Consapevolezze – Morosini: “Il dolore serve come la felicità”
Mi fermo, il resto scompare. È tutto buio. Il respiro accelera, i pensieri non si fermano, mi eclisso. Mi sono infortunato, un’altra volta. Non ce la faccio. Perché ancora io? Vengo sopraffatto da un malessere. Non sto bene.
Se ripenso agli ultimi anni, forse sono stati più i momenti complicati rispetto a quelli sereni, ma sono cresciuto tanto. Non è stato facile, il calcio non è un mondo che ti ascolta tanto. Ce l’ho fatta grazie alla vicinanza di alcune persone, all’aiuto di uno psicologo e a me stesso. Ne ha fatta di strada quel bambino che si divideva tra banchi di scuola, un pallone e un pianoforte…
Futura
Per raccontarvi il mio viaggio partirei dalle mie due passioni. Alla fine sono ciò che danno senso alla nostra vita, no? In me ne vivono da sempre due: il calcio e la musica. Una è diventata un lavoro, l’altra è rimasta una mia compagna quotidiana di vita. Dai, partiamo dal pallone. Per aiutarmi in questo viaggio, assocerò una canzone a ogni momento della mia vita. Questa prima parte del viaggio si lega a “Futura” di Lucio Dalla. “Chissà, chissà domani”.
Leo, aspetta. “C’è un problema”. Avevo un limite motorio dovuto ai miei tendini… in sostanza camminavo sulle punte. A sei anni ho fatto un’operazione sperimentale. L’esito non era certo. Un mezzo miracolo.
Dopo due anni eccomi all’Inter. Mio nonno aveva giocato nell’Atalanta, mio fratello era al Milan… il destino era segnato. Ero malato di calcio. Ma il calcio romantico e autentico, quello di provincia. I pantaloncini alzati di Diamanti, il talento pazzo di Recoba, le storie di Ezio Vendrame, il codino del mio idolo Baggio. Tutti artisti e fuori dagli schemi, un po’ come me.
Dov’eravamo rimasti? Ah sì, all’Inter. La mia squadra del cuore. Mi voleva l’Atalanta, ma non ho avuto dubbi. Ricordo il derby perso 6-0. Eravamo a casa con amici, staccai la spina della tv. E guai a chi osava riaccenderla. Dopo qualche anno iniziarono ad arrivare ragazzi da fuori, giocavo poco e decisi di cambiare. Andai all’AlbinoLeffe dove c’era mio fratello. Furono mesi frustranti. Tante partite a entrare a 2’ dalla fine. “Ma perché? Ha senso continuare? Forse dovrei smettere”.
Per fortuna non ho mollato. Passai al Brescia. Negli anni è diventata una seconda famiglia. È casa mia. L’esordio tra i grandi, la promozione e la Serie A. Un legame simbiotico: vivevo ogni attimo nella sua massima intensità. Poi ci sono stati il Genoa, l’Avellino e l’Ascoli. Tutte avevano in comune la passione unica della gente: squadra e città era un tutt’uno. E il calcio per me è questo. Stava andando tutto bene, poi l’addio con il Brescia. Una delle sofferenze più grandi. Lì qualcosa si è rotto.
Trouble
Per questo capitolo della mia vita andrebbero bene due canzoni: En e Xanax di Samuele Bersani e Trouble dei Coldplay.
Dopo Brescia vado all’Entella, un modo di vivere il calcio diverso dal mio. Sono iniziati anche i problemi fisici e psicologici. Ho conosciuto il malessere. Era dentro di me. Forte, profondo, asfissiante. Non sono stati anni facili, soprattutto in un mondo come quello del calcio che non ti ascolta. “Stai sbagliando, sei scarso, sei sempre rotto”.
La mattina ti svegli e sei giù, sei senza motivazioni, immerso nel peso dei pensieri. Mi sono sentito solo. Mi ricordo molto bene quei momenti di vuoto e solitudine. Ero un ragazzo che viveva per il proprio lavoro, non poterlo fare era una batosta. Rientravo, mi allenavo, mi infortunavo. Se penso al buio, mi viene in mente quello: l’istante in cui ti accorgi di esserti fatto male e il tragitto dal campo a casa. Pensate, una volta, esasperato, scappai da Chiavari per fare un aperitivo con una ragazza. È diventata la mia fidanzata.
La testa può fare dei giri strani. Essere sensibile ti porta a farti tante domande. È faticoso. Non stavo bene. Avevo bisogno di aiuto. Ne sono uscito grazie alla vicinanza di famiglia e amici e al percorso fatto con uno specialista. Non l’ho mai raccontato pubblicamente. Diverse persone mi avrebbero visto come uno “fuori”. Magari è cosi, ma ne sono fiero. “Che ne dici di andarci? Ti potrebbe fare bene”. Lo psicologo me lo consigliò una persona molto importante per me che pochi mesi dopo ci ha lasciato.
La verità
In tutti quei vuoti mi ha aiutato tanto la musica. Per viverli, capirli, superarli. È come se fosse uno sfogo della mia anima. La mia ragazza dice che quando suono o canto sono triste. Può essere. Con la musica ho un rapporto totalizzante, c’è sempre stata. “Chi vorresti essere? Messi o Ronaldo? Bollani, un musicista incredibile”.
Ho imparato a suonare il piano e la chitarra e a cantare da autodidatta. Mi commuovo spesso quando la ascolto. Ai concerti preferisco andare da solo, devo vivere l’esperienza al massimo. Alcuni ricordi? Il derby della Lanterna con Creuza de mä di De André di sottofondo o il cd dei Coldplay preso con mio padre quando ancora nessuno li conosceva.
Insomma, questo è il mio viaggio. Chi è adesso Leonardo? Un ragazzo che è cresciuto tanto. Le difficoltà non sono sparite, dei giorni sto male. È cambiata la consapevolezza con cui le affronto. Ci sono ancora dei momenti in cui tendo a isolarmi e sparisco del mondo. Non è bello, né per me né per gli altri. È inutile sperare di non avere questa inquietudine, è parte di me. Ho imparato tanto. Ho imparato ad affrontare tutto con grande serietà ed entusiasmo. È il mio consiglio. Non sentirsi mai inadeguati, imparare a conoscersi e apprezzarsi. Comprendere i proprio limiti, non avere paura della sofferenza. Perché “il dolore serve come la felicità”.
Leo Morosini, Centrocampista del Novara Calcio