“Il calcio mi ha dato tanto. È parte della mia vita. Negli ultimi anni, però, mi ha anche deluso”. Dinamiche e meccanismi difficili da capire. Vissuti che “fanno affievolire la passione”. Un venir meno della genuinità e della purezza di questo sport: “Faccio fatica a trovare della meritocrazia. Spesso devi essere molto fortunato. Da solo è dura”. Emozioni e pensieri di Lorenzo Tassi. Di chi, al calcio, è abituato a giocarci con la testa. Rammarico e gioia. Amore e disillusione. Tutto racchiuso in quel pallone. Perché quando sei abituato da sempre ad averlo come compagno di vita, non è facile vederselo portar via. “A 27 anni ogni contratto che si riesce ad avere sembra un miracolo”.
Il calcio, come la vita, ti dona e ti toglie. Un mondo fatto di storie. Storie che spesso non assumono le sfumature della favola. La realtà, quella vera, è un’altra. Essere portati in alto, per poi ritrovarsi soli. Attimi. Attimi di vita. E questo è il racconto della vita di Lorenzo Tassi. Istantanee in bianco e nero, colorate di momenti di esistenza. La forza di continuare. Coerenza e consapevolezza. Gioie e delusioni. Profondità. Il dipinto di un centrocampista.
Ora Lorenzo gioca nella Sambenedettese in Serie D. In estate era rimasto senza squadra. Ecco quello che ci aveva raccontato.
“Chiamami quando vuoi”. Suona il telefono. “Ciao, come stai?”. Un sorriso in sottofondo. Inizia la chiacchierata. Naturale, come se ci si conoscesse da tempo. “Ho iniziato con mio fratello maggiore e i suoi amici. Dalla squadra del paese sono arrivato al Brescia, giocando sempre con i ragazzi più grandi”. Un maestro su tutti, Roberto Clerici: “L’allenatore che ho avuto per più anni. Un insegnante”. E Clerici in Lorenzo ci vedeva tanto. Qualità e talento, come un altro ragazzo scoperto da lui. Andrea Pirlo. “La classe di Pirlo è unica, ma Tassi è più svelto. In comune hanno l’intelligenza, l’umiltà e la maturità”, disse lo stesso Clerici. Un percorso che lo porta fino alla Primavera e all’esordio in Serie A. Sprazzi di classe. “Spero possa diventare il nuovo Baggio”, parola del presidente Corioni. Etichette pesanti, che ti accompagnano per sempre: “Non mi ha mai condizionato molto. Pensavo solo a giocare. Non mi importava. Non è certo questo che non mi ha permesso di fare carriera”. Anche se spesso si è rivelata un’arma contro di lui: “Molte persone speravano in un mio fallimento per usare questo paragone contro di me”.
Poi l’esordio in Serie A contro la Fiorentina: “Eravamo già retrocessi. Arrivammo allo stadio circondati da un clima di contestazione”. In estate la preparazione con la prima squadra: “Ricordo che tra gli esuberi c’era Diamanti. Si fermava a fine allenamento a tirare a un giovane Cragno. Che mancino”.
“Il 30 agosto mi chiamò il mio procuratore dicendomi che era tutto fatto per il mio trasferimento all’Inter”. La mattina successiva visite mediche. L’interesse del Milan e della Juve, la chiusura con i nerazzurri. Un anno con gli Allievi. Poi due stagioni con la Primavera. La seconda da capitano: “Partii molto bene. Segnai 10 gol nei primi mesi. Ero il capocannoniere dopo Bonazzoli”. Poi l’infortunio all’adduttore: “Ci fu un distaccamento del tendine”. Nel mezzo gli allenamenti con la prima squadra. Sneijder “Impressionante”. Gli argentini “Zanetti tra i più simpatici. A Milito dovevi passarla sempre”. E Cassano: “Da fermo metteva davanti alla porta chiunque”. Con due aneddoti speciali: “Finito un allenamento mi fermai per fare dei cross a Cassano. Ogni volta che facevo un lancio, lasciava passare il pallone”. Il motivo? Glielo spiegò un collaboratore di Stramaccioni: “Lori cerca di mettergliele perfette sul corpo, altrimenti le rifiuta (ride ndr)”. E le amichevoli ad Appiano: “Lui faceva l’esterno. Quando la palla era agli avversari, si girava a guardarci in panchina. Bisognava avvisarlo quando arrivava la palla”. Ricordi ed emozioni. Dopo i due anni di Primavera, inizia il percorso tra i professionisti.
