Immaginate di vivere una carriera in discesa e di aver appena ricevuto la fascia da capitano della Nazionale Under 21 da Cesare Maldini in persona, dopo aver esordito a San Siro contro il Milan indossando la maglia della tua città: quella granata, che portano i giocatori del Torino. Le premesse sono ottime, il mondo del calcio vi aspetta a braccia aperte. Invece no. Tutto crolla. Un virus raccolto in sala operatoria durante un’operazione ai legamenti del ginocchio comincia a spazzare via la cartilagine e così anche tutte le prospettive della carriera. Come si reagisce ad un evento del genere? In molti probabilmente rimarrebbero senza parole, allontanandosi definitivamente dal campo. La risposta però si può trovare nella voce di Moreno Longo. Il tono rispecchia la sua personalità. Duro quando serve, generalmente pacato ma pronto a reagire nei momenti in cui è necessario. Ecco, reagire.
Della reazione al crollo di una carriera e di come trovare una soluzione Moreno Longo ne ha parlato direttamente ai microfoni de LaCasadiC. La sua storia tra campo, panchina e capacità di disegnare nuovi percorsi. Senza mai fermarsi.
Facciamo un passo alla volta. Esordire in Serie A, a San Siro, davanti a Maldini e Baresi non ha prezzo. Moreno Longo tutto questo lo ha fatto indossando il colore che ha sempre tifato con la sua famiglia: quello granata, del Toro. “Nella mia famiglia vivevamo il Torino quotidianamente. Era una chiamata unica. Esordio? Avevo appena compiuto 18 anni. Sonetti, allora allenatore, non mi disse niente fino a quando non entrammo negli spogliatoi. Mi trattò come un giocatore adulto e non volle farmi sentire il peso dell’esordio. Era il coronamento di un sogno. Avevo fatto tutte le categorie nel settore giovanile. Mi ero guadagnato l’opportunità di esordire con la mia squadra del cuore. Perdemmo la partita contro un Milan stellare. Tuttavia, riuscì a fare l’assist per il gol di Rizzitelli. Ho ancora oggi la maglietta del mio esordio e quella di Maldini. Sono sacre per me”.
Dalla gioia dell’esordio nella massima serie alla retrocessione in Serie B, Longo ha vissuto emozioni di numerose sfumature con il Torino. “Quell’anno eravamo giovani. Nella seconda parte di stagione, quando il Torino non era messo bene in classifica, fecero giocare diversi giovani. L’anno della Serie B c’era una rosa in ricostruzione. Mi ritagliai lo spazio in un Toro che doveva rinascere sotto tutti gli aspetti”.
Poi, la prima vera esperienza tra i grandi per Moreno Longo. La chiamata arriva dalla Lucchese. Lui è giovane, ma il suo sguardo sembra tradurre a pieno il ritmo dei suoi pensieri. L’obiettivo è chiaro: diventare un pilastro della squadra. E a Lucca Longo ci riuscirà. “Quel campionato fu molto importante. Sfiorammo i playoff con Gigi De Canio in una Serie B di alto livello. Fascia da capitano? La ereditai con grande rispetto. Fare il capitano comporta sempre grandi responsabilità. Arrivavo però da un periodo in cui avevo fatto qualche presenza con l’Italia Under 21 con Cesare Maldini, ero un giovane con buone prospettive. Vestire la maglia della Nazionale è sempre un grande risultato. È una maglia pesante da portare. Io ricevetti la fascia da Cesare Maldini. È stato un’icona per il nostro calcio. Un gesto di tale importanza fatto da una figura come lui mi rese davvero molto orgoglioso”.
Poi, Moreno Longo arriva a giocare sotto l’ombra dell’Arena di Verona. E con il Chievo ci sono tutti presupposti per lasciare il segno. “Il Chievo era una società che puntava su ragazzi con un trascorso problematico ed in cerca di rivincite personali. In quello secondo me uno dei veri artefici fu Giovanni Sartori. In quelle squadre arrivavano giocatori quasi sconosciuti ma veramente molto bravi. Successivamente, Del Neri portò nello spogliatoio delle idee molto innovative per quello che era il periodo. Nacque qualcosa di pazzesco. Quel Chievo arrivò addirittura in Europa, un obiettivo di grande importanza considerando la piazza. Chievo Verona è un rione della città di Verona. “
Da questo momento, il buio. La squadra raggiunge la Serie A guidata da Gigi Del Neri. Longo però di partite ne giocherà soltanto 12. Sampdoria-Chievo, inizia l’incubo. “Rottura dei legamenti del ginocchio. Tuttavia, è un infortunio che nel calcio può capitare. La sfortuna arrivò quando in sala operatoria un virus mi colpì rovinandomi la cartilagine. Da quel momento è cominciato un vero calvario. Avevo soltanto 24 anni ma non sono più stato come prima. Non potevo più allenarmi con continuità, dovevo sempre recuperare due giorni e prendere antidolorifici. Fa parte di una casistica che capita una volta su un milione, per dire. Magari la sala operatoria non era completamente asettica e quindi quest’infezione mi ha precluso il fatto di recuperare normalmente. Se dovessi fare una partita tra amici il giorno dopo farei fatica a muovermi. Provai a prendere dei provvedimenti con l’ospedale, ma non si ha mai l’esperienza giusta nel momento giusto. Andò così”.
