“Ho sempre inseguito sogni e ambizioni di alto profilo. Dopo questa esperienza sono ancora più determinato”. Concepire la fine come un nuovo inizio. Ripercorre con lucidità e orgoglio un’avventura di cui la durata è solo un dettaglio. Riconoscere di aver dato tutto sé stesso per costruire non per riparare. Emanuele Troise racconta così il suo congedo dalla panchina del Rimini (LEGGI QUI). Inaspettata, istintiva o ponderata, la scelta delle parti di non continuare quella che per Troise è stata “Un’esperienza coinvolgente, di crescita professionale e umana” fa parte del mestiere.
Gli anni di formazione, porte chiuse, e attesa sono lo scudo per difendersi dalle rinunce imposte da una carriera. “Continuare in quella società, con quei giocatori fantastici e in una piazza così avvolgente mi sarebbe piaciuto. Speravo di poter ripartire da quello che è mancato: la preparazione estiva. Quando capisci dove sei, cosa puoi dare e cosa puoi costruire perché rimani a stretto contatto con tutto il gruppo squadra”. Poi ci sono i contratti, le dinamiche societarie e tutto quello che ne consegue, ma per chi vive il calcio come una passione prima che un lavoro l’essenziale risiede e lo custodisce altrove.
“In città, nello spogliatoio, sugli spalti del Neri si erano creati un entusiasmo, una vicinanza e una coesione pazzesche”. Numeri e risultati gli aspetti visibili, il Rimini FC nel suo complesso l’unico vero artefice: “Tutto questo grazie a un collettivo fantastico: dai giocatori all’intero staff tecnico. Devo ringraziare tutti: magazzinieri, fisioterapisti, medici, manager; nessuno escluso”. Riconoscenza. Nessun risentimento o malumore. Emanuele Troise vive il suo mestiere come un viaggio. Fatto di tappe; da ognuna delle quali ricavare il meglio. “Ringrazierò sempre il club per il privilegio che mi ha dato. Rimini è una piazza con una lunga tradizione calcistica, esigente e che merita le dovute attenzioni. La saluto con la fierezza di aver dato il massimo, di aver dedicato ogni singolo minuto di questi otto mesi. È un’altra parentesi di un viaggio partito da Mantova, continuato per due anni a Cava de’ Tirreni e che riparte da domani. Riparte orgoglioso e ricco di valori”.
Un regalo, un ricordo che troverà collocazione nel “libro” di Troise, al quale, forse, saranno apportate le dovute note a piè di pagina. “Vedi, un po’ di sensibilità nel mio, ancora breve, percorso di allenatore l’ho accumulata”. Diretto, ma sempre rispettoso: cardine del suo essere professionista. “Iniziavo a immaginare potesse finire così – rivela. Mi dispiace solo sia terminato tutto in fretta”. La legge è chiara: un contratto si fa in due. “Quando ho scelto di subentrare a Rimini ho firmato una sorta di ‘contratto in bianco’. L’unico vincolo era la data di fine rapporto stabilita al 30 giugno 2024”. Sì, ma l’accordo parlava chiaro: “Certo, ma ho fatto tutte le analisi del caso: squadra, ambiente, persone che mi stavano dando l’incarico e tutto faceva presagire ci fossero i presupposti per pianificare qualcosa di duraturo e futuribile”. Puntualizza: “Ma ribadisco: abbiamo sempre avuto un reciproco rapporto diretto e sincero”. Non c’è mai il desiderio di polemizzare o criticare; traspare dalle sue parole, dal tono di voce acceso, ma mai eccessivo o recriminante. “Ragionavo su quello che siamo stati in grado di realizzare: dalla salvezza raggiunta con molto anticipo passando per la qualificazione ai playoff e poi…”. Silenzio. Forse si percepisce uno scampolo di rammarico. Sportivo, nient’altro: “La finale di Coppa Italia scivolata via così…un traguardo storico per il Rimini. Sono elementi che avrebbero potuto aprire a più momenti di confronto”.
Attesa; cullando sogni di crescita e consolidazione di legami. Le giornate di Troise lungo l’Adriatico scorrono. “Ho pensato che la società volesse aspettare il termine della stagione; stavamo giocando i playoff. Stavo iniziando a capire la direzione della corrente”. Col Perugia finisce una parentesi inaspettata. Mai richiesta o programmata. “Dopo quella partita ci siamo incontrati a Rimini per capire quale futuro ci attendesse”. Sorriso sincero, occhi verso l’alto e gesto emblematico accennato con le spalle: “Lì ho capito che non avremmo continuato assieme. La conferma è arrivata qualche giorno più tardi per telefono dopo una riunione tenutasi a Campobasso, sede della proprietà, alla quale – precisa con tono deciso – ero stato invitato a partecipare”. Devozione alla causa: “Ci tenevo a conoscere le volontà della società per rispetto nei suoi confronti come per il bene della squadra perché – chiarisco – non c’è mai stato nient’altro che il Rimini”. L’importanza della “parola data”. Immedesimazione totale: “Vedi, io quando lavoro in un posto lo faccio come se dovessi rimanerci per dieci anni”. Ma intanto il tempo scorre: “Il problema è che il mercato degli allenatori è tanto intenso quanto breve…”.
L’importanza del passato risiede nel coglierne gli aspetti forgianti dalla sua lettura. “Vado via felice perché ho dato tutto me stesso a questa splendida realtà. Esco da questa annata più forte, più strutturato e fiero di aver affrontato insidie alle quali abbiamo trovato sempre le dovute soluzioni. Con l’obiettivo di rimanere competitivi, di crescere nelle performance e prestando sempre attenzione a chi ci stava attorno. Il Rimini dei playoff ne è dimostrazione”. La legge, un contratto e due firme sanciscono la fine, ma un pezzo di carta non potrà mai vincere la forza dell’esperienza. “Sento il bisogno di tornare a Rimini. Devo e voglio salutare tutti. Fremo per poter esternare il mio più sentito “grazie” alla squadra. Uomini che mi hanno regalato emozioni”. Una guida non smette mai di imparare: “Da oggi in poi quei ragazzi saranno il mio motore per continuare. Il loro atteggiamento, i confronti avuti, le discussioni, gli errori; miei e loro. Tutto questo mi ha regalato grande ottimismo”. Consapevolezza: “Se tocchi i tasti giusti tutte le squadre sfoderano il loro potenziale umano (PER APPROFONDIRE)”. “Sono esigente – dice l’ex allenatore del Mantova – ma loro, come tutto lo staff, mi hanno sempre seguito, mi hanno supportato e sopportato. Rimini mi ha insegnato tantissimo”. Perché in fondo, “Non c’è fine. Non c’è inizio. C’è solo l’infinita passione per la vita” recitano strade e muri della città romagnola attraverso la voce di Fellini. Ma questa volta nessuna finzione. È il reale e sincero racconto di una “dolce vita” riminese. Episodio centrale della sceneggiatura in divenire di Emanuele Troise.
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