rapida successione. I risultati sono pochi, gli esoneri tanti, le soddisfazioni risicate. Proprio a Scafati vive forse l’anno più entusiasmante con una salvezza raggiunta in un contesto societario difficile, senza neanche percepire gli stipendi.
È il momento chiave della sua vita: resta inattivo a lungo e pensa di mollare, l’ambiente calcio non fa per lui. “Se fossi rimasto in Italia oggi sarei a lavorare nello studio di commercialista di mio fratello“, ha detto più volte. Tante le delusioni, ma Marco Rossi mantiene ferma la sua integrità. Un rapporto difficile con il calcio della sua terra. Rossi quindi prova l’avventura estera, di nuovo, e lo fa nel modo più casuale possibile. Durante un viaggio a Budapest per trovare un amico, in un ristorante conosce l’ex ds dell’Honved. Il resto è storia.
È il 2012, diventa l’allenatore dell’Honved, con cui affronta anche l’Europa League ed ottiene un ottimo terzo posto. Per divergenze con la società però si dimette, ma torna, salva il suo club e lo porta, due anni dopo, al titolo dopo 24 anni. Diventa un eroe in Ungheria e, dopo una breve parentesi in Slovacchia, viene chiamato a fare il ct dell’Ungheria. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: una qualificazione agli Europei insperata e un’ottima figura di fronte a big come Portogallo e Germania. Nella conferenza prima della gara coi tedeschi disse: “Io un palcoscenico così l’ho visto solo in tv, a 56 anni mi pare di essere un bambino al Luna Park. Poi è chiaro, come i bambini vuoi giocare quando sei al Luna Park”. Sul viso le lacrime di chi nei sogni ci aveva sempre creduto. E ora una Nations League vissuta da protagonista, battendo, due volte, l’Inghilterra e ottenendo una vittoria e un pareggio contro la Germania. Primo posto nel girone con 10 punti. E ora la sfida decisiva con l’Italia, seconda a 8 punti. Per la “sua” Ungheria, Marco Rossi è disposto a rinunciare a tutto, anche alle chiamate della Premier che sono fioccate negli ultimi anni, e non chiede altro di essere ricordato, per sempre, anche quando sarà morta. La sua isola felice resterà tale per sempre.
Valori e principi alla base di tutto: “Noi siamo abituati a soffrire e lottare. È la storia del mondo, chi ha talento arriva in vetta con poco sforzo perché Dio lo ha benedetto, chi ne ha meno come me e qualcuno dei miei deve lottare con unghie e denti per un posto al sole”.
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