La campanella della fine dell’ora sta per suonare, ma Alessio è già sulla soglia della porta con la sua tuta azzurra. Il pulmino per chi, come lui, gioca nell’Empoli ma abita in altre città parte presto e l’allenamento è programmato nel primo pomeriggio. Panino al volo sul sedile del passeggero, poco tempo per raccontare come è andata la mattina, in quel momento c’è un unico pensiero: mettersi le scarpette e calciare il pallone. Alessio Rizza si è specchiato con la tuta dell’Empoli per la prima volta a sette anni. Da quel momento, c’è stato un solo colore nella sua vita: l’azzurro. Per dodici lunghi anni. La strada che divide Livorno da Empoli saprebbe disegnarla ad occhi chiusi. Il panorama dal finestrino è sempre rimasto lo stesso. Quello sul campo invece Alessio se lo è costruito una sovrapposizione dopo l’altra, arrivando alle porte della prima squadra.
Alessio Rizza oggi sta vivendo la sua prima stagione nel calcio dei grandi con il Piacenza. Ai microfoni de LaCasadiC ha raccontato il suo percorso con l’Empoli tra Serie A, San Siro e Buscé. Sogni all’orizzonte, il prato sotto le scarpette. La fascia sinistra dell’Empoli lo aspetta. Alessio corre per prendersela.
Alessio Rizza è nato nel 2003. A sette anni indossava già la maglia dell’Empoli. Certo, il ragazzo era ancora giovane, ma le sue qualità riflettevano prospettive interessanti. I cinquanta minuti di pulmino che il ragazzo avrebbe dovuto fare da solo, i sessanta chilometri che dividevano Livorno da Empoli. Insomma, la risposta non fu immediata, almeno da parte dei genitori. “Quando ho ricevuto la chiamata dell’Empoli per la prima volta avevo sette anni. Io non sapevo niente, prima i miei genitori andarono ad Empoli a vedere il centro sportivo. Quando mi venne presentata la richiesta io accettai subito. Loro inizialmente erano un po’ dubbiosi, sapevano che avrebbero dovuto mandarmi sul pulmino da solo a sette anni e questo li frenava, io però ero tranquillo. Da quel momento non sono più venuto via, a Empoli sono restato 12 anni”. Perché Alessio era piccolo, ma non aveva dubbi. Benvenuto a Empoli.
Cosa significa giocare per 12 anni di fila in uno dei settori giovanili più prestigiosi d’Italia? Sacrifici, emozioni, concentrazione sempre ai valori massimi. Con gli anni passavano le categorie, i compagni e gli allenatori. Alessio Rizza però restava ad Empoli. Il livello si alzava sempre di più. Abbinare la mentalità alla tecnica sul campo. I chilometri contati dalla scarpetta di Alessio sulla fascia aumentavano così come chi poneva l’interesse sul terzino azzurro. Si accendono le ambizioni, arrivano i primi trofei. “La prima emozione più grande è stata la vittoria del primo Scudetto in Under 16. Nessuno se la sarebbe aspettata, a Empoli non era mai successo. Già in quel periodo il livello del gioco cominciava ad alzarsi. Quando sei piccolo guardi i ragazzi della Primavera e sembrano idoli impossibili da emulare. Poi quando sono riuscito a giocare le prime partite è stata la realizzazione di un sogno”.
Ed è proprio nell’Under 16 che Alessio Rizza incontra una figura essenziale per la sua crescita. Nel calcio l’impronta che un allenatore può lasciare ad un giocatore è determinante. Scendere in campo sentendo la fiducia dalla panchina significa giocare con una leggerezza che permette di arrivare ovunque. Ecco, l’impronta che Antonio Buscè ha lasciato sul gioco di Rizza ha permesso al ragazzo di abbracciare i segreti del proprio allenatore per applicarli sul campo. “Ho avuto Buscè per quattro anni. Dall’Under 16 alla Primavera. Il mio rapporto con lui è ottimo, mi ha dato tanto per quanto riguarda l’aspetto tecnico ma soprattutto quello umano. Lo ringrazio per tutto quello che mi ha insegnato. Il mister giocava nel mio ruolo da calciatore e ogni tanto ci consultavamo, mi dava dei consigli. Tutt’oggi lo sento, mi è stato vicino anche ad inizio stagione quando mi sono fatto male”.
Quanti sono i ragazzi che in una squadra restano o se ne vanno dopo poco tempo? Il sogno era per tutti il solito: arrivare in prima squadra. La realtà era che in pochi ce l’avrebbero fatta. Immaginatevi di essere a tavola con i vostri genitori. Una cena tranquilla in una sera di fine estate. Ad un tratto suona il telefono: “Dionisi ti vuole in ritiro con la prima squadra“. Dovrebbe essere andata più o meno così. “Sin da piccoli abbiamo cominciato ad andare a vedere la prima squadra da bordo campo per fare i raccattapalle. Negli anni della Primavera mi sono ritrovato ad allenarmi in ritiro con la prima squadra, facendo anche qualche panchina con Dionisi. Quando Dionisi mi chiamò per il ritiro ero a cena con i miei ed il ritiro con la Primavera era appena cominciato. Già quella era una grande emozione. La sera però mi arrivò la conferma che sarei dovuto andare in ritiro con la prima squadra, fu bellissimo. Quella stagione la prima squadra andò in Serie A”.
