Il ritiro a 23 anni, autista di tram e ora postino. Petricciuolo: “La mia vita dopo il calcio”
Poco meno di cinque anni fa ha dato l’addio al calcio a soli 23 anni. Non per un infortunio, non per alcun tipo di problema di natura fisica, ma per scelta. Simone Petricciuolo, ex terzino destro con un passato nel vivaio della Roma, che con ha esordito in Serie B con l’Avellino e nel corso della sua breve carriera ha debuttato anche con la maglia della Nazionale Under 17, ora fa il postino. Sembra ieri il 16 novembre 2018 quando diede l’addio al calcio in cui non si riconosceva più attraverso i social (“Contratti comprati e sponsor, questo non è lo sport a cui mi sono appassionato da bambino”). Eppure ne è passata di acqua sotto i ponti. Ne ha fatti, letteralmente, di chilometri, Petricciuolo. Non più sulla fascia destra, ma su binari e strade, cercando di sentirsi realizzato fuori dal rettangolo verde che ha calcato per altre brevi parentesi a livello dilettantistico.
Petricciuolo, dal corsia destra ai binari nel centro di Milano: “Una scelta che rifarei”
“Col senno del poi rifarei quella scelta. Durante questi anni ci sono stati momenti in cui mi sono chiesto se avessi fatto la cosa giusta o se, forse, ero stato troppo duro con me stesso. Ho sacrificato la cosa che amavo di più per darmi una seconda possibilità. Sono felice di averlo fatto”. Nella voce di Simone Petricciuolo c’è la serenità di chi sente di aver trovato la sua dimensione dopo aver compiuto un passo coraggioso.
Riavvolge il nastro raccontando il suo viaggio. Dopo aver appeso le scarpette al chiodo agli albori del suo percorso da calciatore, ha preso una direzione diversa, decisamente diversa. E sì perché Petricciuolo si è reinventato inizialmente come autista di tram a Milano: “Il primo impatto è stato traumatico. Sono passato da uno sport e una passione che erano il mio lavoro, all’essere sempre in movimento, a continuare a muovermi di continuo ma da seduto. Con un impiego sedentario. Quello del tranviere è un lavoro bello ma pieno di responsabilità e in cui bisogna abituarsi ai turni: mattina, pomeriggio, notte. Mi sono trovato bene con l’Atm e i colleghi. Mi ha hanno aiutato a crescere a diventare più uomo. Guidare tram lunghi dai venti ai trenta metri in pieno centro con duecento o trecento persone a bordo, richiede grande attenzione. Una banale disattenzione può mettere a rischio la vita dei passanti o dei passeggeri”.
Petricciuolo, dai binari al motorino: la nuova vita da postino e un messaggio a chi sogna di fare il calciatore
E ora un nuovo inizio. Sempre di corsa, ma per Poste Italiane: “I primi giorni di lavoro da postino sono stati molto positivi. Sono stato accolto molto bene sia dai miei nuovi colleghi sia dal direttore sai dai capisquadra. Consegnando pacchi e raccomandate sto conoscendo posti in cui non ero mai stato. Mi godo ogni giorno. Mi sto divertendo, impegnando e sono sicuro che con il passare del tempo andrà sempre meglio”.
In Italia, intanto, tornando al calcio è caccia aperta a talenti anche all’estero: “Ho una mia idea sul perché si faccia così fatica a rendere concreto il ricambio generazionale, a trovare talenti, ma il discorso va ben oltre la sfera calcistica. C’è un problema a livello sociale, di educazione, di principi e valori. Se a un ragazzino di 10, 14 anni viene regalato un telefono da mille euro senza insegnargli cosa sia il sacrificio per ottenere qualcosa che si desidera, se l’ambizione è diventata affermare la propria identità virtuale sui social più che nella vita reale, come si pensa che di trovare ragazzi che coltivino, tra gli altri, l’interesse per il calcio, che è uno sport di squadra. Uno sport che ti insegna il valore della disciplina, del sacrificio e del sudore, che ti permettono di raggiungere gli obiettivi. E così puoi avere talento, ma non basta se non lo coltivi allenandoti, se non fai sacrifici e hai predisposizione alla fatica. Con questi presupposti se non giochi un paio di partite si molla”.
