La gioia del papà, la “mania” del gol e Batistuta, Di Carmine: “Sono a Trento per Tabbiani”
La nostra intervista a Di Carmine: “Dopo la morte di mio papà volevo ritirarmi, Catania mi ha fatto tornare la voglia. Ora al Trento per Tabbiani“
Quella di Samuel Di Carmine è una storia curiosa, con tante particolarità. Lo ascolti, catturi le parole da lui pronunciate e le rielabori nella tua testa. Ma non vedi l’ora di sentire il racconto successivo.
Curiosa non solo per gli eventi che la caratterizzano, ma anche per i termini che sceglie di utilizzare nel raccontarla. Il legame con il padre, persona a cui deve tutto e a cui ha cercato di dare tutto. E prova a farlo tuttora, per quanto possibile.
Il rapporto con il gol, su cui si basa la sua carriera. L’amore incondizionato per il calcio. L’ispirazione trovata imitando Gabriel Omar Batistuta.
Tutti questi elementi compongono la vita di Di Carmine, la cui carriera è arrivata alla tredicesima tappa: Trento.
Il padre come riferimento e Catania per ripartire
“La sua felicità era anche la mia”. Frase breve ma ricca di significato, che rivela subito il rapporto tra Samuel e papà Emidio, scomparso nel marzo 2023. “Per 6/7 mesi è stata veramente dura e volevo smettere di giocare. Non sono riuscito ad aggrapparmi a niente perché mi ha cresciuto lui. Poi ho capito che dovevo continuare per la passione e l’amore che ho per il calcio. Io ho iniziato a giocare con lui: facevamo 6/7 ore di tecnica tutti i giorni. Magari facevo 2 ore di allenamento alla Fiorentina e poi andavo 6 ore con lui ai giardini. La mia qualità, il mio tiro e il mio senso del gol sono cose che mi ha insegnato mio padre. Se io sono io è grazie a mio papà”. La voglia di restare in campo ritrovata a Catania: “Era un periodo buio e non riuscivo a giocare. Catania mi ha dato ciò che cercavo in quel momento. L’affetto dei tifosi era incredibile… poi quando loro esultavano mi trasmettevano molta gioia. Io vivo di questo. Mi hanno fatto tornate la voglia”. Ma in Sicilia ci sono stati anche degli inconvenienti: “A febbraio, dopo il mio infortunio al piede, sono state dette un sacco di cose su di me: che ero finito, un fallito, che non mi reggevo più in piedi… queste cose mi hanno fatto male. Ora il mio obiettivo è dimostrare a tutti che sto ancora bene e che posso fare tanti gol. Che sono ancora forte. Questo è il mio obiettivo personale. I primi 6 mesi là mi sono proprio divertito, poi però non hanno gestito bene il mio infortunio all’alluce e io sono passato per finito. Questo mi è dispiaciuto molto. La comunicazione fa la differenza e io un po’ l’ho pagata”.
Un senso del gol – quello donatogli da papà Emidio – che Di Carmine sta dimostrando di avere anche all’età di 36 anni: “Se non segno mi manca l’aria. Voglio fare gol anche in allenamento. Finché sto bene, mi diverto e ho fame di segnare, voglio continuare a giocare. Quando mi mancheranno queste cose, smetterò. Io non so stare in panchina perché l’ho fatto pochissimo in carriera. Quando arriverà quel momento, vuol dire che avrò perso la mia esistenza. In quel caso smetterò. Non resterò a fare il dodicesimo: non è nel mio carattere”. Tante le giornate trascorse in campo, sempre in tre: Samuel, il papà e un pallone. Ancora di più quelle passate ad ammirare Batistuta: “Sono cresciuto con lui e tuttora è il mio idolo. Esultavo come lui, tenevo i capelli lunghi come lui… facevo tutto come Bati. Il mio sogno era proprio quello di indossare la 9, ma non ho mai avuto la fortuna di averla. Questo desiderio mi è rimasto dentro, ma ormai è irraggiungibile”.
La scelta di venire a Trento e un gruppo “vero”, proprio come Samuel
C’è un motivo preciso che ha spinto Samuel ad accettare l’offerta del Trento, una persona: “Sono qui per Tabbiani. Quando ho dovuto scegliere avevo tante proposte. Tabbiani è una persona vera, buona, pura e per me può diventare un top. Lui mi capisce, mi comprende. Poi la verità è che mi fa segnare, che è quello che interessa a me. Io sono l’attaccante perfetto per il suo modo di giocare. Lui mi ha fatto segnare l’anno scorso a Catania e mi sta facendo segnare ora a Trento. Questa è la verità”. Poi prosegue: “Ho un rapporto stupendo con lui, per una persona come me è difficile avere una relazione così nel mondo del calcio. Sono troppo vero, troppo schietto. Nel bene e nel male. Non ho mezze misure: o bianco o nero. Non ho filtri, dai miei occhi lo vedi e non so mascherarmi. Nel calcio è una caratteristica che può essere scomoda”. L’importanza di essere in sintonia con l’allenatore e col gruppo: “Sono tanti anni che gioco e difficilmente ho trovato un gruppo come questo. Mi hanno subito accolto bene. Scherziamo e ridiamo in continuazione. Poi quando vanno in campo danno tutto. Mi diverto ogni giorno. Sabato (contro l’Alcione, ndr) non ho segnato e difficilmente sono felice ma invece lo ero, perché loro erano contenti. Questo mi fa capire in che posto sono arrivato”.
Un carattere forte e deciso, che a Verona lo a portato a essere escluso dalla squadra per due settimane: “Sono stato fuori rosa perché avevo litigato col mister (Juric, ndr). Sono rientrato in squadra e il giorno dopo ho segnato il mio primo gol in Serie A contro la Fiorentina. È stata stupenda quella rete”. Sull’esperienza all’Hellas nel 19/20: “Peccato per gli infortuni perché mi son fatto male 3 volte. Un po’ di rimpianti ce li ho: potevo fare molto di più”. Dopo circa trequarti d’ora di chiacchierata, Samuel si alza dalla sedia e col sorriso dice: “Ora devo andare a prendere mio figlio all’allenamento”. Una passione sconfinata per il calcio, partita da papà Emidio e arrivata fino ai piccoli Di Carmine. Chissà se dopo l’allenamento sono andati insieme ai giardini a migliorare la tecnica…