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“Il calcio la mia vita, il Frosinone il mio amore”. Passione e autenticità: Ernesto Salvini

Il calcio per me è tutto. Ho dedicato tutta la mia vita a questo sport, ma non gli ho permesso di invadere totalmente la mia esistenza. Il pallone è per me moglie, compagna, amante”. Nella voce una sensazione di calma, consapevolezza, affetto. Riflesso di ciò che è stato ed è. Una figura complessa, difficile da circoscrivere in banali cornici. In Ernesto Salvini si osservano e legano la nobiltà del silenzio, l’onestà e il rispetto della propria coscienza, la visione prospettica e l’importanza delle persone. Principi e valori rari. Il rimanere fedele alla propria filosofia. Una antipatia nei confronti del concetto di “investimento” nel mondo del calcio, perché “preferisco vederle come donazioni senza scopro di lucro. L’unico scopo è regalare emozioni ai tifosi”. E, naturalmente, l’amore viscerale per quel pallone.

Un ds atipico. La profondità in luogo della fugace istantaneità postmoderna. Un direttore sportivo, “ma alcuni mi definiscono direttore generale, anche se l’ho fatto per soli due anni”. Un sentimento intimo con Frosinone, portato per la prima volta in A. “Una famiglia”. Il calcio conosciuto e vissuto nelle sue più diverse sfumature. Già, vissuto. Perché tutto parte dalle esperienze. 

salvini

Percorso

Una persona e una personalità dalle tante sfumature. Perché le sfumature, quelle del calcio, le ha conosciute tutte. La sua è una carriera iniziata a 16 anni e lunga, al momento, 36 stagioni: “Ho iniziato nell’Anzio in Promozione come responsabile del settore giovanile”. In 4 anni diventa direttore sportivo e arriva la vittoria del campionato. Un patentino di allenatore preso e l’esperienza da selezionatore regionale perché “volevo aumentare la predisposizione alla ricerca del talento”. Ma ci torneremo. Poi il ruolo di responsabile dell’area tecnica alla Cisco e al San Lorenzo Roma con diversi successi. Risultati che valgono la chiamata da Frosinone del dg Graziani: “Quello che ho fatto lì è stato anche grazie ai suoi insegnamenti”. Gli scudetti con gli Allievi, la Beretti e la promozione in prima squadra. Un’avventura, anzi una storia d’amore durata 14 anni: “Come una famiglia”.

Amare

L’arrivo con uno stadio “che non riempivi neanche regalando gli abbonamenti”. L’addio con la storica promozione in Serie A. Quella a Frosinone è la storia di una cavalcata. Un percorso costruito in modo graduale, perché ogni conquista ha bisogno del suo tempo. Progettualità e calma, senza frenetiche accelerazioni. “L’impulso più grande fu quello di promuovere l’allenatore (Stellone) e 15 giocatori dalla Beretti alla Prima Squadra e ringrazierò sempre Stirpe per avermelo permesso”. Una decisione propedeutica all’inizio della scalata. Un legame con i tifosi da costruire, un campo di allenamento da cambiare per la troppa pioggia, la retrocessione dalla B alla C. Tappe di un processo. L’immagine più bella per Salvini: “Ho pianto quando ho visto Paganini, Altobelli e Gori nella prima storica partita in Serie A del Frosinone. Erano tutti e tre giocatori che avevano fatto il percorso nel vivaio. Per un amante del settore giovanile non ci può essere gioia più grande”. E il rapporto con il presidente Stirpe: “Gli sarò sempre grato. Persona di grande spessore e vero conoscitore di calcio”.

