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Siamo circondati. In qualsiasi contesto o quasi, il più delle volte sociale se circoscritto, non si fa altro che idolatrare falsi miti. Fenomeni da baraccone, gente senza né arte né parte, figli di un mondo che sta andando a rotoli, con noi inermi, fermi a guardare. Non che spetti a noi porre un freno allo squallore che tocchiamo con mano ogni giorno sia chiaro, ma un piccolo contributo da parte di ognuno potrebbe limitarlo. Provo a spiegarmi meglio. Oggi, nel 2023, se non hai un tot numero di follower vieni scalzato dal podio di quelli “influenti”. E vada a farsi benedire una Laurea raggiunta con impegno, sudore e perseveranza. I follower sono più importanti. Oggi, nel 2023, se non segui le vicende social di gente che fattura migliaia di euro al mese solo per sbandierare in pubblico fatti che dovrebbero restare tra le mura di casa, allora “non sei buono”. E poco importa se queste persone hanno alle spalle un curriculum vitae fatto di galera, denunce e chi più ne ha più ne metta: se manca il tuo like, quella è l’uscita. Oggi, nel 2023, se dopo oltre 20 anni esiste ancora il Grande Fratello, facciamoci tutti una domanda e diamoci anche una risposta. Con tanto di accezione VIP, con i vari Mastroianni, Totò e De Sica che da un ventennio circa puntualmente si rivoltano nella tomba. Di quelle persone non ne conosci nemmeno mezzo? Cavoli tuoi, non sei abbastanza “social”. Ma cosa significa con esattezza essere social? Guardandomi intorno, posso azzardare una risposta. Certo, non ne ho da dispensare a ogni quesito della vita, ma arrivare a dare un senso a quello che ci circonda non è poi così difficile. Essere social significa di fatto dare importanza, ed è questa la distinzione più difficile da dover fare: scegliere da chi apprendere. Dibattiti a video social fatti di commenti su commenti, botta e risposta su argomenti futili, come se da quella questione dipendessero le sorti della sicurezza nazionale. Oggi, nel 2023, aver dato vita a tormentoni con frasi buttate lì a caso è quasi vitale, “merito” tra virgolette anche di noi che le abbiamo ripetute per mesi fino allo sfinimento. Siamo stati io, titolo che ho deciso di dare a questo lavoro, racchiude il senso di quello che scrivo. Se si fa a gara per avere alla propria comunione o al proprio matrimonio gente di questo calibro, la colpa è nostra. Se sui social ci sono migliaia di like a video che non farei vedere nemmeno al mio cane (offenderei la sua intelligenza), la colpa è nostra. Se queste persone si incontrano per strada e la prima pulsione è quella di farci una foto, la colpa è nostra. Ecco, se si resta fuori da questo girone infernale (citazione di Dantesca memoria) allora “non sei buono”. Nonostante i valori che non si confondono con questo marciume, nonostante ideali veri che da subito formano una persona, nonostante quel senso di integrità morale che ancora alberga in qualcuno allora “non sei buono”. “Non sei buono” se non ti mischi con la massa, “non sei buono” se non segui personaggi che dubito fortemente conoscano anche le tabelline, ma che al contrario di chi ha gettato sudore sui libri, guadagnano in un mese quello che una persona comune guadagnerebbe in un anno. “Non sei buono” se la tua stima non è indirizzata a individui che fanno della propria immagine lo strumento per raccogliere i frutti di una vita che altrimenti sarebbe vuota, perché non in possesso di qualità intrinseche a chi invece ha deciso di crearsi un futuro senza ricorrere a strade alternative. “Non sei buono” se la tua fedeltà social non è rivolta a personaggi di dubbio gusto. “Ma come, non conosci la nuova canzone della De Crescenzo?” Se da un lato aprirei una interrogazione parlamentare solo per circoscrivere l’utilizzo della parola canzone, dall’altra la domanda posta così, come se fosse cosa dovuta conoscere un testo che presenterebbe solo ovvietà, è già di per sé avvilente. Ma c’è a chi piace. Ecco, il punto è questo. Si tratta di gusti, pareri dunque del tutto personali e che lungi da me giudicare. La vera capacità è però saper scindere: influenza è influenzare, portare qualcuno a scegliere un determinato prodotto o stile di vita. E se a volte, è l’ignoranza a trascinare le masse, dall’altra non si può non dar seguito a chi fa del mezzo social uno strumento di apprendimento. Come porre rimedio allora? Siamo nel campo dei sogni, lo anticipo già, ma come si suol dire la speranza è l’ultima a morire. Limitare l’influenza in favore del valore, evitare esclusioni basate non su quello che si è ma su come si appare agli occhi degli altri. Personalmente preferisco chi nella vita ha deciso di crearsi una posizione mantenendo una propria identità, senza dover per forza di cose fare qualcosa solo perché “lo fanno tutti”. Preferisco chi ha saputo distinguere il senso del nulla dal senso del tutto, scegliendo il secondo senza pensarci su due volte. Conseguenza? Persone che è bene escludere, perché non conformi ai parametri di una società che da anni assorbe, si adegua e si adagia su questo. Per chi vi scrive invece un’eccezione, da preservare. Le eccezioni sono il vero vanto, il resto si avvicina molto allo zero.