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Dalla seconda categoria alla Serie C. Montevarchi, che storia: “I giovani al centro di tutto”

Lo scorso 25 settembre a Roma si parlava di Montevarchi, comune toscano in provincia di Arezzo. Il giorno dopo si sarebbe giocato il derby e Sarri, nella conferenza stampa della vigilia, aveva scherzato (ma poi mica tanto) con i giornalisti: “Pressione? Ne sentivo molta di più quando allenavo la Sangiovannese e affrontavo… il Montevarchi!”. Una partita sentitissima da quelle parti, ci ha fatto i conti dal 2003 al 2005. Poi lui è salito sempre più in alto, mentre i suoi avversari hanno toccato il fondo nel 2011: fallimento, radiazione da parte della Figc e ripartenza dalla seconda categoria. Oggi è cambiato tutto, perché il Montevarchi in 10 anni ha scalato 5 serie, risalendo fino alla C. L’ultima vittoria contro il Modena l’ha portato fuori anche dalla zona rossa della classifica.

Da giovane promessa a presidente tifoso

La salvezza sarebbe il nostro scudetto”, spiega Angelo Livi, il presidente. Lui, che è nato proprio a Montevarchi e che da bambino giocava per strada, in Piazza della Repubblica. Attaccante, a 16 anni si ritrovò nel Torino di Rabitti. Da calciatore non ha sfondato: “Ma essere presidente del Montevarchi è molto più bello”. Ne è sempre stato grandissimo tifoso, continua ad esserlo anche in pensione dopo una vita a lavorare per Casprini, azienda di rilievo nel settore dell’arredamento: “Nel tempo libero non vado al pallaio, ma mi siedo accanto al segretario del club e lavoriamo insieme”. Umiltà e tenacia ciò che non deve mai mancare al Montevarchi: “Passare dai dilettanti al professionismo è una montagna da scalare. Bisogna fare di tutto per starne al passo”.

Malotti, l’allenatore salvato dal calcio

E con Roberto Malotti la voglia di lottare non mancherà mai. Oggi fa l’allenatore e il calcio gli ha salvato la vita: “Da ragazzo giocavo dalla mattina alla sera, il pallone mi ha tenuto lontano dalla droga e dalla delinquenza”, racconta. E’ nato a Firenze, nelle case popolari del Ponte di Mezzo: “Situazione difficile in famiglia, ho conosciuto la miseria, quella vera”. Il classico tipo che non crede alla fortuna: “Nella vita raccogli quello che meriti”. Ha assaggiato l’America, nove mesi a Los Angeles dove stava per aprire una pizzeria di lusso al The Venetian, albergo a 5 stelle. Ora ha 59 anni ma fa l’allenatore a tempo pieno solo dall’anno scorso: “Gestivo dei ristoranti, otto società che mi portavano via 15-16 ore al giorno. Andavo a letto alle 4 del mattino, poi la mattina subito in piedi per spese e fornitori”. La sua stagione in panchina cominciava solo a gennaio: “Quando c’era il grosso del lavoro”.

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Roberto Malotti, allenatore del Montevarchi

Così è diventato esperto di imprese, salvando squadre che avevano cambiato 5 allenatori o che avevano vinto una sola partita nel girone d’andata: “Qui a Montevarchi mi sento il sindaco, mi hanno adottato. Il calcio per me deve restare una passione, quando diventerà un lavoro smetterò”. E che gli permettano di portare al campo Taro, un rottweiler di 6 anni da cui non si separa mai: “Non si perde un allenamento – sorride – farlo entrare al centro sportivo è sempre stata la prima richiesta che ho fatto ai club nei quali sono stato”. Malotti è finito anche su Striscia la Notizia per uno sfogo dalla tribuna. Il Montevarchi al 45’ è sotto contro la Sinalunghese. Lui, squalificato, all’intervallo raduna la squadra sotto la tribuna e con parole piuttosto forti li invita a reagire. Detto, fatto. Rimonta e vittoria finale: “Quando saluterò i ragazzi, spero che a loro rimanga qualcosa di me. E che a me rimanga qualcosa di loro. Solo così avrà avuto senso fare l’allenatore”.

Il direttore che affascinò Sarri

L’ultimo allenatore di Malotti è stato Giorgio Rosadini, la persona che – a suo dire – gli ha insegnato di più nel calcio: “Aveva 30 anni e giocava praticamente senza un crociato – racconta quest’ultimo, che oggi è il direttore di tutta l’area tecnica del Montevarchi – ma che carattere… un leader vero. Ci siamo sempre stimati, ci dicevamo che un giorno saremmo tornati a lavorare insieme. Due anni fa eravamo in difficoltà e dovevo trovare una soluzione. Scelsi lui, vediamo il calcio allo stesso modo”. I giovani al centro di tutto, non è un caso che il Montevarchi sia la squadra più green del campionato: “Hanno forze non ancora scoperte. L’entusiasmo, la passione e la fisicità di un ventenne sono uniche”. Il calcio tedesco come modello. La gabbia di Orrico, poi Sacchi e Zeman fra gli ispiratori: “Abbiamo approfittato della pausa forzata dal Covid per tenere lezioni a tutti gli istruttori del settore giovanile. La filosofia della prima squadra deve essere presa come esempio”. Rosadini ha allenato per 40 anni, dai bambini dell’oratorio alla Serie D: “Venivo considerato un innovatore, Un giorno mi dissero: ‘C’è un ragazzo che vorrebbe conoscerti’. Era Maurizio Sarri, affascinato dalle mie metodologie”.

Capitano a 20 anni? Sì, si può

Francesco Amatucci, capitano del Montevarchi

Nel 2000 Sarri viene scelto dalla Sansovino, che in tre anni porta dall’Eccellenza alla C2. Nel 2000 nasce ad Arezzo Francesco Amatucci, che ha solo 20 anni appunto ma che già da due è il capitano del Montevarchi: “Un grande onore. E che bello avere compagni che remano tutti dalla stessa parte”. Preferisce fare il mediano in un centrocampo a due, ma gioca pure da interno. Tanta grinta, bravo anche con la palla: “Prima uomini e poi calciatori, questo il primo consiglio del nostro allenatore. Il martedì e il mercoledì sono i giorni più duri della settimana. Parte atletica e forza nelle gambe per due ore e mezzo di allenamento”. Una certa simpatia per la Juve, Del Piero l’idolo. Diplomato allo scientifico, per il momento ha sospeso l’università in Scienze Motorie: “Quando non sono in campo, amo pescare“. Riflessivo, in attesa dell’Ancona, prossimo avversario. Dopo Entella e Modena serve un’altra impresa.

A cura di Simone Golia