La Champions e quella notte a San Siro con il Pordenone, Berrettoni racconta: “Contro l’Inter raggiunto l’apice”
Immaginate di giocare in Serie C per la squadra di una città che ha poco più di 50mila abitanti. Ecco, adesso immaginate di giocare proprio con quella squadra alla Scala del Calcio, sul prato di San Siro, in una città che di abitanti ne conta 1 milione. In realtà, non c’è bisogno della fantasia né dell’immaginazione. Emanuele Berrettoni questo sogno lo ha vissuto davvero vestendo la maglia del Pordenone. Neanche il tempo di riprendersi dalla terza operazione al ginocchio che il numero dieci neroverde si è ritrovato a giocare gli ottavi di finale di Coppa Italia contro l’Inter. Vi ricordate quella sera? Sono passati esattamente cinque anni.
“Già cinque anni, purtroppo. Adesso sto bene, mi sto aggiornando e vedo se riesco a rientrare nel mondo del calcio“. Quattro parole, le prime di Berrettoni qualche istante dopo aver risposto al telefono. Sorriso, serenità e passione. Sono questi gli ingredienti messi in tavola dall’ex giocatore nell’intervista esclusiva a LaCasadiC. Un viaggio nel tempo tra mille ricordi. La destinazione? Milano, stadio San Siro. Ma partiamo con ordine.
La Champions con la Lazio, Perugia e la C a Napoli
7 novembre 2000. Emanuele Berrettoni aveva soltanto 19 anni quando esordì in Champions League con la Lazio. Eriksson, allora alla guida della squadra, lo scelse. L’avversario era lo Sparta Praga. La prima tappa tra le stelle della sua carriera era arrivata. “Non sapevo di entrare. Era nell’aria che un ragazzo potesse esordire, la Lazio aveva già passato i gironi di Champions e in panchina c’erano molti ragazzi della Primavera. In quel periodo era una Lazio molto forte, forse una delle più forti della storia. Ho imparato più quell’anno e mezzo in prima squadra che nel resto della mia carriera. Atteggiamenti, consigli, gente che arriva due ore prima al campo o che si allena nel giorno libero, vivi una Serie A che è un mondo isolato. Andavo molto d’accordo con Nesta e Favalli, ma anche con gli altri giocatori di nazionalità differenti. Eravamo un gruppo molto unito“.
Una carriera a cento all’ora. Dopo il capitolo biancoceleste l’attaccante arrivò a Perugia, poi a Napoli. Le strade, la Serie C e l’amore dei tifosi. Amare il calcio ed essere amati. Altro giro, altro segno nella storia: “A Perugia abbiamo vinto la Coppa Intertoto ed ho fatto gol in finale. Si trattava di un traguardo storico. Mi ricordo che facemmo il record dei punti in Serie A. Riuscimmo a battere squadre come il Milan e lo stadio era sempre pieno. Napoli? Eravamo in Serie C e allo stadio c’erano 55mila persone contro il Cittadella. Parliamo di una piazza che vive per il calcio. Io arrivai quando De Laurentis aveva appena prelevato il club, facemmo il ritiro a Paestum ma sembrava di essere in centro a Napoli. Lì ho capito che forse i giocatori non possono fare una passeggiata a Napoli. Vedere la squadra prima adesso è bello, se lo meritano“.
Luci a San Siro
Probabilmente Emanuele Berrettoni ha fatto un patto con il destino. Vivere sul campo momenti iconici, per una città e per un popolo è nel suo Dna. La stella polare è sempre stata l’ambizione, con la capacità di essere al momento giusto nel posto giusto. Così, arrivò a giocare contro l’Inter con il Pordenone. Luci a San Siro: “Per una squadra come il Pordenone giocare a San Siro contro l’Inter è l’apice della sua storia. Ma quella esperienza fu bellissima perché avevamo costruito un percorso. L’anno prima il Pordenone era retrocesso, poi era stato ripescato. Io arrivai a gennaio, la squadra inizialmente doveva salvarsi ma sfiorammo la promozione. Il Presidente Lovisa ci aveva sempre creduto, il “folle” è sempre stato lui, diceva sempre che il Pordenone sarebbe arrivato a certi livelli. La sera di San Siro non avevamo ansia, ce la siamo goduta perché era l’apice di una cavalcata“.
