Dall’eliminazione dell’Italia ai Mondiali del 2014 si è iniziato a parlare di seconde squadre. Una questione poi messa nero su bianco, e non per collegarsi subito ai colori sociali della Juventus, a partire dal 2018. Proprio la società torinese è stata la prima e finora unica a sposare il progetto partito come idea e poi iniziato sul campo. Sì, fino a ora, perché in questi ultimi mesi si sta parlando sempre più con insistenza di altri club che potrebbero creare la propria seconda squadra. Tra questi l’Atalanta è pronta per far giocare i suoi giovani in Lega Pro, ma dovrà aspettare l’apertura delle iscrizioni per capire se ci sarà posto. Potrebbe essere un cambiamento importante visto che il modello Juventus sta raccogliendo i frutti del lavoro. Miretti, Fagioli, Iling, nomi che ora fanno parte della prima squadra e partiti dalla seconda. Un modello che non può più aspettare, anche e soprattutto dopo il doppio mancato approdo ai Mondiali.
L’ex Presidente della Lega Pro Ghirelli, e ora anche Matteo Marani assieme a Zola, ha spinto tanto per l’utilizzo dei giovani in Serie C e non solo con il minutaggio, ma si è fatto garante del portare avanti un progetto vincente come quello della Juventus Next Gen. Da qui la necessità di affrontare nuovamente il tema – nel novembre 2022 -con una ‘tavola rotonda’ che ha riportato il capitolo seconde squadre sotto gli occhi di tutti, da Gravina a Casini della Lega Serie A. Numeri, fatti e non più soltanto parole di un progetto che all’estero, soprattutto in Spagna c’è e funziona dagli anni ’50. Ma perché in Italia soltanto la Juventus lo ha portato avanti? E come funziona il modello spagnolo?
In Spagna le seconde squadre esistono dagli anni ’50 circa. Un modello importante per la crescita di un movimento e per portare sempre più talenti nel calcio dei ‘grandi’. La Spagna ci ha regalato negli anni tanti spunti riguardo alle squadre B, visto che da lì sono usciti tanti calciatori poi arrivati a essere protagonisti in Liga o in altri campionati. Messi ad esempio. Qualche giorno fa ha vinto la Coppa del Mondo e i primi passi li ha mossi nel Barcellona B in terza serie. Non solo, il club blaugrana negli ultimi anni hanno portato in prima squadra giocatori come Ansu Fati, Pedri, Gavi giusto per citarne alcuni.
Diverse squadre professionistiche in Spagna hanno la squadra B. Non solo il Barcellona, ma anche il Real Madrid con il Castilla ha fatto crescere diversi giocatori poi arrivati a giocare al Bernabeu. Morata, Guti, Raul e potremmo andare avanti con una lista infinita. Non a caso sono le due formazioni migliori dei cinque campionati top europei a portare più giovani in prima squadra. Un modello differente rispetto a quello che si vede in Francia e Germania. Nel primo caso le seconde squadre non sono ammesse ai campionati professionistici e nel secondo non c’è più l’obbligatorietà di averne una per partecipare alla Bundesliga. Modello differente anche in Inghilterra visto che li è presente un campionato U23. Ma una lega dedicata inevitabilmente comporta dei costi ancora più elevati, ed è proprio l’aspetto economico che rappresenta una delle maggiori criticità, almeno in Italia.
Costi dicevamo. Purtroppo il nocciolo della questione sta tutto lì. Per iscrivere la seconda squadra in Lega Pro servono 1.2 milioni, oltre ad avere uno stadio dove farla giocare. La Juventus ha intravisto in questo progetto un’ottima fonte di guadagno in prospettiva. Portare giovani in prima squadra può essere un ottimo investimento per il futuro. I giocatori crescono, si valorizzano e costituiscono un patrimonio per la società. Basti pensare a Miretti e Fagioli, cresciuti nel settore giovanile, ora sono un valore aggiunto economico per la prima squadra, oltre che tecnico. “La Juventus non è una onlus, facciamo quello che serve al progetto” e proprio in questa chiave parlava anche Agnelli nel corso della ‘tavola rotonda’ all’Allianz Stadium.
