A tutto Breda: “Zaniolo a 17 anni era un animale. Serie C? Vi spiego la motivazione di scendere di categoria”
Treviso, 1984. Gli osservatori della Sampdoria sono arrivati al campo ed hanno segnato i nomi dei giovani più promettenti sul loro taccuino in pelle. Tornato a casa, un ragazzino, Roberto Breda, spera di aver dato il meglio durante quella partitella. Una delle più importanti, se non la più importante della sua giovane carriera. Roberto Breda ha soltanto quindici anni quando riceve la chiamata della Sampdoria di Vialli e Mancini. L’inizio di un percorso che lo porterà in giro per le piazze più importanti d’Italia.
Oggi, Roberto Breda ha raccontato ai microfoni de La Casa di C ogni passo di quel percorso che ha disegnato prima sul campo, poi sulla panchina, come allenatore. Luci e ombre. Gioie e delusioni.
“Benvenuto tra i grandi, Roberto.” L’avventura con la Sampdoria
Niente male come partenza quella di Roberto Breda. Quindici anni ed il blucerchiato sulle spalle. “È stato un sogno, da bambino ovviamente ho sempre voluto giocare a calcio. Io abitavo in provincia di Treviso. In un paese vicino al mio la Sampdoria prendeva i ragazzi più bravi della zona. Il giorno che arrivò l’osservatore io saltai la partita per febbre. Non saltavo mai una partita. Pensavo di essermi giocato la chance della vita. Menomale che poi sono tornati e mi hanno preso. La Samp era una realtà familiare che aveva grandissimi obiettivi. Facevo parte della rosa quando la squadra ha vinto la Coppa delle Coppe. È stato impressionante giocare con quei fenomeni. Mi sembrava di essere dentro un sogno. Il Presidente Mantovani ci faceva sentire come dei figli. Cereso, Pagliuca, Vialli, Vierchwood, Mancini: la squadra era incredibile. E Boskov era un grande gestore del gruppo. Mi ricordo che dava la possibilità ai ragazzi più giovani di autogestirsi”.
Da Genova a Salerno fino alla rete che gelò il Partenio di Avellino
Nei capitoli della storia di Roberto Breda è possibile trovare diverse pagine dedicate alle Salernitana. Un amore nato all’improvviso. La decisione di restare per lasciare il segno. “Vado a Salerno dopo 4 anni di B. Io la Serie C non l’avevo mai fatta. Mi incontrai con l’allora diesse Castagnini a Roma per parlare, e per l’occasione andammo a vedere la Lodigiana. Quella partita mi mise una tristezza incredibile: non c’era nessuno a vederla. Una sensazione che mi tolse ogni motivazione di scendere di categoria. Il giorno dopo c’era il derby, Salernitana-Avellino. Lo stadio era pieno, un tifo fuori categoria. In quel momento cambiai idea sul mio futuro. Sono stati anni molto belli dove ho avuto la fortuna di fare pochi gol, ma molto importanti”.
E di gol importanti, Breda ne sa qualcosa. Provate a riportare alla mente di qualsiasi tifoso dell’Avellino quel tiro da trenta metri che disegnò la sua scarpetta. Partenio gelato e tifosi della Salernitana in delirio. “Quel derby… non vincevano da prima che io nascessi. Poi il mio gol da trenta metri fece partire una festa bellissima. Ma l’episodio più divertente accadde nel dopo partita. Invece di tornare a Salerno, decisi di andare da mia moglie a Genova. Sullo stesso aereo avevo a fianco Negretti, il portiere dell’Avellino. Io ero al settimo cielo, lui praticamente sotto un treno. Gli venne attribuita la colpa per il mio gol. In effetti, da trenta metri riuscii a dare al pallone una traiettoria particolare”.
La Serie A sul campo dell’Arechi e la chiamata di Malesani nel Parma dei sogni nel 1999
Roberto Breda, dopo quell’esordio con la maglia della Sampdoria, in Serie A ci tornerà. Il prato sotto le scarpette è ancora quello dell’Arechi, teatro delle emozioni più forti nella sua carriera e rampa di lancio verso un’altra maglia fondamentale in quel periodo storico del calcio italiano. Quella del Parma di Buffon, Crespo, Veron e Cannavaro. “Avevo preso la fascia l’anno prima. Mi ricordo bene che il mio nome venne fuori dopo una votazione dell’intera squadra. Aver ricevuto la fascia in questo modo mi fece sentire ancora più legittimato e responsabile. Erano stati i miei compagni a scegliere. Parma? Io da Salerno sarei potuto andare via anni prima. Avevo ricevuto delle richieste dall’Inter e dal Milan, ma l’attaccamento e l’amore che provavo per la Salernitana me lo impedì. Tuttavia, l’ultimo anno la situazione a Salerno non era delle migliori, inoltre si chiuse un ciclo. Parma è stata l’ultima realtà come la Sampdoria. Era una delle 7 sorelle. Ho vissuto un ambiente simile a Genova ma in un momento diverso della mia carriera. Lì ho capito che anche i grandi campioni sono dei ragazzi normali, ognuno con le proprie fragilità. Quello mi è servito in futuro sulla panchina.”