Numero tre sulle spalle e palla al piede. Così Alessio Rizza è salito per la seconda volta sul tetto d’Italia. Pilastro di uno spogliatoio che era diventato una seconda casa. In campo, assieme a lui, c’erano Mirco Lipari, Francesco Donati e Kristjan Asllani. L’Empoli vinse contro l’Atalanta di Scalvini. “Nessuno pensava che avremmo vinto noi. All’inizio eravamo quasi ultimi. Poi il campionato si fermò per il Covid. Speravamo di salvarci, ma grazie a Buscè scattò qualcosa dentro di noi. Eravamo tutti ragazzi giovani cresciuti ad Empoli, sapevamo quanto fosse importante per il club continuare a lottare sul campo. Ci siamo uniti e siamo arrivati sul tetto d’Italia. Lipari? Mirco è come se fosse un fratello, ci sentiamo tutti i giorni. Ho mantenuto un bel rapporto anche con Donati e Degli Innocenti, ci parliamo quotidianamente. Asllani? Ha sempre avuto grandi qualità. Quando era bambino e giocava ad Empoli si vedeva che era fortissimo. È un ragazzo umile con la testa sulle spalle, merita quello che ha adesso”.
Emozioni e sensazioni che il ragazzo ha portato fino a Belgrado. Dal pulmino che partiva dopo la scuola all’Europa, giocando la Uefa Youth League con quella maglia che lo aveva cresciuto. “Quando ero piccolo al Castellani andavo a fare il raccattapalle. Giocarci contro il Borussia Dortmund nella Youth League è stato incredibile. Prima di quella partita siamo andati in trasferta a Belgrado per giocare contro la Stella Rossa, un’esperienza che non scorderò mai. Contro il Borussia c’erano i bambini che ci guardavano come se fossimo eroi. Pensare che soltanto sei anni prima io ero al loro posto mi ha fatto emozionare”.
“Rizza a San Siro“. Potremmo parafrasare così il brano di Vecchioni. Con l’arrivo di Andreazzoli sulla panchina dell’Empoli Rizza si è affermato in prima squadra. Viaggia spesso in trasferta. L’allenatore lo porterà anche a San Siro contro l’Inter. Sognare ad occhi aperti. “Quando Andreazzoli mi ha convocato per la partita contro l’Inter è stata un’emozione indescrivibile. A San Siro c’ero stato tante volte, ma solo sugli spalti. Non avrei mai pensato di arrivare sul prato. Peccato soltanto per le restrizioni della pandemia. Una volta arrivato in campo San Siro sembrava infinito. Andreazzoli contava molto sui giovani, ero preso in considerazione e venivo corretto sui dettagli da migliorare. In prima squadra cercavo di prendere segreti da tutti. Sono stato convocato poi contro Roma, Venezia e Sassuolo”.
Tutte le storie hanno una fine. O meglio, un momento di pausa in cui c’è la necessità di provare nuove esperienze. E’ arrivato il momento di mettersi in mostra nella vetrina del calcio dei grandi, in Serie C. La maglia è quella del Piacenza, il numero è quello che è sempre stato presente nel suo cammino: il tre. “Ho subito la differenza con la Serie C. In Primavera il risultato conta tanto quanto la crescita dei ragazzi. In una prima squadra invece tutto ruota attorno al risultato, è fondamentale. Ammetto che dopo 12 anni passati a Empoli non è stato semplice venire via, ma a Piacenza mi sono sentito a mio agio sin da subito. I ragazzi mi hanno accolto benissimo, giocatori come Cosenza ti aiutano con la loro esperienza. All’Empoli devo dire grazie per avermi cresciuto, così come al Piacenza per questa opportunità ed al mio procuratore per aiutarmi. Devo molto anche ai miei genitori, che hanno sempre fatto chilometri e chilometri per venirmi a vedere. Ogni domenica sono sugli spalti”.
Treno in arrivo sul binario di sinistra. Contro la Triestina è arrivato anche il primo gol tra i professionisti. Corsa di oltre settanta metri e pallone sotto le gambe del portiere. Lo stadio esulta. Sembra Theo Hernandez, ma è Alessio Rizza. “Segnare per la prima volta tra i grandi? Bellissimo. Nei mesi precedenti dopo aver fatto il ritiro ed aver giocato tutte le amichevoli, mi sono fatto male al collaterale nella settimana in cui sarebbe dovuto iniziare il campionato. Sono stato fermo due mesi, ho giocato spezzoni di partite ed ho esordito poi a Novara da titolare. Quando contro la Triestina ho ricevuto la palla ho pensato: ‘Comincio a correre, non importa dove arrivo‘. Una volta davanti al portiere ero stanchissimo, menomale è andata dentro. Far esultare i tifosi è stato speciale. Anche quando eravamo ultimi loro ci hanno sempre sostenuti, non ci hanno mai contestato. Mi ispiro a Theo Hernandez come gioco, anche se non posso paragonarmi a lui.”
La storia tra l’Empoli e Alessio Rizza non ha una fine. Quello del ragazzo è solo un arrivederci. La maglia azzurra che gli ha permesso di trasformare la propria passione in quotidianità è sempre nei suoi pensieri. Il Piacenza occupa le zone basse della classifica. Un gruppo che deve lottare per una città. Valori che Alessio conosceva già, ma che adesso sente ancora di più sulle proprie spalle. “La classifica non è delle migliori, ma queste situazioni sono utili per crescere caratterialmente. Siamo una squadra forte che non si tira mai indietro, sono convinto che questo atteggiamento sarà premiato. Spesso abbiamo perso per episodi sfortunati. Il mio sogno? Sarebbe quello di riuscire a tornare ad Empoli ed esordire in Serie A con la maglia azzurra, che mi ha cresciuto”. Alessio Rizza si è specchiato con la tuta dell’Empoli a sette anni. Ed è pronto a tutto per farlo di nuovo. Una sovrapposizione dopo l’altra. Sempre come se fosse la prima volta.
A cura di Jacopo Morelli
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