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“Siena, Avellino, Trieste: il mio racconto”. Parola a Ernesto Salvini

Visione, conoscenza, rispetto. Quella di Ernesto Salvini è una storia vissuta per il calcio e nel calcio: “La mia vita”. Uno sport conosciuto nelle sue diverse dimensioni. Una carriera iniziata tra i campi di provincia e arrivata in Serie A, con la favola del suo Frosinone. “Diffido di chi pensa e racconta questo sport come un’azienda e parla di investimenti. L’unico obiettivo deve essere quello di regalare emozioni alla gente”. Valori di altri tempi. Esperto, perché cultore delle esperienze. Per i diversi ruoli occupati, per la gavetta fatta. Dalle serie dilettantistiche ai professionisti. Dalla Serie C alla Serie A. In estate è stato vicino a tornare in quella Lega Pro che aveva salutato dopo l’avventura di Siena. Prima Avellino, poi Triestina. Ai microfoni de La Casa di C Salvini ci ha svelato i retroscena e i motivi di quelle trattative. Da Siena a Trieste, passando per Avellino, il pallone e l’attenzione per il talento come fil rouge: il racconto del ds.

“Avellino, ecco la verità”

Dialoghi, riflessioni, decisioni. “Con il presidente D’Agostino ci parlai già l’anno scorso. Al presidente ho sempre detto che non riesco a lavorare solo per dire che lavoro. Se sposo un progetto è perché so che posso incidere e farlo in modo sostanziale. Sempre in accordo con la proprietà. Eravamo rimasti d’accordo che avrei studiato la situazione e poi avremmo deciso. Sono stato ad Avellino dieci giorni, una piazza fantastica che ti rimane dentro con un grande presidente”. L’analisi della situazione: “Mi sono guardato intorno, ho analizzato la realtà tenendo conto di quelli che fossero gli equilibri e le dinamiche. Quando mi sono reso conto che le cose che andavano in contrasto con la mia visione del calcio erano troppe per garantire alla proprietà una salvaguardia economica, ho deciso di fare un passo indietro”.

Una presa di coscienza. Onesta, lucida: “Non era il momento giusto. Non è stato facile, la mia coscienza mi diceva che non ero la persona giusta. Mi piacerebbe in futuro poterci tornare. Avellino è una realtà in cui ho sempre desiderato lavorare. E voglio ricordare che ha un presidente che ha fatto e fa davvero molti sacrifici. Gli ho dato un consiglio amichevole su quale potesse essere la persona giusta per il club. Io avrei dovuto cambiare troppe persone, pretendendo troppo dal presidente. Alla fine i cambiamenti sono comunque stati fatti. Sotto l’aspetto dei risultati mi fa piacere che le cose stiano andando bene, ma da un punto di vista economico il presidente avrà dovuto fare ulteriori sacrifici”. Magari è stato solo un arrivederci.

“A Trieste pensavo di chiudere la carriera”

Pochi giorni dopo il contatto tra Ernesto Salvini e la Triestina: “Ci sarei dovuto andare già nella stagione precedente. Purtroppo la proprietà italiana rilevò la società quando avevo già firmato a Siena e non volevo tradire la fiducia dei tifosi toscani”. I giorni passati a Trieste:In due settimane avevo costruito la squadra per il campionato successivo. Ero contento perché è una piazza con tifosi che hanno un calore, una delicatezza, un amore garbato per quei colori che è impressionante. Pensavo di chiudere la carriera lì”. Poi la fine dell’esperienza: “Per problemi economici c’è stato un cambio a di proprietà e, com’è normale che sia, il gruppo entrante aveva già il suo management”.

Contrasti ed emozioni

Spesso, la vita ti porta a vivere le emozioni nelle loro sfumature più contrastanti. E le emozioni, per la loro stessa natura, ti consegnano e ti spingono verso la bellezza degli eccessi. In positivo e in negativo. E in quel bianconero toscano, Ernesto Salvini in poco tempo ne è stato testimone: “La mia esperienza di Siena va divisa in due. Quei mesi passati in Toscana mi hanno lasciato qualcosa di speciale. Come detto, io amo la costruzione di gruppi. Gruppi di calciatori e di persone. Di solito è un processo che necessita di 2/3 anni, lì successe subito. Un piccolo miracolo sportivo. Persone di uno spessore umano incredibile. E in tal senso vorrei spendere un pensiero in particolare per Favalli, un ragazzo fantastico che purtroppo pochi giorni fa ha comunicato la sua scelta di lasciare il calcio. Si creò una unità d’intenti tra giocatori, piazza, tifosi. Tutti ci credevano”.

Variabili esterne, cambiamenti improvvisi. La questione è il rispetto con cui reagire: “Poi a volte il calcio è capace di sconvolgerti la realtà. Sono arrivati i problemi societari, le mie prime difficoltà con il presidente. A inizio dicembre è come se già non ci fossi più stato. Ho cercato di tenere botta il più possibile. Per uno che lavora con coscienza, sapere di aver portato giocatori e collaboratori in una situazione societaria instabile faceva male. Per questo ho cercato di resistere il più possibile”. Esperienza indelebile: “Quei 4 mesi hanno rappresentato tanto per me. Una città bellissima, persone con un cuore enorme e puro”.

Giovani e seconde squadre

Giovani, seconde squadre, il calcio dei grandi. Temi trasversali che attraversano scuole di pensieri, culture, campionati: “Se un ragazzo all’estero a 16 anni ha già avuto l’occasione di giocare in prima squadra sarà più formato di un nostro giovane che arriva dalla Primavera. La cultura del calcio italiano è devastante. Sono poche le società che provano a costruire i propri progetti sui giovani. Ma spesso sono realtà piccole e tranquille, senza troppe pressioni”. Le seconde squadre possono essere una soluzione? “Rimangono un mondo ovattato. È vero che ti confronti con il calcio dei grandi, ma con meno agonismo e senza staccarsi in modo netto dal settore giovanile. Cercherei di mettere più incentivi per aumentare la presenza di giocatori italiani”.

Appartenenza, cuore, prospettiva. Semplicemente, Ernesto Salvini.

Nicolò Franceschin

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