Dal campo alla scrivania: Breda, De Luca e la politica
E pensare che Roberto Breda il campo lo lasciò per affiancare Vincenzo De Luca come Assessore. Dal campo alla scrivania. O meglio, dal campo al Comune. “A dicembre mi dissero che sarebbe stato meglio cambiare. Ritirarono la mia maglia a Salerno, e dopo il fallimento della società mi ritrovai da allenatore della Primavera a non fare niente. Fu De Luca a chiamarmi, chiedendomi di fare l’esperienza da Assessore. Di politica io non ne sapevo niente ma lo stesso De Luca, allora Sindaco, riuscì a convincermi. Li ero libero. Non dovevo render conto a nessuno. Ho avuto l’occasione di vivere la città da un altro punto di vista, totalmente differente da quello del campo. Ho visto il lato sociale e civile di Salerno. È stata un’esperienza che mi ha formato moltissimo. Poi sono tornato a fare quello che amo.”
Ovvero allenare. E Breda tornò alla Salernitana per prendere le chiavi della panchina. Tuttavia, la situazione non era delle più semplici. La squadra aveva dei punti di penalizzazione ed il fallimento era all’orizzonte. Ma all’allenatore non tremarono le gambe e sfiorò la Serie B. “C’erano enormi difficoltà. I ragazzi non prendevano i soldi da mesi. I più esperti avevano contratti importanti. Arrivavano tante bugie ed illusioni e pochi guadagni. Cercai di mettere da parte chi aveva dei problemi. Avevamo 5 punti di penalizzazione. I primi mesi abbiamo avuto delle difficoltà poi questi problemi sono venuti sempre più fuori e abbiamo deciso di dare fiducia anche ai più giovani. Il gruppo si compattò, i più anziani tornarono e la piazza ha apprezzato molto la scelta della squadra di andare avanti al massimo, praticamente giocavano a gratis e contava solo il campo per loro in quel momento. È stata un’esperienza molto intensa nonostante la mancata promozione nella finale playoff.”
La Serie A sfiorata a Latina
Imprese. Firmate Roberto Breda. L’allenatore infatti nella sua esperienza a Latina riuscì a guidare la squadra fino alla finale dei playoff, ad un passo dalla Serie A con una squadra neopromossa. A fine stagione, Breda decise di dimettersi. “Il segreto di questa cavalcata? Il gruppo. Ovviamente la qualità fece la sua parte. Poi avevo Jonathas, che era un giocatore straordinario. La squadra era forte mentalmente. Mi ricordo che giocavamo contro il Bari e mancavano poche giornate alla fine del campionato. Loro venivano da un fallimento e quindi al San Nicola c’erano 40mila persone. Nella locandina che era appesa fuori dal nostro albergo c’era scritto “40mila contro 11”. Io non ci pensai due volte. Presi questa locandina, la portai ai ragazzi in albergo in riunione e non dissi niente. Il risultato? Vincemmo quella partita per 1-0. La squadra si esaltava nei momenti cruciali. All’inizio non erano così compatti, anzi. Mi ricordo che i ragazzi litigavano tra di loro e facevamo pochi punti. Alla fine scelsi di dimettermi perché ripetersi era difficile. Tutto era partito dalla voglia di rivalsa. Forse sbagliando, ma feci quella scelta”.
Roberto Breda e quell’amichevole in cui notò Zaniolo
Nella storia di Nicolò Zaniolo c’è anche Roberto Breda. Fu proprio l’allenatore di Treviso a notare in un’amichevole il talento della Roma che qualche anno dopo avrebbe esordito in Uefa Champions League al Santiago Bernabeu. E pensare che in prima squadra, nella Virtus Entella, Zaniolo inizialmente non ce lo mandarono. “La Virtus Entella è una squadra che punta molto sui giovani. Molto spesso mi mandavano dei giocatori dalla Primavera per farli entrare nella prima squadra. Mi ricordo che Zaniolo non me lo mandarono. Giocammo un’amichevole contro la Primavera e lo notai. Allora chiesi perché ancora quel giovane non si trovasse in prima squadra. Mi risposero che si trattava di una questione di equilibri. Lui dei giovani era il più bravo. Fece tre partite con noi e si mise in mostra, infatti lo chiamò l’Inter.