 

Rispetto

Un amore rispettato: “Ho vissuto quelle bellissime esperienze in silenzio. Chi resta in una città per 14 anni la fa sua”. Ricordi, istantanee, immagini. “Il mio atto d’amore più grande per il Frosinone è stato capire quando era il momento di andarsene. L’ho fatto in silenzio, come quando sono arrivato”. Una decisione, quella di Salvini, che coincide con un momento preciso: “La mancata promozione in A dopo la finale playoff contro lo Spezia”. All’origine una consapevolezza: “Nel momento in cui si arriva a un grande risultato senza raggiungerlo, ricominciare la stagione successiva con gli stessi protagonisti diventa un’arma a volte devastante. Sono orgoglioso di questa scelta, seppur durissima. Avevo un legame speciale con la piazza. Penso di essere stato uno degli unici ds a cui sia stato dedicato un coro. È stato come lasciare una famiglia”. Il dolore di un addio. Il rispetto della propria coscienza. “Era il miglior modo per dare un futuro al Frosinone”. Amare, nel senso più sincero e puro.

Essere direttore sportivo

Ogni volta che si cerca di portare una innovazione nel calcio si finisce a fare sempre peggio rispetto a dove si è partiti”. Idee chiare nel confronti del cambiamento che ha investito il calcio e, di conseguenza, il ruolo del ds: “Adesso si è soliti usare piattaforme come wyscout e basarsi su dati e numeri. E ormai vedo diversi colleghi che sono diventati dei team manager e restano a guardare la propria squadra in panchina. Io credo fortemente nel fatto che un calciatore vada visionato dal vivo”. Il motivo? Semplice. “Un calciatore non è solo le sue qualità tecniche individuali. È anche il suo stare in campo, il suo comportarsi con i compagni, la persona che è. Non riesco a guardare le partite in tv. Faccio anche 500km per vedere una partita, sensazioni che non fornisce nessun tipo di tecnologia”. Ricerca del talento. Sul campo. 

Una la filosofia di Salvini: “Fare patrimonialità per la propria società. Costruire gruppi che vengono migliorati e portati al risultato finale, che può essere anche la cessione del giocatore a un club più importante. Poi c’è un’altra corrente che preferisce creare una squadra con dei prestiti. Questo comporta il dover ricominciare ogni anno da capo”. Idee chiare:Io continuerò a essere fedele al mio credo”. 

Progettualità, visione, prospettiva. Lavorare con e per il club. Questione di mentalità.

Salvini

Rapporti

Ruoli, scelte, responsabilità perché “credo che per rendere al meglio ognuno debba fare la sua parte in modo spontaneo e con il rispetto dei reciproci ruoli”. Logiche che si rispecchiano nel rapporto di Ernesto Salvini con gli allenatori: “Da Stellone a Longo, passando per Baroni, Nesta e Marino: loro sanno che ho un’impostazione atipica. Come direttore non mi sono mai imposto sulle loro scelte”. Con una precisazione: “Non apprezzo l’allenatore che crede che al centro del progetto ci sia lui. Al centro c’è il giocatore. L’allenatore deve essere colui che valorizza i suoi calciatori e deve avere il coraggio di assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Decisioni da prendere senza alcun tipo di influenza della società. Non imporrò mai nulla, ma allo stesso tempo non mi farò imporre niente”. Coerenza e onestà intellettuale. Ah, una domanda. Gli allenatori più interessanti? “Dionisi, Zanetti e Vanoli sono i tre che possono avere l’ambizione di avere una carriera di prima fascia”. 

Infine, una riflessione sulla cultura del nostro calcio: “Non capisco perché in Italia ci siano ancora dubbi sull’importanza nevralgica dei settori giovanili per un club. Comprendo non sia scontato che un giovane possa diventare un prodotto importante per la prima squadra. Noi, però, abbiamo dimostrato che è possibile. E poi c’è anche un discorso del legame speciale che si crea tra il ragazzo e quella maglia. Se un giocatore cresce con un club, sarà portato a dare tutto per quei colori. E penso ci sia da combattere questa Nouvelle Vague della ricerca del giovane straniero. Io amo il calcio italiano e i talenti del nostro calcio”. 

Una vita per e con il calcio. Senza la paura di viverlo nella sua essenza più pura. Travolgente, prepotente, delicata, intima. Passione. Ernesto Salvini.