“Un allenatore non deve correre o saltare, conta la sua idea di calcio. Quella ce l’ho e penso di averla anche migliorata”. Zdenek Zeman e Zemanlandia: fiero di sognare, orgoglioso e con la voglia di continuare a dare tanto al mondo del calcio.
Inizia così la nostra chiacchierata con l’allenatore boemo: “Il calcio è lo sport che si gioca in tutto il mondo, piccoli e grandi lo praticano. È ancora un gioco, nonostante purtroppo non tutti lo vedano come tale”.
Di tempo ne è passato da quando con la sua visione ha stravolto il calcio, ma “io sono sempre lo stesso. Prima ero più padre, ora un po’ meno nel senso che mi sento più nonno (sorride ndr). Rispetto al passato sono cambiati i calciatori e il loro modo di approcciarsi a questo sport: non tutti lo fanno per passione”.
Boemo di nascita, palermitano di adozione: “Nel 1968 sono stato a Palermo per le vacanze. Il 22 agosto avevo l’aereo per tornare a Praga ma il 21 sono entrati i russi nel mio Paese e mi sono fermato fino a novembre con lo zio Vycpálek. Poi volevo tornare per terminare l’università, ma non c’erano le condizioni e sono rimasto in Sicilia definitivamente”, ricorda.
In Sicilia ha completato la sua formazione: “Ho fatto un po’ di tutto. Allenatore, sei anni da giocatore di pallavolo in B, quattro di pallamano. Anche nuoto e baseball”. Sport che gli hanno permesso di apprendere l’armonia dei movimenti geometrici poi declinati nella sua filosofia di calcio: “Un giocatore con la palla deve sapere cosa fare, deve avere diverse soluzioni. Poi se i triangoli sono girevoli è molto meglio, l’importante è mantenere una forma geometrica per trovare spazi e tempi giusti”.
Proprio a proposito di Palermo, Zeman svela un retroscena: “Zamparini mi ha chiamato tre volte per sedere sulla panchina rosanero, poi non si è mai concretizzata la possibilità: non per responsabilità mia”. Ora invece è tornato là dove tutto è iniziato: “Mi ha chiamato il direttore sportivo Pavone che aveva già raggiunto l’accordo con il presidente e mi ha chiesto se avessi l’intenzione di tornare a Foggia. Ho pensato ‘vediamo cosa succede’”.
Quindi nel calcio vincere non è l’unica cosa che conta, perché “tu puoi fare una buona prestazione e perdere. Ma la cosa più importante è che si diano emozioni alle persone. Con il Foggia succedeva che perdessimo, ma uscivamo sempre con gli applausi. Questo a testimonianza che esprimevamo un buon calcio, per un allenatore è questa la cosa più importante. Si dice ‘vincere a tutti i costi’, bisogna vedere che costi sono: solitamente non sono buoni”.
74 anni sono un’età in cui potersi guardare indietro alla ricerca di eventuali rimpianti o, magari, rimorsi. Niente di tutto questo. Lo sguardo di Zeman trasmette la serenità di chi è consapevole di aver vissuto secondo la propria coscienza: “Non ho rimpianti, non mi pento di niente. Mi piace fare calcio e vedere una squadra organizzata che propone gioco pensando sempre a fare divertire i tifosi che è l’unica cosa che tiene il calcio in piedi. Infatti sono stato fermo due anni a causa della pandemia perché senza gente non ha senso giocare. Speriamo che si possa riaprire tutto dando la possibilità alle persone di andare allo stadio”.
Ma lui, è lo stesso sognatore di sempre. La nuova avventura sulla panchina del Foggia non lo spaventa: “Si vuole sempre fare il massimo. Ho un presidente che è di Bari e a lui basta vincere il derby, per me è troppo poco. Ho scelto Foggia anche perché qui sono un po’ raccomandato, mi fanno passare le cose che da altre parti non passerebbero (sorride ndr). Sono contento di lavorare e fare calcio a modo mio, spero tanto di riuscire a fare qualcosa di positivo per le persone”. In riferimento all’età ribadisce: “Qualche anno fa ha vinto la Champions League un signore della mia età (Jupp Heynckes col Bayern nel 2013 ndr). Non voglio vincere la Champions ma voglio dare ancora qualcosa al calcio”, ma il suo amore per i giovani è sempre lo stesso e infatti chiude con una stoccata: “È giusto anche dare spazio ai giovani, ma in questo mondo manca la meritocrazia”.
C’è il calcio, il suo mondo incantato fatto di precetti e storie. Poi c’è Zdenek Zeman, allenatore per vocazione, sognatore per scelta: “Zemanlandia c’è sempre” ha sussurrato prima di salutarci.
A cura di Francesco Lupo
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