Casa è dove amiamo, dove i nostri piedi possono lasciare. Ma non i nostri cuori. Cuori grandi, come quello di Daniele Ragatzu, che casa l’ha lasciata quando era solo un ragazzino. Nato a Cagliari, dove ha mosso i primi passi. E dove ha tirato i primi calci a un pallone. Daniele aveva le movenze del predestinato. Poi gli infortuni e la sfortuna. Tanta, sfortuna. Fino alla nuova dimensione trovata ad Olbia. Il richiamo della Sardegna, dell’isola. L’attaccante è rinato nel club e quest’anno è stato l’uomo copertina con 19 gol. Diciannove reti che sono valse la salvezza della sua squadra nel Girone B di Lega Pro. La famiglia, i parenti stretti e gli amici. Con gli affetti il 31enne è diventato (di nuovo) grande.
Una montagna russa di emozioni. Così si può riassumere la carriera di Daniele Ragatzu. I numeri del predestinato, prima che la sfortuna si accanisse contro di lui. Tanti problemi fisici lo hanno limitato, ma i sardi non mollano mai. E nemmeno lui, un 31enne che alla sua età ha ancora voglia di sognare. Sogni, esattamente come a 16 anni, quando giocava nella Primavera del Cagliari. Un punto di partenza, ovvio. Ma già una tachicardia comprensibile di amore. Amore verso la sua terra. Quella che lo ha dato al mondo e fatto diventare grande. Grande come in quella notte del 6 marzo 2011, quando a soli 17 anni siglava il suo primo gol in Serie A. Terminò 2-2 al Sant’Elia. “What a night“, direbbero gli americani doc.
La notte dell’inizio e della fine allo stesso tempo. Da lì cominciò il lungo giro di prestiti in giro per l’Italia. Prima il Gubbio in Serie B, poi la Primavera del Verona, quindi la Pro Vercelli sempre in serie cadetta. E sempre nel segno della discontinuità. Poche presenze, pochi gol. Appena 4 in due anni. Le cose non andranno meglio dal 2013 al 2016 quando siglerà solo 4 reti con la maglia del Rimini in Lega Pro. Dall’estate del 2016, inizia però un altro capitolo della sua vita: quello migliore. Destinazione Olbia, profumo della Sardegna. La terra che lo aveva accolto anche se 285 chilometri più a Sud dell’isola. Il resto è storia con 35 gol in 3 anni e ben 33 assist. Uno dei migliori della categoria nel suo ruolo. Il 10 sulla schiena simbolo di invenzione e fantasia. L’era del riscatto, di un ragazzo d’oro.
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via e di ritornarvi”. Lo scrisse Cesare Pavese nel suo romanzo “La Luna e i Falò”. “Un Paese vuol dire non essere soli”. Per Ragatzu il Paese è Cagliari. Lo è sempre stato. Casa, più di ogni altra. E così, “non fosse per il puro piacere di ritornare”, eccolo di nuovo circondato dalla sua gente. Stagione 2019-2020, in Serie A. Solo 13 presenze e 1 gol. Eppure, tante emozioni. Una in particolare. Quella che gli provocò la rete segnata al Milan 8 anni e mezzo dopo l’ultima volta. Ai rossoneri di Ibrahimovic e Allegri, ai futuri campioni d’Italia.
“Ci ho messo cuore e testa: ci siamo riscattati e il punto portato a casa è fondamentale. Spero di sfruttare al meglio l’opportunità di giocare di nuovo a casa mia“, disse dopo la partita. La voglia di uscire dall’imbuto della negatività e riprendersi la sua carriera in mano. Una carriera da predestinato finita poi troppo presto nell’oblio. “Ma non dò la colpa a nessuno – rivelò ai microfoni di Sky Sport dopo quella partita – solo a me stesso: in certi frangenti forse avrei potuto dare di più”.
Una carriera di alti e bassi, ma tante emozioni nella valigia dei ricordi. C’è un segreto dietro a tutto questo: il padre “Lello” e la sua famiglia, con cui Ragatzu ha un magnifico rapporto: “Nel braccio destro ho tatuate le iniziali di tutti i membri della mia famiglia. Nel collo c’è spazio solo per papà, la mia vita: se non fosse per lui non avrei mai realizzato il mio sogno. E nel braccio sinistro ho un rosario, l’ho fatto per mia sorella. Tre tatuaggi che hanno un significato forte per me”. I valori prima di tutto. Il segreto del successo. A 31 anni ha salvato l’Olbia e fissato il suo record personale di marcature in una singola stagione. Nessuna voglia di fermarsi. Non adesso.
A cura di Manuele Nasca
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