La storia di Mirko Valdifiori è una di quelle strane, curiose. Un improvviso bagliore seguito da una rapida discesa. C’è stato un periodo in cui era lui il regista italiano più interessante dopo Pirlo, in cui era conteso dalle big del nostro calcio. È stato breve ma intenso e lui non ha rimpianti. Si è goduto il suo momento e ora non chiede altro che continuare a giocare. Le ultime sue stagioni al Pescara tra B e C sono state insoddisfacenti, Mirko ora è svincolato ma il pallone non lo molla. Piuttosto si allena da solo e aspetta la chiamata giusta. Arriverà. Uno che guida l’Italia contro l’Inghilterra (anche se “solo” in un’amichevole), un’altra chance se la merita.
From zero to hero, si dice in America. Valdifiori nei suoi inizi magari non era uno zero ma è partito dal basso. Dalla sua Romagna dove nasce, a Russi, nel Ravennate, nel 1986. Comincia con la B col Cesena, poi due campionati in C1 (Pavia e Legnano), si fa le ossa in provincia e nella categoria più difficile. Quindi la scintilla che scocca con la maglia dell’Empoli. Sei stagioni in Toscana, una meglio dell’altra, e come premio la promozione in A. A 28 anni è la sua consacrazione: c’è lui in campo e Sarri in panchina. Mirko è il regista, quello che porta a compimento lo spartito dettato dall’allenatore.
Già, Sarri, un binomio inscindibile. Legati, sulla stessa lunghezza d’onda, l’uno la fortuna dell’altro. “Gli devo tutto. Ci siamo lanciati insieme”, dice spesso nelle interviste il centrocampista. Ed è così. E Sarri gli fa eco, tessendone ogni volta che può le lodi. Alla sua presentazione a Napoli, nel secondo step della loro collaborazione, lo presenta così: “Mirko ha una velocità di idee e di muovere la palla unici. In questi anni, è diventato secondo me uno dei centrocampisti centrali più forti d’Italia. Gioca sempre ad uno e due tocchi, riesce a verticalizzare. Ha qualità tecniche e mentali, quelle fisiche sono normali. Il calcio si può fare anche senza una fisicità enorme, con una buona tecnica e una velocità di gioco fuori dal comune”. Una dichiarazione d’amore. Il suo calcio semplice, essenziale, ai limiti del minimale si esalta nel meccanismo empolese. La sua verticalità fa della squadra di Sarri la rivelazione del campionato e gli fa guadagnare copertine, convocazione in nazionale e la chiamata del Napoli. Il debutto con l’Italia avviene a Torino contro i Tre Leoni. Conte lo convoca e lui esplode di gioia, viene marcato da Rooney in una serata che non dimenticherà mai.
Quando un legame è così stretto e proficuo lo si vuole prolungare all’infinito. Sarri e Valdifiori lavorano insieme anche al Napoli. Un matrimonio perfetto si pensa, eppure non va così. Sotto al Vesuvio qualcosa si rompe. Non è il loro rapporto che è tuttora perfetto, ma il tecnico di Figline deve fare delle scelte e, complice l’esplosione di Jorginho, panchina il suo pupillo. Un qualcosa tanto difficile quanto giusto, lo sanno entrambi. La sua verticalità ora poco si sposa con la manovra di una squadra che con l’orizzontalità dell’italo brasiliano vola e sfiora lo scudetto. Da lì la sua carriera stenta. Nel 2016 è al Torino, nel 2018 alla Spal. Nel 2020 firma per il Pescara in B prima e poi in C. Non è più il regista illuminato, gioca poco: 27 partite. S’incupisce ma continua a lottare, anche ora che da quel contratto si è liberato e ne cerca uno nuovo, l’ultimo probabilmente per un giocatore che ha ancora da dare.
Ci vuole fede e lui ce n’ha da vendere. Uno che prima di dormire dice sempre almeno un paio di Padre Nostro e Ave Maria, come da lui stesso confessato, sa a chi affidarsi. A 35 anni il calcio per lui ormai è una passione, un qualcosa che lo fa ancora sentire giovane. Dategli una possibilità e tornerà il vigile (mestiere che avrebbe voluto fare, fosse andata male col calcio) in mezzo al campo che abbiamo visto in Serie A. A modo suo, con precisione e parsimonia. Uno come lui fa ancora comodo a tanti.
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