Dalla Primavera nerazzurra al Prato: “Non mi aspettavo di andare in Serie C e, soprattutto, in una squadra che avrebbe lottato per la salvezza. Per un ragazzo che esce dall’Inter è difficile emergere. Un calcio diverso”. Esperienze non positive a Savona e ad Avellino in B. Una continuità ritrovata alla FeralpiSalò. Poi il Vicenza: “Avevo grandi aspettative. Dopo pochi mesi arrivò il fallimento della società”. Il ritorno all’Inter e il prestito biennale ad Arezzo: “Annate importanti. La prima con i playoff. La seconda la mia ultima di vero calcio”. Il mancato rinnovo, il Covid e il contratto in scadenza. Nuove salite. Scontrarsi con ostacoli e difficoltà. Un’altra volta. “Da quel momento ogni estate mi sono ritrovato senza squadra. E mi sembra incredibile dover arrivare a chiamare i ds per un contratto. Non sono fatto così”. A fine anno scade il contratto con l’Arezzo. Dopo 11 mesi la chiamata della Vis Pesaro. Poi lo scorso anno la Serie D. A settembre arrivano le chiamate. La scelta del Pont Donnaz Hône Arnad.
Fare i conti con un mondo che dimentica in fretta: “Il calcio è cambiato. La sensazione è quella di essere tagliati fuori, senza la possibilità di poterci rientrare. Prima della pandemia ho sempre fatto buone stagioni in C. Ora sono senza squadra”. Un futuro i cui contorni sono segnati dall’incertezza: “Ho voglia di giocare. Non so se ne avrò l’opportunità. Per ora mi alleno tutti i giorni”. Giorni non fatti solo di calcio: “Sono un grande appassionato di tennis e padel. Ci gioco spesso”.
“It’s such a shame for us to part. Nobody said it was easy. No one ever said it would be this hard. Oh take me back to the start”. Back to the start, come cantano i “suoi” Coldplay. Tornare al calcio, quello puro e genuine. Al compagno di vita che lo ha sempre accompagnato. Ritornare alle origini per (ri)scriversi un nuovo futuro. Ritornare al calcio vero. Sempre con quel pallone. Gli occhi si chiudono. Scorrono le immagini. Dai campi di paese al Brescia. L’Inter, gli infortuni, la Serie C. Affrontare la realtà nella sua più fredda durezza. Gli occhi si riaprono. Davanti a sé un percorso da costruirsi. La mente come guida. “Se mi guardo indietro non ho rimpianti. In alcuni momenti ho avuto infortuni che mi hanno bloccato. So cosa posso essere. Spero di averne l’occasione. Ho sempre dato tutto per il calcio”. Il tempo scorre. Fermarlo, per disegnarlo.
Back to the start. Lì, dove la passione è ancora viva. Perché, nonostante tutto, il calcio ha lasciato un segno indelebile. Nel cuore, nella testa. “Lights will guide you home and ignite your bones”. Scambi, battute, risate. Ricordi e prospettive. Memoria e speranza. Con la voglia di sorridere, sempre. Scorci di vita. Profondità e verità. Voglia di ripartire. Con il pallone tra i piedi. Crederci. La firma inconfondibile: Lorenzo Tassi.
A cura di Nicolò Franceschin
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