Il nome di Marc Zoro evoca dolci ricordi ai tifosi del Messina. Con lui in squadra i giallorossi hanno vissuto anni importantissimi. Dalla promozione in Serie A della stagione 2003/04 al settimo posto nella massima serie dell’annata successiva. In mezzo a queste soddisfazioni, però, arriva per Zoro un momento meno piacevole che è passato alla storia del calcio italiano. É il 27 novembre 2005 e al San Filippo arriva l’Inter di Luis Figo e Cambiasso. Marc Zoro è in controllo del pallone. Ad un certo punto, lo prende in mano e cerca di uscire dal campo. Adriano e Oba Oba Martins provano a fermarlo, ma lui è deciso. Non vuole più giocare. “Non potevo continuare così“. La motivazione è presto detta: ogni sua azione, ogni suo controllo di palla veniva accompagnato da insulti razzisti dagli spalti. “Ormai non riuscivo più a concentrarmi sulla partita“, dirà successivamente.
Un episodio che, dopo la partita tra Juventus e Inter di Coppa Italia e gli insulti razzisti a Romelu Lukaku, torna di attualità. La Gazzetta dello Sport ha intervistato Zoro per chiedere un parere a chi, questo genere di cose, le ha vissute sulla propria pelle. “Il razzismo è un cancro da estirpare con la forza, a testa alta. Nel 2005 avevo 22 anni e scelsi di fare così. Non potevo sopportare che a Messina, a casa mia, ci fosse qualche idiota pronto a insultarmi. Quindi ho preso il pallone. Fu un gesto istintivo“. Inizia così il racconto di Zoro.
Anche perché tra Marc e il San Filippo di Messina c’è un rapporto viscerale: “L’Italia non è un paese razzista, assolutamente. Lì ho vissuto anni meravigliosi. Ricordo ancora i gradoni di Zeman a Salerno, la promozione in Serie A con il Messina nel 2004 e il magico San Filippo, che per me vale più del Santiago Bernabeu. Non c’è stato un altro stadio, in Italia, dove mi sia sentito più felice“.
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