Capitan Rozzio racconta il mondo Reggiana: “Il mio passato e le nostre vittorie”
Come può uno scoglio arginare il mare? Lucio Battisti ci perdonerà per averlo chiamato in causa, ma evidentemente prima di comporre le sue liriche non aveva fatto i conti con Paolo Rozzio, la roccia difensiva della Reggiana, capace di sfidare a viso aperto l’intero oceano della Serie C. Già, perché il capitano della squadra di Diana è una vera e propria colonna portante della categoria, oltre che il pilastro difensivo del club emiliano, con cui due stagioni fa ottenne la sua seconda promozione in Serie B e ora punta al tris dalla momentanea vetta del girone B.
Insomma, quello di Rozzio è ormai un salotto ben arredato. Perché allora non collocarlo – e raccontarlo – alla Casa di C? Magari spiegando proprio la ricetta dei successi della Reggiana, che viaggia a ritmi spediti ed è l’unica imbattuta del suo raggruppamento: “Non credo ci sia un segreto particolare, molte volte i momenti positivi sono dettati intanto da come lavori durante la settimana. Se ti alleni con la mentalità giusta è difficile sbagliare l’approccio la domenica. È ovvio che poi i risultati possono anche non essere favorevoli e dettati dalla partita, però gli approcci per ora non sono ancora stati sbagliati. Abbiamo già fatto qualcosa di importante, ma bisogna continuare, il campionato è ancora lungo”.
Reggiana, gli insegnamenti di Diana e l’approccio di Rozzio
Equilibrio, costanza e audacia. Questi gli ingredienti che stanno rendendo la Reggiana un piatto vincente. Il tutto a cura di Aimo Diana, ormai navigato chef della Serie C: “Il mister è uno che pretende molto, ha a disposizione una rosa molto ampia e la sta gestendo molto bene. Non è facile, perché ha a disposizione 25 titolari, a dimostrazione del fatto che da una partita all’altra può averne cambiati 5 o 6 ottenendo gli stessi risultati. La concorrenza fa bene perché nessuno si sente il posto assicurato”.
Sesta stagione a Reggio Emilia. Ormai la maglia fa parte della sua pelle, specialmente da quando è diventato il simbolo della squadra. Da capitano qual è, c’è il rischio che Rozzio possa avvertire le grandi responsabilità di una piazza caldo. Il suo approccio, però, è tutt’altro che teso
“La vivo molto tranquillamente, dobbiamo ricordarci che facciamo il lavoro più bello del mondo. Chi è davvero sotto pressione è il chirurgo che deve salvare una vita, non chi deve vincere il campionato. Un medico in sala operatoria ha molta più responsabilità di noi. Sono contento di essere capitano in questo momento, ma lo ero anche l’anno scorso nonostante i risultati negativi. Anche nelle difficoltà bisogna esserlo: l’anno scorso è stato un anno molto più pesante e faticoso, però è stata un’esperienza che porterò sempre con me. Le esperienze negative sono quelle che ti formano di più perché servono a migliorare. Ho la fortuna di avere a che fare con un gruppo di ragazzi intelligenti che si sanno porre anche con me, Fausto che è il vicecapitano e Cigarini che è il più esperto. C’è un buon mix di giovani e vecchi. La squadra è stata costruita bene”.
Reggiana, il racconto di Rozzio due anni dopo la vittoria ai playoff
Ormai la Reggiana è una squadra abituata a fare campionati di vertice in Serie C, e Rozzio lo ha già sperimentato. Già nella stagione 2019/20, con Alvini in panchina, i granata viaggiavano a ritmi altissimi, ma non erano al primo posto a questo punto del campionato. Merito di un diverso approccio? No, almeno secondo il leader amaranto.
“Anche due anni fa quando ero vicecapitano e c’era Alessandro (Spanò) capitano, la responsabilità che sentivo era più o meno la stessa. Era il mio quarto anno a Reggio Emilia. Non è che sia cambiato qualcosa, anzi, ti dico il punto di similarità rispetto a due anni fa: il pubblico allo stadio. L’anno scorso abbiamo avuto un grosso problema che è stato proprio il tifo allo stadio, qualche punto in più in casa lo avremmo fatto. Quando giochi in casa i punti li fai, perché sei trascinato”.
“Anche lunedì sera che diluviava e c’era un tempo da starsene a casa sotto le coperte c’è stata una grandissima affluenza. Non è che ci siano delle differenze, anzi eravamo guidati due anni fa da un allenatore veramente bravo come Alvini e lo siamo tutt’ora. Sono più le differenze rispetto all’anno scorso, dove in Serie B l’assenza del pubblico ci penalizzava, giocare in casa o fuori era la stessa cosa”.