Petricciuolo: “Il talento ha bisogno di essere lasciato libero, nel calcio c’è bisogno di meritocrazia non del minutaggio per gli under”
Oltre all’attitudine c’è un sistema su cui riflettere: “Ci sono troppe cose sbagliate a partire dalle scuole calcio. Innanzitutto, bisogna lasciar divertire i ragazzi, insegnare loro la tecnica di base, il palleggio, lo stop, il passaggio, il dribbling, il tiro, la marcatura. E basta. Bisogna lasciarli liberi di dare sfogo alla loro fantasia e solo dopo dargli delle nozioni di tattica e su come si sta in campo. Invece, puntualmente ci sono allenatori che insegnano la tattica a discapito della tecnica individuale per far risultato e salvaguardare i propri interessi. Il risultato è che ci sono sempre meno calciatori italiani in grado di saltare l’uomo nell’uno contro uno, fantasisti, numeri 10 come Del Piero, Totti o Baggio. E neppure numeri 9 come Vieri, Inzaghi o Toni. Faccio fatica anche a vedere veri eredi di Chiellini, Maldini“.
“E poi non c’è spazio nemmeno per partire dal basso, dalla Lega Pro, a causa della regola degli Under che trovo assolutamente controproducente perché “obbliga” a far giocare qualcuno quando magari in panchina c’è un altro che è più forte. Più forte ma più “anziano” per cui non scende in campo solo perché, magari, è solo un anno più grande rispetto alla fascia prestabilita che permette di incassare gli introiti garantiti nel minutaggio. Così si eclissa, smette di crescere, non esplode e nella peggiore delle ipotesi scompare dal giro perché non ha modo per esprimersi. E non perché non meriti di scendere in campo”.
“Fatta eccezione per sei o sette squadre le altre non hanno potenziale economico per autofinanziarsi e completano le loro squadre con giovani provenienti da vivai, pagati dalle squadre di appartenenza o con semplici rimborsi spese purché siano Under che permettano di incassare col minutaggio garantito dal loro impiego. Così il livello tecnico si abbassa. Non gioca il più forte ma il più giovane. Così non giocano i migliori giovani ma i giovani. Ci vogliono delle riforme, meno squadre e alzare il livello di competitività privilegiando la meritocrazia: gioca chi è più bravo”.
I messaggi con Gravina e dai genitori di ragazzi che non riescono a emergere
Idee chiare e una pioggia di messaggi di sostegno quando annunciò che questo mondo non faceva più per lui: “Tanti mi hanno scritto invitandomi a ripensarci a non smettere di sognare. Sono, però, sempre stato del parere che vivacchiare in questo mondo non faceva per me, piuttosto era meglio concentrarmi sul futuro. Mi hanno contattato amici, ex compagni di squadra, ex allenatori, ma anche persone che non conoscevo che facevano parte mondo del calcio. Persone che hanno vissuto le mie stesse emozioni o finanche semplici genitori, padri e madri che avevano i propri figli in situazioni analoghe. Un messaggio che mi colpito in particolare è stato quello del presidente Gabriele Gravina, che mi propose di parlarne di persona, ,a io sono un po’ testardo e ho declinato l’invito perché sapevo che non sarei tornato indietro. Ho ancora il suo numero e negli anni ci siamo scambiati qualche messaggio“.
Simone è cresciuto e si è fatto una famiglia dopo aver salutato la sua Campania: “Sono circa 18 mesi che vivo a Milano, da solo e senza l’aiuto di nessuno. All’inizio è stato difficile ma ormai sono abituato alla distanza da casa. Piuttosto sono i miei genitori a non abituarsi e forse non si abitueranno mai (ride, ndr). Amo prendermi cura della casa, cucino, lavo, stiro. Lavoro e gioco a calcio con i miei colleghi. È tutta questione di volontà e perseveranza”.
Il libro dei ricordi, dall’abbraccio di Cosmi dopo l’espulsione a Trapani ai complimenti di Pierpaolo Marino
Inevitabile, però, che qualche volta la mente torni al campo: “Non dimenticherò mai l’esordio con l’Avellino in Serie B. Un’emozione indescrivibile come la partita in Coppa Italia contro l’Atalanta e i complimenti di Pierpaolo Marino a fine gara. Che orgoglio quando mi ripenso nella Top 11 del torneo di Viareggio o torno con la mente al gol del 3-3 al 94′ in Cavese-Savoia. E poi, l’esordio in Nazionale, ma anche il ricordo più brutto, quando a Trapani Montalto si aggrappò alla mia maglia e l’arbitro fischiò rigore e mi espulse condizionato, probabilmente, dal fatto che il contatto avvenne sotto la Curva dei padroni di casa. Cosmi fu un signore, mi consolò come un papà. Ecco, a un giovane non direi mai di non sognare di fare il calciatore. Anzi. Il mio consiglio è crederci con tutte le proprie forze, dare il 110 per cento non mollare mai perché i momenti bui capitano a tutti. Un “piano B”, però, fa sempre comodo. Vivete per il calcio ma ricordate che la vita non è solo calcio”.
A cura del corrispondente Marco Festa