Un progetto che ora, alla luce del secondo Mondiale a cui l’Italia ha dovuto assistere da casa, può essere riportato sui tavoli delle varie squadre di Serie A (Atalanta in primis). Casini, presidente di Lega, ha parlato nei giorni scorsi di voler parlare di alcune riforme tra cui anche questa. Alcune squadre ci stanno pensando e nel prossimo futuro potrebbe essere un’idea percorribile da più società. Ma il problema principale resta sempre legato ai costi. Non soltanto l’iscrizione al campionato, ma anche la gestione degli impianti, 25 giocatori in più sotto contratto oltre allo staff e la questione stadio. Serve dare una svolta, un cambio netto per portare avanti un modello vincente, non lo diciamo noi ma i numeri. “C’è il problema della tassa d’ingresso? Possiamo discuterne in base al numero di squadre che entra nel progetto” parlava così Ghirelli, oltre a voler “dare una risposta alle difficoltà del calcio italiano”. Ora serve qualcuno che possa portare avanti questa idea e la inserisca in una riforma di sistema del calcio italiano.
Per capire di più di un progetto sono importanti anche le testimonianze. Agnelli, ex presidente della Juventus, ha portato la sua per quanto riguarda i bilanci e la crescita dei giovani, ma a questo possiamo legare anche le parole di Morata e Guardiola. Entrambi cresciuti tra Real Madrid e Barcellona. Sanno bene il significato delle seconde squadre e non è mai mancata una parola positiva da parte loro sul progetto. Alvaro Morata, ex Juve tra le altre, è cresciuto proprio nel Castilla: “è stata un’esperienza importante perché mi ha preparato alla prima squadra sfidando altri club che poi ho affrontato in Liga. Così quando arrivi in prima squadra non ti fa impressione sfidarle. Secondo me per un giovane il modo migliore per prepararsi per la prima squadra è rimanere in seconda squadra, anche perché sei seguito in una struttura top”.
Come lui anche Guardiola, attuale allenatore del Manchester City, che in più di un’occasione ha rimarcato anche le differenze con gli altri modelli. “Inghilterra? Abbiamo molti giovani interessanti, con qualità e prospettive, ma il salto dal campionato che fanno alla Premier League è troppo alto. Il torneo in cui giocano non serve a niente perché non è competitivo, mentre in Spagna le seconde squadre giocano a volte davanti a 40 mila persone e affrontano squadre con gente di 28, 30 anni”. Prendere spunto, porsi delle domande e darsi delle risposte per provare a dare una linea comune da portare avanti anche qui in Italia.
Il modello seconde squadre in Italia è partito con l’iscrizione in Serie C per coprire eventuali mancanze d’iscrizione. Dal 2018 soltanto la Juventus, come ben sappiamo, è riuscita a portare avanti il progetto seguendo alla lettera il regolamento dettato dalla Figc. L’iscrizione costa alle società 1.2 milioni di euro. Oltre a questo la seconda B può partecipare alla Serie B, quindi ottenere la promozione dalla Lega Pro, ma non può mai partecipare allo stesso campionato della prima squadra. Permessa la partecipazione alla Coppa Italia di Serie C.
La rosa deve essere composta da giocatori U23, oltre alla possibilità di avere due fuori quota senza limiti d’età. I calciatori inseriti nella distinta di gara, di cui 19 Under, devono essere stati tesserati in società affiliate alla Figc per almeno sette stagioni sportive. C’è la possibilità di ‘scambiarsi’ giocatori tra prima e seconda squadra sempre tenendo conto delle regole sopra descritte, ma qualora un calciatore raggiungesse le 30 presenze con la prima squadra non potrà più essere utilizzato dall’U23.
Il capitolo seconde squadre è un punto importante, non l’unico, per provare a cambiare il sistema calcio in Italia e lavorare sempre di più sulle risorse e sulla crescita dei giovani.
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