L’annata con Alvini rimane nella storia della Reggiana e nel cuore di Rozzio. Una vittoria ai playoff agguantata da neopromossa, nella finale casalinga contro il Bari vinta per 1-0. Il difensore piemontese era lì, pronto a prendere l’eredità della fascia da capitano di Spanò. Vittoria e passaggio di testimone, ma le celebrazioni col proprio pubblico lasciano un pizzico di amaro in bocca.
“È stato bellissimo, peccato che i festeggiamenti sono stati condizionati dalle restrizioni. Non ce li siamo potuti godere al massimo: siamo andati in piazza ma siamo rimasti sul pullman. C’erano 3000-4000 tifosi ma siamo stati poco a contatto. Poi era luglio e tre settimane dopo avremmo ripreso, quindi il giorno dopo c’era anche un po’ la voglia di andare a casa a riposarsi. La vittoria di un campionato però è un’emozione davvero bella, bella, bella. Può essere che ci abbia aiutato il fatto di non giocare le ultime 10 partite ma questa è una cosa che non potremo mai sapere. Noi siamo arrivati ai playoff ancora meglio di come stavamo in campionato e lo abbiamo dimostrato”.
L’esperienza con Gattuso
Da un successo all’altro, sempre nel segno di Rozzio. Vi abbiamo avvertito: il numero 4 granata è una colonna della Serie C e lo è stato anche a Pisa, dove vinse per la prima volta i playoff, sempre da capitano: “E’ stato bellissimo anche a Pisa, quello è un posto che porterò sempre nel cuore. A loro devo tanto, mi sono forgiato. La ciliegina sulla torta è stata poi la vittoria del campionato. Però sono stati dei playoff diversi rispetto a due anni fa perché non giocai neanche un minuto, nonostante avessi giocato durante il campionato. Allo stesso tempo la gioia di vincerlo è stata sempre pari a 10 su una scala da 1 a 10. Quando giochi i playoff però ti senti di essere più partecipe. Vincere a Pisa è tanta roba, è una piazza che vive di calcio come Reggio Emilia. Sono due piazze invidiabili”.
Anche quella era una squadra carismatica, in grado di vincere con la fame e ringhiando agli avversari. Vi viene in mente nulla? Ovviamente in panchina sedeva Rino Gattuso, un allenatore rimasto nel cuore di Rozzio: “L’allenatore assomigliava molto al Gattuso giocatore. Aveva questa capacità carismatica impressionante che trasmetteva: non ti faceva mollare un centimetro neanche durante gli allenamenti. Impressionante la sua grinta. Questo ha fatto sì che arrivassimo a giocare i playoff a viso aperto con tutti. Sono contento che abbia fatto tanta strada, perché in questi anni ci siamo sentiti, per gli auguri ci sentiamo ancora. È una persona che porto ancora nel cuore, quando vinci un campionato con un allenatore è sempre bello tenersi in contatto, indipendentemente dalle strade che uno prende”.
A scuola dalla Fiorentina, tra Piquè e Bernardeschi
Tante squadre importanti durante la carriera di Rozzio oltre alla Reggiana. Al principio, però, c’è l’esperienza con le giovanili della Fiorentina e la possibilità di entrare a contatto con la prima squadra: “È stata una bellissima esperienza perché poi era la mia prima fuori casa. A 19 anni sono uscito di casa e sono andato a Firenze, però ho fatto un campionato di Primavera nonostante mi allenassi tantissimo con la prima squadra, prima con Mihajlovic e poi con Delio Rossi. Vivere gli spogliatoi della prima squadra era molto bello e formativo”.
Quando approdò in viola, il centrale piemontese si presentò dicendo che gli sarebbe piaciuto diventare il Piquè della Fiorentina. Ce l’ha fatta? “Eh magari (ride, ndr). Quell’anno feci la panchina l’ultima partita di campionato contro il Cagliari. Però è stato molto bello vivere quello spogliatoio fatto di professionisti e di gente che trattava bene il giovane”.
L’ultima tela nel salotto riguarda Bernardeschi, compagno di Rozzio nella squadra Primavera dei toscani e diventato quasi dieci anni dopo campione d’Europa con la Nazionale Italiana: “Dopo la Primavera ci siamo persi di vista. Avevamo un buon rapporto, lui già si vedeva che era predestinato a rimanere nell’ambiente della Serie A. Dopo l’Europeo non mi sono permesso di scrivergli, non mi piace non farmi sentire per anni e scrivergli solo perché ha vinto l’Europeo. Sono molto contento per lui, se l’è meritato e gli faccio le congratulazioni”.
Di Gabriele Ragnini