Tutto crolla. Le ambizioni cominciano a svanire. L’unico sentimento è quello di un ginocchio dolorante e bendato. Sul letto dell’ospedale passano davanti agli occhi tutte le immagini di una carriera che sarebbe potuta diventare qualcosa di importante. Rimpianti, per non avere colpe ed essere costretto alla lontananza da un campo che era diventato una vera casa. “Il mio rammarico più grande è non aver potuto continuare a giocarmi le mie carte con quel Chievo che secondo me aveva lanciato calciatori ad ottimi livelli. Quando non hai l’opportunità per demeriti lo accetti, però se non puoi giocare le tue carte per una vicissitudine del genere rimane l’amaro in bocca. Avrei preferito non esserci arrivato solo per demeriti. Sono ripartito dal carattere. Ciò che mi aveva sempre contraddistinto da quando giocavo. Ero un calciatore che difficilmente mollava in termini di dedizione e sacrificio. Sono ripartito e mi sono ricostruito un altro percorso”.
Due anni dopo Moreno Longo provò a rimettersi le scarpette. Il contatto con il campo era una sensazione che mai voleva abbandonare. Ma ormai niente era più come è prima. “Ritornai in campo perché non volevo accettare il fatto di non poter più giocare. Era la mia testardaggine a guidarmi. Fui felice ma allo stesso tempo mi resi davvero conto che non ero più quello di una volta. Ti passano mille cose per la testa. Praticamente ho smesso a 24 anni. Avevo fatto affidamento su una carriera che stava andando molto bene. Fa parte della vita e di un percorso che ha alti e bassi, ma decisi di rimboccarmi le maniche. Si passa un momento di rifiuto verso il campo dopo un dolore così, poi iniziai un percorso extra calcio in un’attività di famiglia. Fu soltanto quando mi chiamò un amico per aiutarlo che sentii davvero la mancanza del calcio.”
E quella chiamata per Moreno Longo arrivò direttamente dal Filadelfia Paradiso. Un suo amico, Vincenzo Manzo, allenava i giovanissimi regionali. Lui, che del calcio non si era mai scordato, nei minuti liberi si affacciava timidamente alla rete del centro sportivo per respirare la sua normalità. “Vincenzo Manzo allenava in un campetto di periferia il Filadelfia Paradiso. Era vicino casa mia e quando avevo qualche ora libera ne approfittavo per vedere gli allenamenti. Lui mi disse di mettere la tuta. Allora iniziai ad allenare. L’anno dopo decisero di darmi quel gruppo e quando i ragazzi scoprirono che non era più Manzo ad allenarli decisero di lasciare la squadra. Il direttore mi chiamò e io ero anche disposto a fare un passo indietro. Alla fine fecero credere che Longo non sarebbe stato l’allenatore ma un collaboratore, con Manzo in panchina. Così, i ragazzi firmarono e alla fine dell’anno vincemmo il campionato regionale“.
Poi, un anno con i giovanissimi nazionali, prima di abbracciare di nuovo il colore granata. “L’anno dopo allenai nel Canavese, giovanissimi nazionali. Ottenemmo grandi risultati e incrociammo anche per due volte il Torino. A fine stagione i granata mi chiesero di tornare per allenare. Per me il Toro era una famiglia. Mi sentivo nuovamente a casa“.
Casa dolce casa. Moreno Longo tornò dove era cresciuto dentro il campo. Un po’ come se il destino gli avesse voluto concedere una seconda opportunità. Davanti ai suoi concittadini. I soliti che lo videro esordire a San Siro. “Fu un percorso bellissimo. Vincemmo lo Scudetto dopo 23 anni e arrivammo anche nella Youth League portando 10mila persone allo stadio. Ci fu una possibilità di andare in prima squadra, ma il Torino in campionato si riprese ed andai alla Pro Vercelli. Anno dopo anno mi ero costruito un’altra opportunità. A Vercelli riuscimmo a guadagnarci una salvezza non scontata, lavorando con giovani di ottima prospettiva, avevamo Luperto, Bani, Provedel. Alla fine di quella stagione il Frosinone perse 9 contro 11 contro il Carpi ai playoff con Marino, che usava il 3-5-2. Io a Vercelli usai lo stesso modulo ed il ds del Frosinone, dopo le dimissioni di Marino, mi chiamò“.