“Se mi aspettavo il suo percorso? Aveva doti fisiche e tecniche pazzesche già a quei tempi. Era un animale a diciassette anni. Forse doveva migliorare nella conoscenza del ruolo, ma la capacità di migliorarsi è soggettiva. Lui tutt’oggi migliora giorno dopo giorno. Purtroppo gli infortuni lo hanno rallentato. Anche quest’anno era partito molto bene, poi ha ricevuto un altro infortunio, fortunatamente speriamo sia meno grave. Ho giocato anche con il padre era un grande combattente e aveva un gran fisico, ma Nicolò è più forte.“
Roberto Breda e l’esonero di Perugia
A Perugia Breda riesce a prendere la squadra in una fase critica della stagione portandola fino ai playoff. Nonostante il risultato, l’allenatore viene esonerato ad una giornata dalla fine. “Il motivo dell’esonero ad una giornata dalla fine? Vorrei saperlo anche io. Io ho un problema. Quando faccio le cose sembrano quasi scontate. La Reggina da penultimi arrivammo dodicesimi. Il Latina era ultimo, a Terni uguale. Mi chiamavano che erano disperati e poi diventava normale un risultato conquistato con fatica. A Perugia abbiamo fatto una grande rincorsa con pochissimi giocatori. Non avevamo ricambi e Bandinelli si fece male. A me hanno detto che si trattava di entusiasmo, anche se per me si tratta di una cosa poco razionale, praticamente insensata. Ci rimasi male perché già l’allenatore è un mestiere precario, poi quando fai bene ti cacciano, ti incazzi ancora di più.”
Breda-Diamanti: il primo atto tra Perugia e Livorno
Sempre a Perugia Roberto Breda conosce Alessandro Diamanti. Il primo atto di un rapporto che lo stesso Diamanti definì in maniera schietta un “semplice rapporto tra allenatore e giocatore”. “A Perugia Diamanti arrivò dopo il mercato di gennaio. Fisicamente non era al meglio perché era stato fermo. Avevo un attacco equilibrato con Cerri e quindi non era semplice inserirlo. A Livorno la situazione era molto critica. Quando un allenatore sceglie la squadra deve vedere la qualità della rosa. Io capii che quei giocatori non si meritavano le ultime posizioni della classifica. Avevo capito anche come utilizzare Diamanti dopo Perugia inserendolo a pieno nella formazione. Inserii dei giocatori più offensivi nella struttura lasciata da Lucarelli ed riuscimmo a fare una cavalcata importante, che nessuno avrebbe pronosticato al mio arrivo. È stata una bella stagione. Vedere il cambiamento nei ragazzi è meraviglioso, perché si rendono conto delle loro qualità. All’inizio avrebbero perso anche contro dei paletti, poi hanno capito il loro valore.
L’esclusione di Diamanti e l’avventura a Pescara
Un semplice rapporto tra allenatore e giocatore, quello tra Roberto Breda ed Alessando Diamanti. Il Livorno riesce a salvarsi all’ultima giornata pareggiando sul campo del Padova, ma qualche giorno dopo l’allenatore, assieme alla società, decide di non confermare il centrocampista. Così, Diamanti partì per l’Australia ed i tifosi rimasero avvolti dalle perplessità. “Non è soltanto la mia responsabilità. Volevamo cambiare le prospettive. Era una decisione molto condivisa con la società, anche se dopo la società stessa non l’ha confermato. Lo rifarei? No. Avevamo deciso di fare una squadra diversa, ma il Livorno una squadra diversa non la costruì. Ecco perché non la rifarei. Sarebbe stato meglio rimanere come l’anno precedente. Ci son degli aspetti che preferisco non dire dal punto di vista societario di quel periodo. Ad oggi, dico che non mi esporrei come mi sono esposto in quel momento. Diamanti? Non l’ho più risentito, ma guardando dove è andato ora, dovrebbe ringraziarmi”.
E poi, l’ultima esperienza sulla panchina del Pescara. “Ho preso per l’ennesima volta una squadra in difficoltà. Tuttavia, in 8 partite riuscimmo a raccogliere 15 punti risalendo dall’ultima posizione fino ad uscire dalla zona playout. Il mercato fu devastante, tante novità ma con gente che non stava bene fisicamente. Sbagliai a cambiare modulo per inserire i nuovi e tolsi le certezze. Quello è stato un grande errore mio.” In attesa di nuove avventure, Roberto Breda consegna i segreti della panchina in televisione e nel suo canale Youtube. “Mi diverto di più sul campo ovviamente. Youtube è impegnativo anche se non sembra, adesso devo riprendere dopo le vacanze. L’idea è quella di creare un linguaggio. Dietro le quinte delle partite ci sono tantissime strategie, ed io voglio dare importanza al lavoro dell’allenatore. Io non ho problemi a comunicare, ma parlare ad un puntino verde è difficilissimo. Non è come parlare in uno spogliatoio con i ragazzi davanti. Diciamo che per me è una forma di allenamento“. A tutto Breda, aspettando una chiamata per un nuovo capitolo.
A cura di Jacopo Morelli