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Amatucci, come essere capitano a 20 anni: “Troppo giovani? No, buttateci nella mischia!”

Il 2011, anno del fallimento, ormai è solo un brutto ricordo per l’Aquila Montevarchi. Dopo le prime 15 giornate di Serie C, la “più antica squadra della Toscana” è un’autentica rivelazione nel girone B. Un progetto partito dal basso ma che non ha mai mancato di un elemento che, sin qui, si sta rivelando essenziale: la fiducia nei giovani. Proprio tra loro spicca il capitano, classe 2001, Francesco Amatucci.

La fiducia di puntare sui giovani

In ogni latitudine del nostro calcio la parola “giovani” dà sempre motivo di riflessioni. Tra chi ad un gruppo giovane preferisce uno con maggiore esperienza o chi alle due soluzioni preferisce ricercare un equilibrio proprio tra entrambe le parti.

Dal fallimento però l’Aquila Montevarchi si è risollevata con ordine e programmazione, insistendo e lavorando proprio su un gruppo di giovani importante. A dimostrazione vengono i numeri, la rosa del Montevarchi oggi segna 22,4 come età media, tra le più basse dell’intero campionato di Serie C.

Numeri e risultati perché un progetto giovane può anche essere competitivo. Montevarchi oggi rappresenta una vera sorpresa in un girone altamente equilibrato come il B. Ottima la prima parte di stagione del gruppo allenato da Roberto Malotti che sin qui dopo 15 giornate ha 19 punti in classifica. Una squadra che gioca in maniera sciolta, disinvolta nonostante siano presenti tanti calciatori all’esordio tra i professionisti.

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L’essenza dell’essere capitano

Proprio tra i profili che in questa stagione hanno esordito nel “calcio che conta” c’è Francesco Amatucci. Lui è il faro, il centrocampista del Montevarchi, un po’ il simbolo della cavalcata che negli scorsi anni ha portato poi la squadra “più antica della Toscana” al ritorno tra i Pro.

C’è una curiosità su Amatucci, lui è da due anni il capitano del Montevarchi ma non solo, aveva la fascia al braccio anche nelle giovanili del Perugia, squadra in cui è cresciuto. E allora la domanda è sorta spontanea, ma cosa vuol dire essere capitano? É solo una questione di carattere, forse di tecnica?: “È una domanda che mi pongono in tanti – dichiara Amatucci ai nostri microfoni– io ho la fortuna di avere dei compagni che non mi fanno sentire per nulla il peso della fascia. Poi ecco, per me essere capitano vuol dire esserlo nelle piccole cose, nel fare quello scatto in più e nel dare ai miei compagni l’esempio giusto sul campo“.

Ed è forse questa la chiave, i giovani sanno assumersi le responsabilità serve solo il coraggio da parte delle società nel dargli fiducia: “Secondo me il giovane va buttato nella mischia. Purtroppo in Italia non ci sono paragoni in termini di minutaggio con gli altri campionati europei, c’è ancora qualche freno che va rimosso per far si che le società insistano nel lancio dei ragazzi”, ha così commentato Amatucci.

Testa al campo

Come detto in precedenza, Amatucci parla già da calciatore consolidato e anche nella vita privata non eccede in nulla, anzi: “Sono tranquillo, curo molto la parte fuori dal campo a partire dalla alimentazione. Non tocco la playstation da anni, sicuramente sarà impolverata”, sorride.

Prossima sfida in programma domenica alle ore 14:30 contro la Vis Pesaro. Uno scontro diretto visto che proprio con i biancorossi l’Aquila è appaiata in classifica a quota 19 punti. Una partita importantissima che può tenere a galla (oltre all’obiettivo salvezza) anche i sogni playoff coltivati in queste prime 15 giornate di campionato: “La partita di domenica è fondamentale per staccarci quasi definitivamente dalla zona play out. Il campionato è molto equilibrato e per questo una sconfitta ci farebbe scivolare in basso e cancellerebbe quanto di buono fatto nelle ultime due gare vinte”. 

Il pensiero sui giovani in Italia è pronto a cambiare. E la Serie C grazie a realtà come Montevarchi, Foggia e altre piazze di rilievo può essere un ottimo esempio. I giovani meritano il campo, le parole di Amatucci capitano a 20 anni non possono che dare ulteriori stimoli di incoraggiamento.