Inizia la partita. La squadra prova a non affondare. Tuttavia, i minuti passano ed il risultato non si sblocca. Al triplice fischio si apre la porta dei supplementari. Come non crederci? “Una volta arrivati ai supplementari volevamo tenere botta, ai rigori poteva succedere di tutto. Io tornavo da tanti mesi di inattività, mi ero operato al ginocchio per la terza volta e giocare prima a Cagliari poi a San Siro fu come un premio. Quando sei lì balli. Loro sbagliarono qualche occasione, noi prendemmo un palo, magari giocavano con il freno visto che affrontavano una squadra di Serie C. Però poi batter un rigore a San Siro ha avuto il suo peso. Chi si è presentato sul dischetto è stato sanamente incosciente, non si sa mai quando ricapita“.
Il sogno Pordenone su Instagram
Per comprendere la definizione di aumentare l’adrenalina in vista di un evento basta soffermarsi qualche minuti sui social del Pordenone prima di quella partita. Un vero e proprio calendario dell’avvento, soltanto che la destinazione non era il Natale, ma San Siro. Icardi contro Berrettoni. In quel momento il dieci neroverde aveva più presenze in Champions. “I social? Incredibile. Il vero movimento Pordenone, il sogno, è nato lì, cresciuto con quella campagna elettorale (scherza, ndr). Il Pordenone naturalmente è stato conosciuto per i risultati sul campo, ma i ragazzi fuori hanno fatto un grande lavoro, riflettendo lo sviluppo della società in quel periodo. In quel momento mi fecero arrivare più preparato di Icardi, diciamo che sono riusciti a venderla bene. Avevamo mosso 4mila tifosi da Pordenone a Milano, anche per loro fu un evento storico. Mi ricordo che mi scrivevano tifosi anche di altre squadre o amici che mi avevano visto finire sulla Rai“.
Ranocchia, Spalletti e quella maglia di Borja Valero
Al triplice fischio di solito festeggia soltanto la squadra che ha vinto. Quella sera di cinque anni fa però i giocatori del Pordenone rientrarono nel tunnel di San Siro con il cuore pieno di emozioni, consapevoli di aver vissuto un’esperienza unica, che soltanto i sogni possono imitare. “Negli spogliatoi alla fine fu una festa. Soltanto all’1% eravamo amareggiati, dopo avremmo dovuto affrontare il Milan tornando a San Siro, sarebbe diventata un’abitudine sennò. Mi ricordo che Ranocchia e Spalletti vennero negli spogliatoi a farci i complimenti. Ranocchia ci portò una scatola con una quantità enorme di magliette. Comunque avevamo tenuto testa all’Inter. Io presi due maglie: una di Borja Valero, l’altra di Skriniar, che l’ho regalata. I giocatori dell’Inter furono gentili e umili, dei grandi. Tutti avevamo vissuto un sogno, quell’Inter aveva Icardi, Cancelo, Perisic, era forte. Lo ritengo un privilegio aver giocato contro di loro“.
Da quella sera sono passati cinque anni. Passano i giorni, le cose cambiano, ma ripensandoci l’emozione resta sempre la stessa. Vivere un sogno non capita tutti i giorni. E quello di San Siro è stata l’ennesima favola capitata sul percorso di Emanuele Berrettoni. “Cinque anni dopo Berrettoni è un uomo ancora innamorato del calcio. Dopo aver smesso ho avuto la fortuna di intraprendere la carriera di direttore sportivo. Ho voglia di rimanere in questo mondo che ha fatto parte della mia vita, della mia famiglia. Sono fiducioso per quello che verrà nel futuro“. Dalla Champions League alla Scala del Calcio. Esseri liberi di sognare. Se fosse il titolo di un libro l’autore sarebbe senz’altro Emanuele Berrettoni.
A cura di Jacopo Morelli