Ripartire dopo una delusione. Parola di Moreno Longo. “Quell’anno arrivammo a pari punti con il Parma che andò in A per gli scontri diretti. C’era il rischio di un calo mentale dato che nell’ultima partita contro il Foggia eravamo già pronti per festeggiare la promozione e subimmo gol al 93esimo minuto. Andammo ai playoff e perdemmo 1-0 a Palermo la finale di andata, poi nello spogliatoio dissi ai ragazzi di ricordarsi del dolore provato contro il Foggia. Così, il Frosinone tornò in Serie A. Tornare dove un infortunio andato male mi aveva allontanato mi rese orgoglioso. In Serie A non vennero i risultati ed è stato giusto che la società abbia fatto una scelta per salvare la categoria. Rammarico? No. Ringrazierò sempre il Frosinone e sostengo tutt’oggi che è un modello da seguire. Il Presidente Stirpe ha avuto la forza di creare qualcosa di grande in una città di 40mila abitanti. Dallo stadio alla struttura societaria”.
Immaginate adesso di essere sul divano dopo aver visto una partita in tv tra Torino e Lecce. Mezz’ora dopo il triplice fischio arriva una chiamata. I dirigenti granata vogliono parlare con Longo. “La chiamata del Torino? Mi ricordo che ero sul divano con mia moglie e stavamo guardando Torino–Lecce. Avevamo appena finito di vederla e dopo mezz’ora mi squillò il telefono. Mi sarei dovuto incontrare con i direttori. Avevo l’opportunità di chiudere un cerchio che ho aperto da bambino. L’esordio in Serie A, la panchina nelle giovanili. Questa chiamata rispecchia quello che è stato il mio percorso, fatto di fatica, dedizione, situazioni difficili. Il Toro aveva parecchi problemi in quel periodo, ci siamo subito resi conto che c’era da lavorare concretamente, la salvezza non era scontata. Poi arrivò il Covid, che creò una situazione surreale. Stadi chiusi e giocatori preoccupati. I ragazzi mi diedero subito grande disponibilità. Belotti fu fondamentale in questo. Ricordo che riuscì anche a fare il record di reti consecutive. Ci furono anche delle scelte necessarie, per esempio il ballottaggio tra Bremer e Lyanco dove puntai sul brasiliano, facemmo esordire Singo e fece gol contro la Roma. Insomma, ci togliemmo delle belle soddisfazioni“.
Belotti, l’obiettivo salvezza ed una responsabilità che cresceva giorno dopo giorno. All’ombra della Mole Antonelliana, Moreno Longo, cresciuto a Torino, non era un allenatore come gli altri. Era un figlio del Filadelfia. “Di quei mesi ricordo la vittoria contro il Genoa in casa. Quella partita era uno spartiacque fondamentale, anche il Genoa stava lottando per lo stesso obiettivo nostro. Se avessimo perso quello scontro diretto sarebbe stato pericoloso. A fine stagione ci lasciammo in ottimi rapporti per visioni differenti, con grande rispetto e serenità. Nella mia testa non c’era altro epilogo, volevo salvare la squadra. Torino mi ha sempre visto come un figlio del Filadelfia, dovevo farlo anche per i tifosi”.
Dopo Torino, il capitolo ad Alessandria. Un doppio salto dalla Serie A alla Serie C. “Ad Alessandria è stata una soluzione atipica. Ho deciso di scendere dalla Serie A alla Serie C, ma fondamentalmente è sempre il progetto insieme all’ambizione a guidarmi. Nonostante tutti mi scoraggiassero, io decisi di accettare. Siamo stati bravi a riportare la squadra in Serie B dopo 46 anni. Partimmo da -12 dal Como, poi li recuperammo e perdemmo la promozione diretta nello scontro proprio contro il Como. Ci siamo rifatti nei playoff contro un Padova di grandissimo valore che avrebbe meritato quanto noi la vittoria. Nella stagione in Serie B si è pagato il prezzo di essere una neopromossa, ma quello che mi porto dietro è la reazione dei tifosi a fine anno. Hanno riconosciuto l’impegno e la dedizione della squadra, cosa che accade poche volte in Italia”.
E intanto, Moreno Longo è in attesa dei una nuova chiamata. “Prossima avventura? Dopo la rescissione con l’Alessandria, aspetto una chiamata con i giusti presupposti per lavorare con entusiasmo ed avere una società che abbia il fuoco che ho io dentro per raggiungere i propri obiettivi“. Duro quando serve, generalmente pacato ma pronto a reagire nei momenti in cui è necessario. Ecco, reagire, per disegnare sempre nuove opportunità, anche quando tutto sembra crollare. Proprio come ha fatto il figlio del Filadelfia.
A cura di Jacopo Morelli
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